Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.12261 del 23/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18916/2018 proposto da:

CATERINI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, Via Crescenzio n. 2 presso lo studio dell’avvocato EZIO BONANNI e rappresentato e difeso dall’avvocato CRISTOFORO LUCIO GRECO;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT SPA;

-intimata –

avverso la sentenza n. 340/2017 della CORTE D’APPELLO DI CALTANISSETTA, depositata il 22/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 6/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 2004, la Caterini S.r.l. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Gela, la Banco di Sicilia S.p.A., chiedendone la condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite in ordine ai contratti di conto corrente nn. *****, *****, *****, deducendo che il saldo debitore dei suddetti conti correnti, con collegate aperture di credito, era lievitato a causa della capitalizzazione trimestrale degli interessi, in violazione dell’art. 1283 c.c., e dell’applicazione degli interessi debitori in misura ultra legale, in violazione degli art. 1284 e 1346 c.c..

Con sentenza emessa nel 2010, nel contraddittorio delle parti, il Tribunale di Gela, in parziale accoglimento della domanda, ha dichiarato nulle le clausole contemplanti la capitalizzazione trimestrale degli interessi e le commissioni di massimo scoperto, quantificando in Euro 980,71 le somme indebitamente addebitate dalla banca alla società attrice, con conseguente condanna della banca al relativo pagamento, oltre interessi.

La Caterini S.r.l. proponeva appello e con unico motivo contestava la errata quantificazione della somma dovutale dalla banca, per aver il giudice di prima istanza imputato le rimesse in denaro, effettuate durante i rapporti di conto corrente, prima agli interessi e poi al capitale, così condannando la banca al pagamento di Euro 980,71, sulla base di una modalità di calcolo operata dal consulente tecnico d’ufficio, invece della maggior somma di Euro 7.130,13, risultante dalla corretta imputazione delle rimesse prima al capitale e poi agli interessi, secondo quanto pure elaborato, in via alternativa, dal CTU.

La Corte di Appello di Caltanissetta, con sentenza emessa nel 2017, nella contumacia della Banco di Sicilia spa, ha rigettato il gravame.

Avverso suddetta sentenza, la Caterini S.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, nei confronti di Unicredit spa (che non svolge attività difensiva).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con l’unico motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del criterio di imputazione delle rimesse in conto corrente bancario con apertura di credito, di norma, meramente ripristinatorie della provvista, per non aver la Corte d’Appello ritenuto la non applicabilità dell’art. 1194 c.c. alle rimesse del correntista non essendo queste qualificabili come pagamenti.

2. La censura è inammissibile per difetto di specifità.

La Corte d’Appello, dopo avere osservato che, in generale, nel rapporto di conto corrente bancario, non opera l’art. 1194 c.c., secondo cui ogni pagamento deve essere imputato prima agli interessi e poi al capitale salvo un diverso accordo con il creditore, in presenza di rimesse meramente ripristinatorie, operanti su di un conto “passivo”, e non “scoperto”, ha confermato la sentenza del Tribunale, ritenendo l’appello infondato, non potendosi distinguere nell’ambito delle rimesse una funzione di pagamento del capitale piuttosto che degli interessi o viceversa.

Non emerge quindi, dalla decisione impugnata, neppure che il Tribunale avesse effettivamente applicato l’art. 1194 c.c..

Il motivo risulta espressamente formulato per violazione dell’art. 1194 c.c. nella rubrica e nella illustrazione, ove si sviluppa la doglianza iniziale di un “palese errore di diritto commesso attraverso la violazione ed errata applicazione del criterio di imputazione dei pagamenti non estintivi…”.

Solo di sfuggita vi compare anche l’inciso relativo ad una motivazione astrusa e per nulla condivisibile.

Orbene, a fronte di una motivazione di appello che, in sostanza, ritiene priva di rilevanza la questione della imputazione agli interessi prima che al capitale delle somme versate a mero titolo di ripristino della provvista del conto, la ricorrente aveva l’onere di precisare chiaramente come ed in base a quali ragioni il Tribunale avesse basato il calcolo della somma dovuta in ripetizione su quel criterio di imputazione indicato.

Invece, il ricorso riporta una sola frase della sentenza di primo grado, che sembrerebbe affermare l’applicabilità dell’art. 1194 c.c. per poi però affermare che, in sostanza, anche il Tribunale aveva ritenuto inapplicabile tale disposizione; si aggiunte poi, senza alcuna spiegazione ulteriore, che, per effetto della sola non applicazione dell’art. 1194 c.c., il calcolo del dovuto da parte della banca sarebbe passato da Euro 900 a più di Euro 7000,00. In tal modo, il postulato fondamentale del ricorso (la Corte terrotoriale avrebbe affermato un principio di diritto opposto a quello affermato dal tribunale, confermandone invece la decisione) resta privo di adeguato sostegno illustrativo.

Eventuali profili di contraddittorietà assoluta della motivazione e di nullità della stessa per motivazione apparente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, dovevano essere enunciati in modo preciso nella doglianza.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2020.

Depositato in cancelleria il 23 giugno 2020

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