LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11873/2019 R.G. proposto da:
S.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Fioravanti;
– ricorrente –
contro
B.F., B.M. e C.G., rappresentati e difesi dall’Avv. Enrico Ioannoni Fiore;
– controricorrenti –
e nei confronti di:
Allianz S.p.A.;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, n. 2921/2018, depositata l’11 dicembre 2018;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 febbraio 2020 dal Consigliere Emilio Iannello.
RILEVATO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione di primo grado che – in accoglimento della domanda proposta da B.F., B.M. e C.G. contro S.G. (a seguito di riassunzione di quella originariamente introdotta nei confronti del dante causa di quest’ultima, Geom. L.C., e nei confronti della di lui Compagnia di Assicurazioni, Lloyd Adriatico Ass.ni S.p.A.), diretta all’accertamento della responsabilità professionale del L. nell’espletamento dell’incarico allo stesso conferito, relativo alla ristrutturazione del fabbricato di proprietà dei primi, e alla conseguente condanna al risarcimento dei danni – aveva condannato la S. al pagamento, in favore degli attori, della somma di Euro 46.236,33, oltre rivalutazione monetaria secondo le diverse decorrenze specificate in sentenza e oltre interessi compensativi.
Per quanto ancora interessa in questa sede, la Corte territoriale ha preliminarmente rigettato l’eccezione di nullità del contratto d’opera professionale, reiterata dall’appellante sull’assunto che quella commessa al proprio dante causa non rientrasse nella sua competenza professionale, di talchè il contratto stesso doveva ritenersi stipulato in violazione della norma imperativa di cui al R.D. 11 febbraio 1929, n. 274, art. 16.
Ha infatti, in proposito, osservato che l’incarico professionale “non ha riguardato attività di progettazione strutturale dell’edificio…, che sola avrebbe comportato i necessari calcoli dovuti all’utilizzo del cemento armato, appannaggio esclusivo di ingegneri e architetti, avendo avuto ad oggetto non già la redazione del progetto relativo alle strutture portanti del predetto edificio, nè il relativo consolidamento strutturale, nè, tantomeno, la direzione lavori delle opere strutturali, bensì la ristrutturazione di detto fabbricato a uso abitativo, con parziale cambio di destinazione del piano terra da accessori a negozio; di conseguenza, l’attività svolta dall’originario convenuto in primo grado può senz’altro ritenersi ricompresa tra quelle che la richiamata normativa attribuisce alla competenza dei geometri”.
2. Avverso tale decisione S.G. propone ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resistono B.F., B.M. e C.G., depositando controricorso.
Allianz S.p.A. non svolge difesa nella presente sede.
3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Entrambe le parti hanno inviato memorie, a mezzo posta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Occorre preliminarmente rilevare che le memorie, fatte pervenire da ambo le parti a mezzo posta, sono da considerarsi irrituali, giusta il consolidato principio di diritto, secondo cui: “L’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5, a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito delle memorie di cui agli artt. 378, 380-bis c.p.c., comma 2, e art. 380-bis.1 c.p.c., sia perchè tale previsione, per la sua natura speciale rispetto alle normali attività di deposito degli atti nel giudizio di cassazione, è da reputarsi insuscettibile di applicazione analogica, sia, gradatamente, perchè, essendo il detto deposito diretto esclusivamente ad assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con il congruo anticipo – rispetto alla udienza di discussione e, negli altri due casi, rispetto all’adunanza della Corte – ritenuto necessario dal legislatore, l’applicazione del citato art. 134, finirebbe con il ridurre, se non con l’annullare detto scopo” (v. in termini, ex multis, Cass. 22/10/2018, n. 26551; e anteriormente Cass. 10/04/2018, n. 8835; 19/04/2016 n. 7704; 04/01/2011, n. 182; 04/08/2006, n. 17726).
E’ appena il caso di soggiungere che, peraltro, la memoria della ricorrente è pervenuta al di là del termine di cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza camerale.
2. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del R.D. n. 274 del 1929, art. 16.
Afferma che la norma citata, “al di là delle attività che il Geometra va a svolgere (progettazione, calcoli, direzione lavori, etc.), ne esclude in maniera assoluta la presenza e l’intervento nel caso in cui oggetto della sua prestazione non abbia i requisiti di cui al punto I) ed al punto m) di essa disposizione (I) progetto, direzione, sorveglianza e liquidazione di costruzioni rurali e di edifici per l’uso di industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedono particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone; m) progetto, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili)”.
Rileva che “questo, per ammissione dello stesso Giudicante (“ristrutturazione di fabbricato ad uso abitativo, con parziale cambio di destinazione del piano terra da accessori a negozi”), non è il caso di specie”.
Conclude, quindi, sostenendo che “un’esatta applicazione della più volte citata normativa doveva e deve condurre alla nullità del rapporto professionale e alla conseguente reiezione della domanda risarcitoria”.
3. Il motivo è inammissibile.
La censura non si confronta con le argomentazioni svolte in sentenza a fondamento della decisione, ma vi oppone l’apodittico e meramente oppositivo asserto secondo cui le opere poste ad oggetto dell’incarico fossero tali da richiedere la competenza di più qualificate figure professionali.
Rimane così non indicata l’affermazione in diritto contenuta nella sentenza gravata che si assume in contrasto con la norma evocata, nè in cosa eventualmente sia consistito l’errore di sussunzione della fattispecie concreta in quella normativamente prevista.
A tutto concedere la censura si risolve nella contestazione, peraltro come detto meramente assertiva, della ricognizione del fatto e, segnatamente, della valutazione della natura ed entità delle opere di ristrutturazione (ritenute in sentenza tali da non decampare dai limiti della competenza professionale).
Censura questa evidentemente estranea al tipo di vizio denunciato e, comunque, pur volendo ad essa dare una lettura sostanzialistica (alla luce dei principi affermati da Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931), nemmeno riconducibile al paradigma censorio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti da detta disposizione, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti.
4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020