Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.14505 del 09/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29273-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 135, presso lo STUDIO LEGALITAX, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE PARENTE;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUTEZIA 5, presso lo studio dell’avvocato RODOLFO ROMEO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA GRECO;

– controricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, ESTER ADA SCIPLINO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1263/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 26/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA DE FELICE.

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Catanzaro, a conferma della sentenza del Tribunale di Lametia Terme, ha affermato decorsa la prescrizione quinquennale dei crediti contributivi asseritamente dovuti da M.A. per la somma complessiva di Euro 74.283,41, relativi alle cartelle esattoriali allo stesso notificate da Equitalia Servizi Riscossione s.p.a. rispettivamente il 24 febbraio 2007 e il 7 marzo 2006, in difetto di atti interruttivi successivi alle notifiche;

richiamandosi alle Sezioni Unite n. 23397 del 2016, che hanno risolto il contrasto giurisprudenziale in materia di durata della prescrizione relativamente agli avvisi di pagamento non opposti, la Corte territoriale ha osservato che alla data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio in data 15 gennaio 2013 il termine quinquennale, da calcolarsi a partire dalla notifica delle cartelle contestate, era già decorso;

la cassazione della sentenza è domandata da Agenzia delle Entrate – Riscossione subentrata a Equitalia s.p.a. sulla base di un unico motivo;

M.A. e l’Inps hanno resistito con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è dedotta “Violazione dell’art. 2946 c.c.: la sentenza contro cui si ricorre è viziata nella parte in cui non ha applicato il termine di prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c., trattandosi di crediti iscritti a ruolo oggetto di cartelle di pagamento non impugnate dalla parte debitrice” parte ricorrente contesta la pronuncia gravata sostenendo l’inapplicabilità al caso in esame del principio di diritto fissato da questa Corte nella sentenza Sezioni Unite n. 23397 del 2016;

sostiene che il diritto ad azionare il credito portato nelle cartelle da parte dell’agente della riscossione, in assenza di previsioni normative derogatorie, rimarrebbe quello decennale;

la sentenza delle Sezioni Unite n. 23397 del 2016 avrebbe riguardato la mera applicabilità dell’art. 2953 c.c., ma non si sarebbe pronunciata in merito al profilo dell’individuazione del termine di prescrizione del rapporto obbligatorio scaturente dal titolo esecutivo, che abilita l’agente della riscossione all’esercizio dell’azione di recupero coattivo, il quale deve ritenersi decennale;

trae conferma di tale conclusione dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, il quale, al comma 6 prevede che quando successivamente al discarico per l’accertata inesigibilità del credito iscritto a ruolo l’ente creditore individui l’esistenza di elementi reddituali o patrimoniali significativi riferibili agli stessi debitori, può riaffidare la riscossione delle somme comunicando all’Agente i nuovi beni da sottoporre ad esecuzione, a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale;

il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.;

la Corte territoriale ha dato corretta attuazione al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 23397 del 2016, secondo il quale “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)”;

quanto alla doglianza da ultimo richiamata, essa è priva di rilievo nel caso in esame, in quanto concernente i rapporti fra enti impositori e agente della riscossione e non in grado di incidere sull’individuazione del termine di prescrizione da applicare al credito contributivo vantato dall’Inps in seguito alla notifica della cartella esattoriale;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti di ciascuno dei controricorrenti;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali in favore di M.A. ed Euro 2.500,00 per compensi professionali in favore dell’Inps, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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