Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.16314 del 30/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31732-2018 proposto da:

A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PRINCIPESSA CLOTILDE 7, presso lo studio dell’avvocato ALESSIA CAPOZZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO DE GREGORI;

– ricorrente –

contro

V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 30, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO PAGANI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA VENE’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 530/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 327/2012, in parziale accoglimento delle domande di risoluzione del contratto di compravendita, proposta da A.L. nei confronti di V.S., dichiarava risolto il contratto di compravendita per inadempimento dell’acquirente dell’obbligazione di pagamento del prezzo pari ad Euro 217.429, disponendo la restituzione dell’immobile e compensando le spese di lite.

In virtù di appello interposto dal V., la Corte di appello di Genova, nella resistenza dell’appellato che proponeva anche appello incidentale, con sentenza n. 530/2018, accoglieva il gravame principale e in riforma della decisione di prime cure dichiarava valido ed efficace il contratto di compravendita immobiliare, statuendo l’efficacia confessoria della dichiarazione di quietanza resa nell’atto pubblico dal venditore, non dedotta o provata la ricorrenza nel caso di specie di errore o di violenza al momento del rilascio della dichiarazione inammissibile la prova per testi raccolta sul punto. Avverso la sentenza della Corte di appello di Genova A.L. propone ricorso per cassazione, fondato su unico motivo, cui V.S. resiste con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata alle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale le parti ricorrenti hanno depositato anche memoria illustrativa.

Atteso che:

– con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 27232724,2725,2732,1277 e 1453 c.c., nonchè dei principi generali in materia di pagamenti a mezzo assegno bancario. In particolare, ad avviso del ricorrente, la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile la prova testimoniale sul dedotto mancato incasso dell’assegno bancario versato dal V. a titolo di pagamento del prezzo.

La censura è infondata.

La delibazione della Corte territoriale appare in armonia con le coordinate giuridiche della materia, posto che, il divieto stabilito dall’art. 2722 c.c., di provare per testi patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, si riferisce al documento contrattuale, ossia formato con l’intervento di entrambe le parti e racchiudente una convenzione, e non opera, dunque, in riferimento alla quietanza, in quanto quest’ultima costituisce atto contenente una dichiarazione unilaterale (Cass. 20 marzo 2006 n. 6109; Cass. 19 marzo 2009 n. 6685).

In particolare, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, consolidatasi con la pronuncia resa a Sezioni Unite n. 19888 del 22.09.2014, la natura assegnata alla quietanza, nel suo contenuto tipico di dichiarazione di scienza con la quale il creditore attesta al debitore di avere ricevuto il pagamento, è assimilabile alla confessione stragiudiziale: quando è indirizzata al solvens o ad un suo rappresentante, essa ha efficacia di piena prova ed il creditore non è ammesso a fornire la prova contraria di quanto in essa certificato, salva l’ipotesi della sua invalidazione per violenza (che impedisce la volontarietà della dichiarazione) o per errore di fatto (ossia di quietanza rilasciata nella convinzione che la dichiarazione rispondesse al vero).

Pertanto, al creditore quietanzante non è sufficiente, per superare la vincolatività della dichiarazione, provare di non avere ricevuto o incassato il pagamento, come nel caso di specie, perchè il modello di riferimento non è quello della relevatio ab onere probandi e dell’inversione dell’onere della prova che caratterizza le dichiarazioni ricognitive asseverative di diritti ex art. 1988 c.c. Il creditore è ammesso ad impugnare la quietanza non veridica soltanto attraverso la dimostrazione – con ogni mezzo – che il divario esistente tra la realtà ed il dichiarato è conseguenza di errore di fatto o di violenza. Fuori di questi casi, vale il principio di autoresponsabilità, che vincola il quietanzante alla “contra se pronuntiatio” asseverativa del fatto dell’intervenuto pagamento, seppure non corrispondente al vero.

Del resto, nella vicenda oggetto di causa, la quietanza, che nella sua forma tipica è atto rilasciato dal creditore al debitore, è contenuta nell’ambito di un atto pubblico il quale fa fede fino a querela di falso e si sostanzia nella affermazione di intervenuta corresponsione dell’intero prezzo, senza neanche l’indicazione del mezzo di pagamento.

Orbene, il giudice territoriale, ha dunque correttamente l’inammissibilità della prova testimoniale ai fini dell’accertamento del mancato pagamento del prezzo, di cui vi è quietanza, inserita nell’atto pubblico di compravendita stipulato dinanzi al notaio Ferrandino del 12 marzo 2002.

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente in solido alla rifusione delle spese processuali che liquida in favore del controricorrente in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V1-2 Sezione Civile, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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