Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.15424 del 20/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1562-2019 proposto da:

U.E.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ADRIANO DE LUNA;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO ***** COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 19/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NAZZICONE LOREDANA.

RILEVATO

– che viene proposto ricorso, sulla base di tre motivi, contro il decreto del 19.11.2018 del Tribunale di Ancona, il quale ha rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, avanzate dal richiedente, cittadino della Nigeria;

– che deposita controricorso il Ministero intimato;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti dell’art. 380-bis c.p.c..

RITENUTO

– che i motivi deducono:

1) violazione degli artt. 112,132 e 156 c.p.c., perchè la credibilità del richiedente non sarebbe stata valutata “sull’effettivo contenuto delle dichiarazioni”, dal momento che il tribunale ha errato nel ritenere che la città di Pourth Harcort (rectius Port Harcourt) non si trovi nella zona del delta del Niger, come è)e dove è notorio che da anni opera un movimento indipendentista; in generale, il racconto del richiedente è del tutto credibile;

2) violazione degli artt. 2967 c.c. (rectius art. 2697) e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per non avere valorizzato la tessera di appartenenza all’Ipob, sulla base del principio dell’onere della prova attenuato;

3) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ed 8, per avere il giudice affermato che un solo atto persecutorio non sarebbe rilevante, mentre anche un singolo evento grave può integrare gli atti persecutori;

– che il ricorso è manifestamente inammissibile, in tutti i motivi in cui si articola;

– che, infatti, il Tribunale ha rilevato come il ricorrente abbia riferito di un solo evento, aggiungendo che è la stessa credibilità del medesimo a fare difetto, per una serie di ragioni, nel decreto puntualmente illustrate: onde, da un lato, il riferimento ad un unico evento scolora del tutto, a fronte di una ritenuta radicale non credibilità; e, dall’altro lato, il ricorrente non può pretendere di ripetere detto giudizio di merito in sede di legittimità;

– che, inoltre, nell’ambito del giudizio di non credibilità il tribunale ha perfettamente collocato anche il possesso della tessera del movimento noto come Ipob, a fronte di un racconto in cui le presunte persecuzioni sono state riferite in forma generica, come esperienze non vissute direttamente, avendo egli solo riferito episodi assai noti, nè essa è indicativa di alcun ruolo particolare; onde egli non sarebbe comunque, in ragione delle sue dichiarazioni, un esponente di spicco;

– che, in definitiva, la valutazione in merito alla credibilità soggettiva costituisce un accertamento di fatto, nè essendo deducibili con il ricorso per cassazione i vizi motivazionali, in riferimento al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– che la valutazione di credibilità soggettiva costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018; n. 3340 del 2019);

– che le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020

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