LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34250/2018 proposto da:
G.A., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Gilardoni;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, *****;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato in data 8/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.
FATTI DI CAUSA
G.A., cittadino *****, ha proposto ricorso per cassazione – basato su un solo motivo e con il quale ha prospettato pure dubbi sulla costituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3 septies – nei confronti del Ministero dell’Interno e avverso il decreto del Tribunale di Brescia, depositato in data 8 ottobre 2018, di rigetto del ricorso dallo stesso proposto in primo grado e volto ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione per motivi umanitari.
L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va anzitutto rilevato che il provvedimento impugnato è stato depositato in copia priva della pagina n. 5.
Considerato, tuttavia che la copia, pur incompleta, del decreto depositata consente di dedurre con certezza l’oggetto della controversia e di evincere le ragioni della decisione per quanto rileva in questa sede, alla luce di quanto rappresentato dal ricorrente e dell’unico motivo proposto, il ricorso deve ritenersi procedibile (Cass. 17/02/2005, n. 3254; Cass., ord., 5/06/2018, n. 14426).
2. Come già sopra evidenziato, il ricorrente ha in ricorso prospettato dubbi sulla legittimità costituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3 septies per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e comma 7, nella parte in cui stabilisce che il procedimento è definito con decreto non reclamabile, entro sessanta giorni dalla presentazione del ricorso, così eliminandosi il doppio grado di merito e delineandosi “un procedimento caratterizzato dall’adozione del rito camerale a contraddittorio solo eventuale in cui la formazione della prova è demandata (nella maggior parte dei casi) alla visione di una videoregistrazione, quindi a un mero controllo formale di quanto stabilito dalla commissioni territoriali in sede amministrativa, e la cui decisione è reclamabile solo in Cassazione”.
Il Collegio ritiene carente del requisito della non manifesta infondatezza la questione di costituzionalità prospettata dal ricorrente, come già al riguardo affermato da questa Corte, che ha precisato che “E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost. e art. 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione” (Cass., ord., 30/10/2018, n. 27700; Cass., ord., 5/11/2018, n. 28119; Cass., ord., 18/12/2019, n. 33630).
Questa stessa Corte, con la già richiamata sentenza 30/10/2018, n. 27700, ha pure condivisibilmente affermato, in motivazione, che “il principio del doppio grado non opera affatto, in una pluralità di ipotesi, già nel procedimento di cognizione ordinaria, e ciò non soltanto nel caso delle controversie destinate a svolgersi in unico grado, ma anche in quelle di regola sottoposte a tale principio, come nel caso della nullità della sentenza di primo grado, nelle numerosissime ipotesi estranee alla previsione degli artt. 353-354 c.p.c., in cui il giudice di appello deve, per la prima volta in tale sede, decidere il merito della controversia; nel caso della (fondata) denuncia in appello del vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado; nel caso della domanda correttamente non esaminata dal primo giudice perchè dichiarata assorbita; nel caso del ricorso per cassazione per saltum, eccetera.
A maggior ragione il legislatore può sopprimere l’impugnazione in appello al fine di soddisfare specifiche esigenze, massime quella della celerità (basti considerare, a mero titolo di esempio, le diverse ipotesi in cui l’appello è escluso nel giudizio fallimentare), esigenza quest’ultima intuitivamente decisiva per i fini del riconoscimento della protezione internazionale”.
Pertanto, neppure può condividersi la tesi del ricorrente, secondo cui, con la normativa in esame, così come novellata, sarebbe stata prevista “una disciplina unica nell’ordinamento italiano in materia di diritti soggettivi”, con conseguente violazione del “principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza”.
3. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia “violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, con particolare riferimento al mancato riconoscimento dell’autonoma rilevanza giuridica, ai fini del rilascio del permesso umanitario, alla condizione di estrema povertà dello straniero nel Paese d’origine, poichè tale condizione compromette in modo radicale il “raggiungimento degli standars minimi per un’esistenza dignitosa” alla luce delle enunciazioni di cui alla sentenza della Corte di Cassazione nr 4455/2018".
