Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.14005 del 07/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MARCHEIS BESSO Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9699/2019 R.G. proposto da:

M.V., rappresentata e difesa dall’avv. Furlan Francesco, elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Oslavia n. 28, presso l’avv. Viol Vinicio;

– ricorrente –

contro

D.A., rappresentata e difesa dall’avv. Sari Stefano, elettivamente domiciliato in Roma, Via Crescenzio n. 82, presso l’avv. Principato Caterina;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Pordenone, depositata in data 11.2.2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 16.1.2020 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.

FATTI DI CAUSA

L’avv. D.A. ha proposto ricorso monitorio dinanzi al Tribunale di Pordenone per ottenere il pagamento di Euro 21.247,85, a titolo di compensi per le attività di difesa svolte in favore di M.V. in tre controversie di lavoro, in un procedimento per accertamento tecnico preventivo, per consulenza stragiudiziale, per l’opposizione ad un provvedimento di archiviazione e per tre contestazioni disciplinari.

Avverso l’ingiunzione n. 1230/2017, emessa per il minor importo di Euro 19.918,00, la M. ha proposto opposizione, sollevando una pluralità di contestazioni.

Il tribunale ha revocato l’ingiunzione e ha condannato l’opponente al pagamento di Euro 16.845,58 per compenso e di Euro 509,35 per le spese del parere di congruità, oltre ad Euro 1500,00 a titolo di spese processuali.

In particolare, il giudice di merito, dichiarata l’inammissibilità delle istanze istruttorie, ha ritenuto che l’opposizione fosse “sostanzialmente infondata, salvo che per l’eccepito pagamento in acconto di Euro 3.072,52”, sostenendo che vi fosse prova dello svolgimento di tutta l’attività difensiva elencata nella nota asseverata dal Consiglio dell’ordine, ma non anche degli ulteriori pagamenti indicati dall’opponente.

La cassazione dell’ordinanza è chiesta da M.V. con ricorso in tre motivi.

L’avv. D.A. ha proposto controricorso.

Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente fondato, poteva esser definito ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, il Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 112 e 134 c.p.c., l’omessa e contraddittoria motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per aver il tribunale omesso di pronunciare sulle molteplici eccezioni sollevate con l’atto di opposizione, riguardo al fatto che:

a) il difensore aveva duplicato i compensi per l’attività di consulenza stragiudiziale e per il giudizio;

b) che nulla poteva esser preteso per i procedimenti penali, poichè la parte era stata ammessa al gratuito patrocinio;

c) che non era stato mai instaurato alcun procedimento di impugnazione del diniego di malattia professionale adottato dall’INPS;

d) che nessun compenso spettava al difensore per i procedimenti disciplinari nn. 75/2013 e 355/2013 r.g., poichè i giudizi erano stati riuniti ed il difensore aveva erroneamente indicato il valore della causa;

e) che, con riferimento all’impugnazione del licenziamento, non erano stato decurtati dal valore della controversia i pagamenti eseguiti prima del giudizio ed inoltre la parcella era stata calcolata in applicazione dei valori massimi;

f) che, riguardo all’ATP, non era stato preso in considerazione l’esito sfavorevole del giudizio;

g) che, riguardo alle contestazioni disciplinari del 10.12.2012, del 13.12.2012 e del 30.7.2013, il compenso andava calcolato ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 13, e comunque il difensore non aveva specificato quale rilievo avesse assunto la consulenza rispetto alla successiva impugnazione, dato inoltre che le opposizioni alle sanzioni erano state abbandonate una volta intervenuto il licenziamento;

h) che, in merito alla consulenza stragiudiziale legata alla causa di lavoro n. 214/2014 r.g., nulla poteva essere riconosciuto al difensore, poichè il parere del Consiglio dell’ordine attestava che la consulenza era stata funzionale al giudizio. Inoltre detto parere era stato inizialmente richiesto per un compenso (Euro 41.070,39, oltre ad Euro 350,00 per spese legali), inferiore a quello ritenuto congruo dal Consiglio dell’ordine, per cui l’importo di Euro 509,35 non era dovuto.

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 112 e 134 c.p.c., l’omessa e contraddittoria motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per aver il tribunale recepito acriticamente il contenuto del parere del Consiglio dell’ordine dopo aver dichiarato che la parcella asseverata non era vincolante, così incorrendo in un’insuperabile contraddizione.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. e l’omessa e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per aver il tribunale sostenuto che il difensore aveva riconosciuto di essere incorso in un errore materiale per non aver scomputato dall’importo ingiunto l’ammontare dell’acconto, mentre tale deduzione difensiva era stata sollevata nell’atto di opposizione, conseguendone che, essendo stata accolta la suddetta eccezione, la ricorrente non poteva considerarsi soccombente, attesa – inoltre – l’intervenuta revoca del decreto ingiuntivo.

2. Il primo ed il secondo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente, sono fondati.

Come evidenziato in ricorso – e confermato dall’esame degli atti la ricorrente, nel proporre l’opposizione ex art. 645 c.p.c., aveva sollevato una pluralità di contestazioni involgenti non solo – e non tanto – l’effettivo svolgimento delle attività elencate nella parcella, quanto il valore delle singole controversie, l’esito sfavorevole delle attività svolte, la duplicazione dei compensi per la consulenza stragiudiziale e la successiva attività giudiziale, l’applicazione, in taluni casi, dei massimi tabellari, la possibilità di considerare come giudiziale l’attività relativa alle fase stragiudiziale, l’impossibilità di condannare la parte, ammessa al gratuito patrocinio, per la difesa svolta in sede penale, la congruità delle spese per il parere di congruità reso dal Consiglio dell’ordine.

A fronte di tali articolate deduzioni difensive, riguardanti – in modo specifico – la congruità e la spettanza dei corrispettivi richiesti per le singole attività indicate nella nota, il giudice di merito ha pronunciato sulla sola eccezione di pagamento degli acconti, riguardo alla mancata presentazione del preventivo da parte del difensore e in ordine alla valenza probatoria della parcella, riconoscendo al difensore l’intero importo richiesto (salva la detrazione del solo acconto di Euro 3.072,52), sulla base di argomentazioni sostanzialmente apodittiche, sganciate da qualsivoglia (specifico) riferimento alle risultanze processuali e alle argomentazioni difensive dell’opponente, essendosi limitato ad affermare testualmente che “il resistente ha documentato tutta l’attività al punto che sono agevolmente riscontrabili le prestazioni rispetto alle quali il Consiglio dell’ordine ha espresso il parere di congruità, tenendo conto dei parametri forensi applicabili per ciascuna posizione, delle fasi processuali per cui è stata espletata l’assistenza legale, tenuto conto delle caratteristiche e del pregio dell’attività prestata, della natura del procedimento, dei documenti da esaminare, della continuità dell’impegno e dell’esito ottenuto”.

La decisione appare – in definitiva – fondata su una motivazione apparente, inidonea a dar conto delle statuizioni assunte e del tutto elusive rispetto alle argomentazioni difensive sollevate con l’atto di opposizione.

Sono perciò accolti i primi due motivi di ricorso, con assorbimento della terza censura.

L’ordinanza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa ad altro Magistrato del Tribunale di Pordenone, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il terzo; cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Pordenone in persona di altro Magistrato, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2020

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