Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.12641 del 25/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12355/2015 proposto da:

F.L.S., T.A.D., T.A., elettivamente domiciliati in Roma Viale Angelico, 92, presso lo studio dell’avvocato Giusti Luca, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Zanuttigh Loriana;

– ricorrenti –

contro

S.D., S.G., S.G.B., Sc.Gi., elettivamente domiciliati in Roma Via C. Monteverdi 20, presso lo studio dell’avvocato Codacci Pisanelli Alfredo, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Romagnese Gionata;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4022/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/09/2019 da Dott. COSENTINO ANTONELLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del primo e del secondo motivo, l’inammissibilità e in subordine il rigetto del terzo motivo del ricorso;

udito l’Avvocato Loriana Zanuttigh, difensore dei ricorrenti, che si

è riportata agli atti depositati;

udito l’Avvocato Gionata Romagnese, difensore dei resistenti, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

I sig.ri S.D., Gi., G. e G.B. presentarono al Tribunale di Pavia ricorso possessorio nei confronti di F.L.S., T.D.A. e T.A., per essere da costoro reintegrati nel pieno possesso delle ragioni d’acqua derivanti dalla proprietà del *****, compromesse da opere di scavo e canalizzazione per derivazione irrigua in favore del podere Cascina CàMattina, di proprietà dei resistenti.

I ricorrenti davano atto che in favore del podere ***** era stata istituita, con contratto notar P. del 28.12.1927, una servitù di presa d’acqua dal *****, ma deducevano che tale servitù si era estinta per non uso ultraventennale ex art. 1073 c.c., in quanto detto podere era stato adibito da lungo tempo a coltivazioni che non necessitavano di particolare irrigazione; tanto che in loco non esisteva, da ben oltre vent’anni, alcuna opera visibile riconducibile ad una servitù di presa d’acqua. I sigg. S. chiedevano quindi la reintegra nel possesso del ***** e, in cumulo con la domanda possessoria, proponevano domanda petitoria di declaratoria della estinzione della menzionata servitù.

I sig.ri F. e T. si costituirono deducendo la natura demaniale delle acque del ***** e, conseguentemente, eccependo la carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti S. e l’inamissibilità della invocata tutela petitoria; nel merito essi argomentarono che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la servitù di presa d’acqua di cui all’atto notar P. era sempre stata esercitata con continuità.

Il Tribunale, disattese le eccezioni pregiudiziali dei resistenti, rigettò la domanda possessoria dei ricorrenti (sul rilievo che le opere realizzate dai sigg.ri F. e T. non pregiudicavano in concreto le esigenze idriche del fondo dei ricorrenti), ma accolse la domanda petitoria dai medesimi proposta, dichiarando estinta per non uso ventennale la servitù di derivazione d’acqua costituita con l’atto del 1927.

La Corte di appello di Milano, adita dai sigg.ri F. e T., ha confermato integralmente la sentenza di primo grado. Il giudice di secondo grado – pur dando atto che le acque del ***** sono pacificamente pubbliche e che, nella pendenza del giudizio di secondo grado, la Provincia di Pavia aveva rilasciato ai sigg.ri F. – T. atti di concessione della derivazione idrica da tale cavo – ha preliminarmente escluso che la controversia rientrasse nella competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche; nel merito, per quanto qui ancora interessa, ha ritenuto provato il non uso ultraventennale dell’acqua del ***** per l’irrigazione del podere *****.

I signori F.L.S., T.D.A. e T.A. hanno proposto ricorso, sulla scorta di tre motivi, per la cassazione della sentenza di secondo grado.

I signori S. hanno depositato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza del 23.1.19, per la quale entrambe le parti hanno depositato una memoria, e in quella sede è stata rinviata alla pubblica udienza; essa è stata quindi nuovamente chiamata all’udienza del 20 settembre 2019, per la quale solo i ricorrenti hanno depositato una ulteriore memoria; in tale udienza la causa è stata discussa ed il Procuratore Generale ha concluso come riportato in epigrafe.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, riferito alla violazione dell’art. 1 c.p.c. e R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 (rette: n. 2), i ricorrenti lamentano l’errore in cui la Corte di appello sarebbe incorsa negando che la domanda dei sigg.ri S. di accertamento della estinzione della servitù di presa d’acqua rientrasse nella competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche. Secondo i ricorrenti la competenza spetterebbe al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, invece che al tribunale ordinario, per il disposto del R.D. 11 dicembre 1993, n. 1775, art. 140, lett. c), alla cui stregua appartengono alla competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche tutte le controversie aventi ad oggetto qualunque diritto relativo alla derivazione e utilizzazione di acqua pubblica. I ricorrenti, inoltre, sottolineano che nelle more del giudizio la Provincia di Pavia ha rilasciato ai sigg. T. – F. concessioni di derivazione d’acqua ad uso irriguo dalla ***** e dalle ***** e deducono che ciò costituirebbe una ulteriore conferma che la materia delle derivazioni, utilizzazioni e regolamentazioni di acque pubbliche appartiene alla competenza esclusiva della P.A., necessariamente sottratta alla disciplina privatistica la tutela dei rapporti inter-privatistici.

Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito come la distinzione tra le competenze dell’Autorità giudiziaria ordinaria e dei Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche attiene all’oggetto delle controversie, rientrando nell’ambito delle competenze del giudice specializzato le sole cause che involgano questioni relative alla demanialità delle acque pubbliche, o al contenuto e ai limiti delle concessioni di utenze, o al diritto nei confronti dell’Amministrazione alla derivazione o alla utilizzazione delle acque, o quelle che, comunque, incidano pure indirettamente sugli interessi pubblici connessi al regime delle acque (così Cass. n. 29356/18; nello stesso senso, Cass. n. 4699/17 e Cass. n. 2656/12).

Nella specie, la natura pubblica delle acque è pacifica (pag. 6, secondo capoverso della sentenza gravata), ma la domanda non involge questioni relative alla demanialità del e acque o al contenuto o ai limiti delle concessioni di utenza, o a diritti nei confronti dell’Amministrazione, nè incide sugli interessi pubblici connessi al regime delle acque.

La domanda petitoria proposta dai sigg.ri S. (su quella possessoria non vi è questione) ha ad oggetto l’accertamento (negativo) di una servitù di derivazione di acque da un canale (*****) presente su un fondo in proprietà S., a favore di un fondo in proprietà F. – T.. La natura pubblica delle acque di detto canale non incide sulla competenza; quest’ultima va individuata in relazione alla causa petendi, che nella specie si identifica in una servitù, costituita con contratto stipulato tra privati (in epoca in cui le acque del ***** non erano pubbliche), della quale si deduce l’estinzione in forza della disciplina delle servitù dettata dal codice civile. Si tratta dunque, in definitiva, di una controversia avente ad oggetto un rapporto tra privati, prospettata in termini che non coinvolgono in alcun modo i poteri pubblicistici che competono alla pubblica amministrazione in ordine alla disciplina dell’utilizzazione delle acque di cui si discute.

La circostanza che nel corso del giudizio merito la Provincia di Pavia abbia rilasciato ai sigg. T. – F. una concessione di derivazione d’acqua dal ripetuto *****, lungi dall’inficiare la suddetta conclusione, la rafforza, perchè sottolinea come l’esercizio dei poteri amministrativi di gestione dell’acqua pubblica sia insensibile al presente contenzioso, avente ad oggetto una servitù privata. Non c’è dubbio, infatti, che – come si vedrà a proposito del secondo mezzo di gravame – la natura pubblica dell’acqua esclude che la stessa possa formare oggetto di diritti di privati, quale che sia la proprietà del fondo in cui si trova il canale ove essa scorre: ma ciò riguarda la decisione, non l’individuazione del giudice competente ad assumere tale decisione. Correttamente, quindi, la Corte territoriale ha negato la competenza del Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche.

Il secondo motivo di ricorso – ancorchè rubricato con riferimento alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione alla omessa pronuncia della corte ambrosiana sulla deduzione degli appellanti di inammissibilità della domanda petitoria dei sigg. S. – nel suo sviluppo argomentativo (cfr. in particolare, pag. 25 del ricorso) lamenta, in sostanza, la violazione dell’art. 1145 c.c., in cui la Corte ambrosiana sarebbe incorsa non rilevando che la domanda petitoria dei sig.ri S. era inammissibile perchè avente ad oggetto un diritto privato su acque pubbliche, in quanto tali soggette al regime dei beni demaniali.

Il motivo è fondato. Avendo la Corte territoriale accertato, come sopra evidenziato, la natura pubblica delle acque del *****, la stessa Corte avrebbe dovuto rilevare che, in relazioni a tali acque, una domanda di natura petitoria, avente ad oggetto l’accertamento, positivo o negativo, di un diritto privato di servitù non può essere proposta, per carenza di interesse, trattandosi di res extra commercium; con riferimento ai beni demaniali o comunque soggetti al regime dei beni demaniali, infatti, nei rapporti tra privati è concessa solo la tutela possessoria, va e a dire l’azione di reintegrazione nel possesso (art. 1145 c.c., comma 2) e l’azione di manutenzione del possesso (medesimo art. 1145 c.c., comma 3).

Il terzo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione dell’art. 1073 c.c. e art. 115 c.p.c., contestando il giudizio di fatto della corte territoriale sul non uso ultraventennale della servitù, risulta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.

In definitiva, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, l’impugnata sentenza va cassata; la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, con la declaratoria di inammissibilità della domanda dei sigg.ri S. di accertamento dell’estinzione della servitù di presa d’acqua costituita con atto notar P. del 28.12.1927.

Le spese dell’intero giudizio si compensano, in considerazione del rilievo che la pubblicizzazione della acque del ***** risale alla L. n. 36 del 1994 (legge Galli), posteriore alla costituzione della servitù privata di cui all’atto notar P..

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo mezzo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo.

Cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda dei sigg.ri S. di accertamento dell’estinzione della servitù di presa d’acqua costituita con atto notar P. del 28.12.1927.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Si dà atto che il presente provvedimento è firmato dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020

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