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. Va evidenziato che non risulta in alcun modo che il Tribunale abbia applicato al caso di specie la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, come sembra sostenere il ricorrente, sicchè la decisione è al riguardo in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 13/11/2019, n. 29459, trattandosi nella specie di domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova normativa.
3.3. Osserva poi il Collegio che le censure proposte dal ricorrente – con le quali, richiamando anche la situazione di povertà e di instabilità politica della *****, si lamenta che il Tribunale non abbia esaminato la documentazione prodotta inerente al percorso di inclusione e alle emergenze sanitarie e non abbia considerato i profili emersi nel corso dell’audizione, che darebbero conto dell’incolmabile sproporzione tra la condizione di provenienza e quella conseguita nel Paese ospitante – non colgono la ratio decidendi del decreto impugnato in tema di mancato riconoscimento della protezione umanitaria.
Ed invero il Tribunale ha ritenuto che, nella specie, difettino i presupposti per la protezione in parola, non avendo il ricorrente allegato fattori meritevoli di protezione diversi da quelli esaminati per il riconoscimento della protezione internazionale e per i quali quel Giudice ha espresso un giudizio di infondatezza per inattendibilità del ricorrente, osservando altresì che, pur presentando la situazione della ***** certamente delle criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona, tuttavia, queste criticità, in considerazione pure della specifica zona di provenienza del ricorrente (*****), non siano tali da dar luogo ad una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata od alla privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale. Infine, il Giudice del merito ha reputato non idonea al riconoscimento della protezione umanitaria la fattiva volontà di inserimento nel contesto sociale del Paese ospitante effettuato nei mesi compresi tra la richiesta di protezione internazionale e il suo rigetto, non ritenendo tale elemento idoneo, da solo, a giustificare il diritto al rilascio del permesso di soggiorno, richiamando al riguardo Cass. 23/02/2018, n. 4455, cui pure si è riportato il ricorrente.
3.4. Va, peraltro, ribadito quanto affermato con l’ordinanza 24/09/2019, n. 23778 (pur sulla scia di Cass. 23/02/2018, n. 4455), secondo cui “l’integrazione sociale e lavorativa in Italia, le condizioni di indigenza e i problemi di salute non rilevano ex se ai fini del riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, essendo a tal fine necessario che tali situazioni siano l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita nel Paese di origine, ai sensi degli artt. 2, 3 e 4 CEDU (Cass. 28015/2017, 25075/2017, 26641/2016). Occorre inoltre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente, “perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6" (Cass. 4455/2018)”.
3.5. Va pure ricordato che, con sentenza 6/12/2018, n. 31670, è stato specificamente ritenuto da questa Corte che “le generiche condizioni di povertà del soggetto, rapportate alla situazione di povertà del paese di provenienza, non rientrano nel novero delle circostanze che giustificano la protezione umanitaria, in assenza delle condizioni di vulnerabilità, nel caso di specie neppure specificamente allegate, contemplate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19”.
3.6. Infine, va evidenziato che, nel caso in esame, difettano i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente, aggiungendosi che le proposte censure sono pure inammissibili anche per genericità (avendo il ricorrente omesso di indicare specificamente la documentazione e le circostanze che sarebbero emerse in sede di audizione, genericamente richiamate in ricorso e che si assume non esaminate, senza neppure riportarne il testuale contenuto) e perchè si risolvono, in sostanza, nella richiesta di rivalutazione del merito, non consentita in questa sede.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
5. Non vi è luogo a provvedere per le spese del giudizio di cassazione nei confronti dell’intimato, non avendo lo stesso svolto attività difensiva in questa sede.
6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20 settembre 2019, n. 23535; v. anche Cass. 5/04/2019, n. 9660; Cass., ord., 30/10/2019, n. 27867; Cass., ord., 14710/2019, n. 25862), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020