Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.14138 del 08/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33832-2018 proposto da:

TURCHESE SRL IN LIQUIDAZIONE, AVORIO SRL IN LIQUIDAZIONE, CORALLO SRL IN LIQUIDAZIONE, GIOVE SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona dei rispettivi Liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA 2, presso lo studio dell’avvocato ARMANDO TAGLIERI, rappresentate e difese dall’avvocato NATALINA ANNA BERTONE;

– ricorrenti –

contro

T.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BONCOMPAGNI 61, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PILUSO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1293/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PONTERIO CARLA.

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza n. 1293 pubblicata il 12.8.2018, ha respinto l’appello delle società Turchese s.r.l., Giove s.r.l., Corallo s.r.l., Avorio s.r.l., confermando la pronuncia di primo grado nella parte in cui, accertata l’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro di T.C. e l’illegittimità del licenziamento intimato il 4.9.2008, aveva condannato le predette società in solido alla reintegra della T. nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni secondo la disciplina dell’art. 18 St. Lav. nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, nonchè al pagamento di differenze retributive, quantificate in Euro 11.345,92, per lo svolgimento di lavoro straordinario e di mansioni superiori;

2. la Corte territoriale, conformemente al giudice di primo grado, ha ritenuto dimostrata l’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro in base ai seguenti dati: i poteri direttivi ed organizzativi nei confronti della dipendente T. erano esercitati da M.P., legale rappresentate non solo della Turchese s.r.l., di cui la lavoratrice era formalmente dipendente, ma anche di tutte le altre società appellanti; la T. aveva prestato attività lavorativa non solo presso il punto vendita Sisley gestito dalla sua formale datrice di lavoro ma anche presso i punti vendita gestiti dalle altre società appellanti; nel giugno 2008, a seguito del crollo del solaio nel punto vendita Sisley, la merce era stata spostata dalla stessa T. e dalla sua collega presso il punto vendita Benetton gestito dalla Avorio s.r.l. ove la T. aveva continuato a svolgere l’attività lavorativa; dopo la chiusura del punto vendita gestito dalla Turchese s.r.l., che aveva determinato il licenziamento della T., la collega di questa, dipendente della medesima società, aveva continuato la propria attività lavorativa presso il punto vendita gestito dalla Avorio s.r.l.;

3. la Corte di merito ha ritenuto illegittimo il licenziamento motivato dalla chiusura del punto vendita formalmente gestito dalla Turchese s.r.l., sia per essere il rapporto di lavoro imputabile all’unico centro costituito dalle suddette società e sia per la mancata prova della definitiva chiusura del medesimo punto vendita;

4. ha ritenuto dimostrato, in base alle prove testimoniali, lo svolgimento di lavoro straordinario come allegato dalla lavoratrice ed anche la prassi per cui la stessa, al pari delle colleghe, veniva costretta a sottoscrivere buste paga recanti importi superiori a quelli effettivamente corrisposti;

5. la sentenza impugnata ha considerato inidonea la prova relativa allo svolgimento da parte della T. delle superiori mansioni di responsabile di negozio, accogliendo sul punto l’impugnativa delle società;

6. ha provveduto a disporre una c.t.u. contabile che ha ricalcolato le differenze retributive spettanti alla lavoratrice unicamente per lavoro straordinario, considerando come percepite non le somme risultanti dalle buste paga bensì quanto dalla medesima indicato, ed è giunta a determinare il credito della T. per la voce suddetta come pari ad Euro 14.245,00;

7. in ragione del fatto che il credito per il lavoro straordinario accertato fosse superiore alla somma liquidata con la sentenza di primo grado (comprendente lavoro straordinario e mansioni superiori), la Corte d’appello ha disposto il rigetto integrale dell’impugnativa spiegando che “nonostante la ritenuta carenza di prova sul capo relativo alle mansioni superiori, la somma dovuta supera quella oggetto dell’impugnata condanna”;

