LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Angelo A. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 8211/2019 proposto da:
F.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Briganti, come da procura speciale in calce al ricorso per cassazione ed elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica certificato iscritto nel REGINDE avv.briganti.pec.iusreporter.it;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;
– resistente –
avverso la sentenza della Corte di appello di ANCONA n. 1650/2018, pubblicata in data 17 luglio 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna;
FATTI DI CAUSA
1. F.L., nato in *****, il *****, ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 21 giugno 2017, che, al pari della Commissione territoriale competente, aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o umanitaria.
2. Il richiedente ha dichiarato di essere nato e vissuto nella città di ***** in una famiglia di origine musulmana; che lo zio, alla morte del padre, chiedeva alla madre di sposarlo per ottenere l’eredità e che al rifiuto della donna cominciava a maltrattare il richiedente accusandolo anche del furto di alcuni animali e di avere appiccato un incendio; che la madre sarebbe stata costretta dal capo villaggio a pagare per il danno cagionato dal figlio e, non riuscendovi, aveva consigliato al richiedente di lasciare il paese di non farvi ritorno; che aveva lasciato il suo Paese perchè aveva paura dello zio e dei riti *****, avendogli la madre riferito che la morte del padre era connessa all’esecuzione di simili rituali.
3. La Corte di appello di Ancona ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocate, sulla base delle dichiarazioni del richiedente giudicate non credibili, oltre che riguardanti questioni aventi carattere privato; della mancanza di un effettivo rischio nell’ipotesi di rientro nel Paese d’origine alla luce della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza e dell’assenza di lesioni di diritti umani.
4. F.L. ricorre in cassazione con tre motivi.
5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese e ha depositato atto di costituzione ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo F.L. lamenta la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 nel testo applicabile alla controversia ratione temporis e dell’art. 132, art. 156, comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, in subordine omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2. Con il secondo motivo F.L. lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in riferimento all’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost.; alla L. n. 881 del 1977, art. 11; al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27 e 32 e dell’art. 16 Direttiva Europea n. 2013/32, nonchè agli artt. 2, 3, anche in relazione agli artt. 115 e 117 c.p.c.; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5,6,7 e 14 e al Testo unico n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 nel testo applicabile ratione temporis.
3. Con il terzo motivo F.L. lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU; all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e all’art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32.
3.1 Con il primo motivo il ricorrente si duole che la Corte di appello ha omesso la disamina della storia personale del richiedente, ovvero la sua contestualizzazione nel paese di origine e non ha applicato nello sviluppo argomentativo della decisione impugnata i parametri normativi di credibilità del racconto del richiedente previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; non ha esercitato il dovere di cooperazione istruttoria, eventualmente disponendo l’audizione del ricorrente e non ha accertato l’attuale situazione socio-economico-politica del ***** alla data della decisione, ossia marzo 2018 (pagine 27 e 28 del ricorso per cassazione).
Il ricorrente denuncia, inoltre, con il secondo motivo, lacune motivazionali riscontrabili nella sentenza a proposito del rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato la cui motivazione afferma essere meramente apparente al pari di quella che sostiene il rigetto della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
Il ricorrente si duole, ancora, con il terzo motivo, del mancato rispetto del principio di effettività del ricorso in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria.
3.1 Il primo motivo è fondato.
Ciò che rileva, infatti, è la mancata indicazione delle fonti internazionali, a fronte delle specifiche fonti indicate dal ricorrente, in ragione delle quali la Corte di appello ha escluso che vi fosse un conflitto armato rilevante per il riconoscimento eventuale della protezione sussidiaria, dovendosi applicare il principio secondo il quale “In tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto” (Cass. n. 11312 del 26/04/2019).
Chiara è, sul punto, anche la più recente giurisprudenza di legittimità, a tenore della quale il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” va interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (Cass., 20 aprile 2019, n. 9842; Cass., 21 novembre 2018, n. 30105).
Il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione ” (Cass. n. 13449 del 17/05/2019).
Nel caso in esame, la statuizione sul punto risulta assertiva e priva di sia pur minimi riferimenti alle fonti consultate (tali non potendosi ritenere l’Ufficio delle Nazioni Unite per l'***** e il *****), con la conseguenza che la doglianza va accolta.
3. In ragione dell’accoglimento del primo motivo, i rimanenti motivi devono ritenersi assorbiti.
4. In conclusione la decisione impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo; assorbiti i rimanenti motivi, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Ancona, anche per le spese processuali del giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020