Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.14993 del 15/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 15515 del ruolo generale dell’anno 2012, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

VIS s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore P.C., rappresentata e difesa, giusta procura speciale notarile in calce al controricorso, dall’avv.to Stefano Parlatore, elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore (Legance-Studio legale associato) in Roma Via di San Nicola da Tolentino, 67;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria n. 46/04/2012, depositata in data 20 marzo 2012, notificata il 16 aprile 2012.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2019 dal Relatore Consigliere Dott.ssa Putaturo Donati Viscido di Nocera Maria Giulia.

RILEVATO

che:

-con sentenza n. 46/04/2012, depositata in data 20 marzo 2012, notificata il 16 aprile 2012 la Commissione tributaria regionale dell’Umbria ha rigettato l’appello principale proposto dalla Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di VIS s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e l’appello incidentale proposto da quest’ultima nei confronti dell’Ufficio avverso la sentenza n. 24/01/2011 della Commissione tributaria provinciale di Perugia che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta società avverso il provvedimento di diniego n. 37190/2010 dell’istanza di rimborso Iva, per l’anno 2009, per assunta, ad avviso dell’Ufficio, “non operatività” della società, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30;

-in punto di fatto il giudice di appello ha premesso che: 1) l’Ufficio di Perugia sul presupposto del mancato superamento da parte di Vis s.r.l. del test di operatività ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1 (per essere risultati i “ricavi presunti” – calcolati applicando la percentuale del 6% al valore medio nel triennio delle immobilizzazioni finanziarie, materiali e immateriali- inferiori a quelli presunti) aveva negato, con provvedimento n. 37190/2010, l’istanza di rimborso Iva, per il 2009, presentata dalla detta società in relazione ad acquisti di materiali; 2) avverso tale provvedimento la società aveva presentato istanza di autotutela disattesa dall’Amministrazione; 3) alcuni giorni dopo la comunicazione del 3 aprile 2010 del diniego di rimborso, la società aveva presentato il 19 aprile 2010 istanza di disapplicazione ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4bis, respinta dall’Ufficio; 4) avverso il provvedimento di diniego, la società aveva presentato ricorso dinanzi alla CTP di Perugia deducendo: a) l’illegittimità del metodo di calcolo adottato dall’Ufficio in quanto non erano state escluse le immobilizzazioni in corso di costruzione ed allestimento; b) la violazione del principio di collaborazione e buona fede avendo l’Ufficio applicato un metodo di calcolo diverso da quello adottato nel 2008; c)la oggettiva situazione di impedimento del conseguimento dei ricavi poichè il villaggio turistico si trovava in fase di ristrutturazione totale ed era impossibile conseguire ricavi fino al suo completamento; 5) la CTP di Perugia aveva accolto il ricorso in base a quanto affermato dalla contribuente; 6) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello principale l’Ufficio deducendo la carenza di motivazione della pronuncia della CTP, la legittimità del metodo di calcolo dei “ricavi presunti” utilizzato ai fini del test di cui alla citata L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, sulla società risultata “non operativa”; 7) aveva controdedotto la contribuente ribadendo le argomentazioni sottese al ricorso introduttivo e spiegando appello incidentale quanto alla disposta compensazione delle spese processuali;

– in punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) il provvedimento di diniego di rimborso Iva per l’anno 2009 era illegittimo in quanto nel caso di specie: a) sussistevano le condizioni obiettive di disapplicazione della L. n. 724 del 1994 – la cui relativa istanza, peraltro, era stata presentata dalla società pochi giorni dopo la comunicazione del diniego di rimborso – dato che il Villaggio turistico di San Feliciano acquistato dalla società allo stato grezzo si trovava in fase di ristrutturazione totale non ancora completata nell’anno 2009 per insorte difficoltà autorizzative; b) il metodo di calcolo dei ricavi presunti adottato dall’Ufficio- per ritenere non superato dalla società in questione il test di operatività di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1 – non era corretto non essendo stata esclusa “la maggior parte dei costi per le immobilizzazioni in corso di costruzione ed allestimento”;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito, con controricorso, la società contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 346 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57,24 e 32, per avere la CTR, incorrendo nel vizio di ultrapetizione, pronunciato su un motivo – quello afferente alla asserita esistenza di una situazione oggettiva di impedimento del conseguimento dei ricavi giustificativa della disapplicazione della disciplina sulle società c.d. di comodo- introdotto dalla società contribuente, nel corso del primo grado di giudizio, inammissibilmente nella memoria illustrativa in violazione degli del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 24 e 32 e riproposto in sede di controdeduzioni all’appello principale, senza rilevare la inammissibilità dello stesso per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57;

– il motivo è infondato;