8. avverso tale sentenza le società Turchese s.r.l., Giove s.r.l., Corallo s.r.l., Avorio s.r.l., tutte in liquidazione, hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso T.C.;

9. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

10. con il primo motivo di ricorso le società Turchese s.r.l., Giove s.r.l., Corallo s.r.l., Avorio s.r.l. hanno dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 132,156, comma 2, 161 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

nullità della sentenza per contrasto tra motivazione e dispositivo;

11. hanno rilevato come la sentenza d’appello avesse, nel dispositivo, rigettato integralmente l’impugnazione e nella parte motiva statuito che “l’appello merita accoglimento solo in parte” e che “la sentenza appellata merita conferma solo in parte” non potendosi “ritenere provato il dedotto svolgimento di mansioni superiori”;

12. hanno precisato come la Corte di merito avrebbe dovuto accogliere parzialmente l’appello, dando atto nel dispositivo della riforma del capo di sentenza sul riconosciuto svolgimento delle superiori mansioni;

13. col secondo motivo le società ricorrenti hanno censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2359 c.c., con conseguente inapplicabilità dell’art. 18 St. Lav. per mancanza del requisito occupazionale;

14. hanno sostenuto come la sentenza impugnata avesse erroneamente desunto l’esistenza di un collegamento economico funzionale tra le società dall’unico dato della titolarità della rappresentanza legale delle stesse in capo al medesimo soggetto;

15. il primo motivo di ricorso è infondato;

16. è pacifico il principio secondo cui nel rito del lavoro solo il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione; sussiste un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 156 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4, nel caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale, non essendo possibile ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, con valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo (cfr. Cass. n. 14966 del 2007; Sez. 6 n. 15990 del 2014);

17. la prospettata insanabilità del contrasto non sussiste, invece, quando la motivazione, lungi dal risultare del tutto antitetica, sia, invece, coerente rispetto al dispositivo, limitandosi a ridurne o ad ampliarne il contenuto senza tuttavia inficiarne il contenuto decisorio, e se ne possa escludere, peraltro, qualsiasi ripensamento sopravvenuto, essendo la motivazione saldamente ancorata ad elementi acquisiti al processo. In tal caso, la divergenza tra dispositivo e motivazione non preclude il raggiungimento dello scopo di consentire l’individuazione del contenuto del decisum ed esclude, di conseguenza, la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2 (cfr. Cass., Sez. 6 n. 10305 del 2011);

18. nel caso in esame, la divergenza che certamente esiste tra dispositivo e motivazione non è affatto insanabile in quanto la stessa motivazione dà conto della riforma del capo della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto lo svolgimento di mansioni superiori, laddove la condanna al pagamento della somma liquidata dal Tribunale è confermata in ragione dell’accertamento del maggior credito spettante alla lavoratrice, anche se solo a titolo di lavoro straordinario; la lettura della sentenza consente in tal modo l’esatta individuazione del decisum;

19. il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha dichiarato esistente un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro non in base al solo indice dell’essere identico il legale rappresentante delle diverse società, bensì in base a più indici, tra i quali l’utilizzazione della T. da parte di più società presso i rispettivi punti vendita;

20. ciò in conformità all’orientamento di questa Corte (Cass. n. 7704 del 2018) secondo cui “ove il collegamento economico-funzionale tra le imprese sia tale da comportare l’utilizzazione contemporanea e indistinta della prestazione lavorativa da parte delle diverse società si è in presenza di un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro; ne consegue che tutti i fruitori dell’attività devono essere considerati responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, in virtù della presunzione di solidarietà prevista dall’art. 1294 c.c., in caso di obbligazione con pluralità di debitori, qualora dalla legge o dal titolo non risulti diversamente” (cfr. anche Cass. 19023 del 2017; n. 26346 del 2016);

21. per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto;

22. le spese di lite sono regolate secondo il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

23. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Nicola Piluso, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 8 luglio 2020

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