LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19788-2018 proposto da:
R.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Flaminia, n. 79, presso lo studio dell’avvocato Trulio Antonio (studio Morandini), rappresentato e difeso da se stesso;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ – S.G.A. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Barnaba Oriani, n. 20/A, presso lo studio dell’avvocato Musto Pietro, rappresentata e difesa dall’avvocato De Feo Armando;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1711/2018 della Corte d’appello di Napoli, depositata il 16/04/2018;
letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli artt. 376 e 380-bis c.p.c.;
letti il ricorso e il controricorso;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27 febbraio 2020 dal Consigliere Dott. D’Arrigo Cosimo.
RITENUTO
L’avvocato R.A. notificava alla SGA – Società Gestione di Attività s.p.a. un atto di precetto dell’importo di Euro 4.223,44, richiesto a titolo di rimborso di spese vive e spese generali liquidate nella sentenza n. 3855/2015 della Corte d’appello di Napoli.
La società intimata proponeva opposizione, che veniva accolta dal Tribunale di Avellino, secondo il quale, mancando nella sentenza costituente titolo esecutivo il provvedimento di distrazione delle spese in favore del difensore, quest’ultimo non aveva diritto ad agire personalmente per il recupero di tali importi nei confronti della parte soccombente.
La sentenza veniva impugnata in via principale dal R..
La SGA s.p.a. appellava in via incidentale in relazione alle spese di lite, che la sentenza di primo grado aveva compensato.
La Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame e condannava l’appellante principale al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., comma 3, nonchè al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso tale statuizione il R. propone ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. La SGA s.p.a. ha resistito con controricorso.
Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.
Con l’unico motivo di ricorso il R. denuncia la “violazione o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. n. 5 per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia con mera genericità”. In particolare, il ricorrente si duole della circostanza che la Corte d’appello “non ha valutato la differenza fra l’attribuzione delle spese per onorario con le spese forfettarie”.
Anzitutto si deve rilevare l’erronea formulazione del motivo, nel quale l’ipotesi della violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) non è riferita a disposizioni di diritto sostanziale, bensì ad un altro dei motivi di ricorso per cassazione previsto dallo stesso art. 360 c.p.c. (quello previsto dal comma 1, n. 5).
Va poi rimarcato che, per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione non è più previsto fra i motivi di ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Tuttavia, l’erronea individuazione della tipologia di vizio di legittimità non impedisce di comprendere il significato della censura, che quindi può essere interpretata e riqualificata nei termini corretti, non essendo necessaria, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dall’art. 360 c.p.c., comma 1 (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268 – 01).
Difatti, dalla lettura delle ragioni illustrate a sostegno della censura si comprende che il R. ha inteso, in realtà, dedurre la violazione – ai sensi del art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 -del D.M. Giustizia 10 marzo 2014, n. 55, art. 2, a mente del quale “oltre al compenso e al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all’avvocato è dovuta – in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale – una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione”, nonchè dell’art. 93 c.p.c. in tema di distrazione delle spese in favore del difensore. Il ricorrente sostiene che le spese forfettarie vanno attribuite direttamente al difensore della parte vittoriosa, anche a prescindere dall’adozione di un provvedimento del giudice che distragga in suo favore gli onorari non riscossi e le spese che egli ha dichiarato di avere anticipate. Ciò in quanto, prosegue il ricorrente, il titolo per la riscossione delle spese forfettarie è diverso da quello concernente i diritti e gli onorari, nel caso di specie liquidati separatamente dalla Corte d’appello di Napoli con la sentenza n. 3855/2015 che costituisce il titolo esecutivo posto a fondamento del precetto intimato alla SGA s.p.a. e da essa opposto.
Anche se così reinterpretato e riformulato, il motivo è comunque inammissibile per difetto di specificità.
Infatti, il ricorrente ha totalmente omesso di indicare il contenuto della menzionata sentenza dalla Corte d’appello di Napoli n. 3855/2015. Poichè, nella sostanza, si fa menzione della portata e della interpretazione del titolo esecutivo, avrebbe dovuto essere onere del ricorrente riferire puntualmente del contenuto dello stesso, con particolare riferimento al capo relativo alla condanna al pagamento delle spese processuali ed alla loro liquidazione. Tale omissione determina la carenza di specificità del ricorso e la conseguente inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
Ricorre, poi, una seconda ragione di inammissibilità: il ricorso omette totalmente di confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza impugnata, limitandosi – in modo alquanto generico – a riproporre la tesi già prospettata come motivo d’appello, senza alcun effettivo sforzo interpretativo dei riferimenti normativi (che il ricorrente neppure individua).
Ad ogni modo, qualora si potessero superare i vizi che determinano l’inammissibilità del ricorso, lo stesso risulterebbe comunque manifestamente infondato. Infatti, il D.M. n. 55 del 2014, art. 2, nel prevedere che al difensore spetti il rimborso, in misura forfettaria del 15%, delle spese generali, non intende affatto attribuire a quest’ultimo una legittimazione diretta alla riscossione delle stesse. Infatti, tale previsione, al pari di tutte le altre contenute nel decreto ministeriale, non recano alcuna deroga al principio secondo il quale le spese processuali di qualsiasi natura (onorari, spese vive, spese forfettarie e oneri fiscali e previdenziali) vanno attribuite, in favore della parte vittoriosa, così come testualmente previsto dall’art. 91 c.p.c., comma 1.
Pertanto, le spese generali possono essere richieste direttamente dal difensore qualora egli sia beneficiario del provvedimento di distrazione previsto dall’art. 93 c.p.c.; ipotesi, quest’ultima, che pacificamente non ricorre nel caso di specie. Dunque, correttamente hanno operato i giudici di merito nel ritenere che il R. non fosse legittimato attivo ad intimare personalmente alla SGA s.p.a. il pagamento delle spese generali.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.
Ricorrono, altresì, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo pari al contributo unificato già versato per l’impugnazione proposta.
Sussistono, infine, i presupposti perchè il ricorrente sia condannato d’ufficio ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, nella misura indicata in dispositivo. Infatti, il R. non ha compiuto alcun serio sforzo interpretativo volto a sostenere le ragioni del proprio ricorso, nell’ambito del quale ripropone una tesi priva di qualsiasi riscontro normativo e giurisprudenziale, già fatta oggetto di analoga censura da parte della Corte d’appello, senza confrontarsi con gli argomenti posti alla base della sentenza impugnata.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, nonchè al pagamento – ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, in favore della controparte, della somma di Euro 2.500,00.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020