-premesso che “è ravvisabile vizio di extrapetizione soltanto allorquando il giudice d’appello pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, oppure su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato; non è invece precluso al giudice del gravame l’esercizio del potere-dovere di qualificare diversamente i fatti, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste contenute nell’atto di impugnazione e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al proprio esame (tra varie, Cass. n. 18830 del 2017; Cass. n. 296 del 2016; n. 16213 del 2015)”, nella specie, dalla lettura della sentenza impugnata – che riporta tra i motivi di impugnativa del diniego di rimborso Iva espressamente quello della “oggettiva situazione di impedimento del conseguimento dei ricavi poichè il villaggio turistico si trova in fase di ristrutturazione totale e che sarebbe impossibile conseguire ricavi fino al completamento”- oltre che dallo stesso atto dell’appello principale dell’Ufficio riportato nel ricorso per cassazione, si evince che la questione della ricorrenza o meno di una situazione oggettiva di impedimento del conseguimento di ricavi giustificativa della disapplicazione della disciplina sulle società non operative, fosse inclusa nel thema decidendum dei giudici di merito;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la insufficiente motivazione della sentenza impugnata per avere la CTR ritenuto sussistere le condizioni oggettive di disapplicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 -in quanto il complesso immobiliare, acquistato dalla società allo stato grezzo si trovava in fase di ristrutturazione totale non ancora completata nel 2009, per insorte difficoltà autorizzative- senza esaminare le eccezioni sollevate dall’Agenzia sulla imputabilità di tale situazione direttamente alla contribuente (per violazione dei vincoli paesaggistici, protrazione della situazione di inoperatività da nove anni, riconduzione delle operazioni- di compravendita del compendio e di fornitura dei materiali per i lavori di completamento del villaggio turistico- alla medesima compagine sociale facente capo alla “famiglia P.”);

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la insufficiente motivazione della sentenza impugnata per avere la CTR ritenuto erroneo il calcolo dei “ricavi presunti” -non avendo l’Ufficio escluso da esso “la maggior parte delle immobilizzazioni in corso di costruzione ed allestimento”- senza specificare nè quali cespiti fossero da escludere nè per quale ragione andassero esclusi e senza argomentare in ordine ai rilievi svolti dall’Ufficio circa il carattere autonomo e non pertinenziale del terreno agricolo e delle attrezzature prese in leasing;

– pregiudiziale è la trattazione del terzo motivo che è inammissibile;

– premesso che “In materia di società di comodo, i parametri previsti dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, convertito nella L. n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13699 del 2016; n. 21358 del 2015), nella specie, la ricorrente pur denunciando, apparentemente, una insufficiente motivazione della sentenza impugnata- in punto di asserita erroneità del calcolo dei ricavi presunti della società per non essere stati esclusi da esso “la maggior parte delle immobilizzazioni in corso di costruzione ed allestimento”- chiede in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative; e invero, il giudice di appello ha con una valutazione di merito- non sindacabile in sede di legittimità- affermato che “il metodo di calcolo adottato dall’Ufficio dal quale è stato rilevato il non superamento del test previsto dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, ed è stata riscontrata la non operatività della società ai sensi della citata L. n. 724 del 1994, art. 30, non (è) corretto poichè dal metodo di calcolo dei ricavi presunti del 6% da porre a raffronto con i ricavi effettivi andavano escluse la maggior parte dei costi per le immobilizzazioni in corso di costruzione ed allestimento”, con ciò dovendo intendersi – come emerge chiaramente dalla lettura della narrativa in fatto della pronuncia- il terreno considerato “pertinenza della struttura in costruzione” e, dunque, non utilizzabile quale bene autonomo (suscettibile di produrre autonomamente reddito) e ugualmente le correlative attrezzature e i mobili- per cui la doglianza si risolve in una difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr. ex plurimis Cass. n. 3077 del 2019; n. 24198 del 2018; Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 27162 del 2009; Cass. n. 6064 del 2008); pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass.n. 30372/18; Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014); in particolare, questa Corte ha precisato che “al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali, e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali, intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, implicitamente, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione, adottata” (Cass., n. 11645 del 2012; n. 8767 del 2011; Cass., n. 14598 del 2003; Cass., n. 12220 del 1998);

– essendo la sentenza impugnata sorretta da due diverse “rationes decidendi”, una fondata sulla ravvisata esistenza di una situazione oggettiva di impedimento del conseguimento di ricavi stante la fase di ristrutturazione totale del compendio immobiliare non ancora completata nel 2009, e l’altra sulla ritenuta erroneità del calcolo dei “ricavi presunti” ai fini del test di operatività ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, per non essere stati esclusi “la maggior parte dei costi per le immobilizzazioni in corso di costruzione ed allestimento”, l’inammissibilità del terzo motivo- che aggredisce la sentenza nella parte in cui la CTR ritiene l’erroneità del calcolo dell’Ufficio- è inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, anche il secondo motivo; ciò, in applicazione del principio secondo cui “Ricorre pertanto il consolidato indirizzo di legittimità secondo cui: “quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta” (Cass. n. 4809 del 2017; n. 12372 del 24/05/2006; in termini: Cass. 16.8.06 n. 18170; Cass.29.9.05 n. 19161 ed altre);

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

la Corte:

– rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento in favore della VIS s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 15 luglio 2020

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