Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.21700 del 08/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8539-2012 proposto da:

D.F.G., con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato FABIO PACE, C.SO PORTA ROMANA 89/6 MILANO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE NOVARA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 63/2011 della COMM.TRIB.REG. di TORINO, depositata il 19/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO;

udito il “P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato SARTORI per delega dell’Avvocato PACE che si riporta ed insiste per l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

D.F.G. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 63/01/2011, depositata il 19.05.2011 dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con la quale, a conferma della pronuncia di primo grado, era stato rigettato il ricorso avverso gli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2004 e 2005, con cui l’Agenzia delle Entrate, con ricostruzione sintetica fondata sul cd. redditometro, aveva rideterminato ai fini Irpef i maggiori redditi del contribuente.

Ha riferito che l’Amministrazione finanziaria aveva eseguito verifiche D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 38 comma 4, sulla base di indici di spesa, ad un tempo però procedendo ad accertamenti sulle movimentazioni bancarie del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32.

Dopo il contraddittorio con il contribuente, che aveva dettagliato le fonti economiche a giustificazione della capacità di spesa apparentemente incompatibile con il reddito dichiarato, l’Agenzia delle entrate aveva notificato gli avvisi accertamento. Con essi aveva rideterminato l’imponibile e le imposte per gli anni sottoposti a controllo, riconducendo l’accertamento a quello sintetico previsto e disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 6. Tuttavia nella motivazione erano stati espressi riferimenti agli esiti delle indagini bancarie espletate ai sensi del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, ed in particolare alle operazioni ritenute non giustificate dalle spiegazioni del contribuente.

Era seguito il contenzioso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Novara, che con sentenza n. 85/06/2009 aveva rigettato il ricorso. Nel successivo giudizio d’appello la Commissione tributaria regionale del Piemonte aveva confermato la statuizione di primo grado con la pronuncia ora al vaglio della Corte.

Il ricorrente censura con sei motivi la sentenza:

con il primo per omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui il giudice d’appello non ha chiarito che la pretesa fiscale era fondata su un accertamento sintetico, non su un accertamento bancario;

con il secondo per contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver chiarito la natura dell’accertamento, se sintetico o fondato sulle movimentazioni bancarie, con confusione sulla identificazione della prova contraria di cui era onerato il contribuente;

con il terzo per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per aver affermato, ultra petitum, la legittimità di un avviso di accertamento fondato sulla sovrapposizione di un accertamento sintetico e un accertamento bancario;

con il quarto per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto ammissibile un accertamento bancario nei confronti di un percettore di reddito di lavoro dipendente;

con il quinto per omessa o insufficiente pronuncia su un punto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver considerato che il contribuente aveva allegato documentazione integrante la prova contraria rispetto all’accertamento sintetico, senza che l’Ufficio avesse contestato la suddetta documentazione;

con il sesto per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 6, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 167 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto legittimo l’accertamento fondato sulle presunzioni di reddito determinate con ricorso al D.M. 10 settembre 1992, nonostante la prova contraria fornita dal contribuente.

Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza, con ogni conseguente statuizione. L’Agenzia, cui pur risulta ritualmente notificato il ricorso, non ha inteso costituirsi. Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2020, dopo la discussione, il P.G. e la parte presente hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per essere intrinsecamente connessi, il ricorrente si duole dell’insufficienza e contraddittorietà della motivazione sulla natura dell’accertamento fiscale espletato nei suoi confronti. Essi sono fondati nei termini appresso chiariti.

Il D.F. assume che il giudice regionale, incorrendo nel medesimo errore del giudice di primo grado, non avrebbe chiarito o avrebbe confuso le modalità d’accertamento da cui sarebbe stato attinto il contribuente, ossia se da quello sintetico, disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 6 -il cui reddito è determinato sulla base degli indici previsti dai D.M. 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro-, oppure da quello induttivo -basato sulla verifica delle movimentazioni bancarie-.

Conseguentemente il vizio motivazionale avrebbe attinto la stessa identificazione dell’oggetto e della finalità della prova contraria, se cioè tesa a giustificare le spese indice di maggior reddito oppure a spiegare la compatibilità delle operazioni bancarie verificate con il reddito dichiarato.

Ciò chiarito, va premesso che la motivazione degli atti impositivi, riprodotta nel ricorso con stralci delle parti più significative che qui interessano, in osservanza del principio di autosufficienza, non si distingue per chiarezza.

Dalla sua lettura si evince che nel corso della verifica fiscale a carico del contribuente furono rilevati sia gli indici di spesa del D.F., in particolare la proprietà immobiliare, le autovetture e l’assunzione di una collaboratrice domestica, sia le operazioni bancarie emergenti dal conto corrente a lui intestato.

Si evince anche che comunque l’Amministrazione finanziaria provvide ad accertare il reddito sinteticamente, ai sensi del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, ricorrendo ai criteri di rideterminazione basati sugli indici previsti dai dd.mm. del 10 settembre e 19 novembre 1992, cioè al cd. redditometro.

Tanto trova conferma nella parte motiva della decisione, che richiama esplicitamente l’accertamento sintetico facendo riferimento al citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4.

Soprattutto trova conferma nella stessa posizione difensiva dell’Agenzia, come si desume dagli stralci dei suoi atti difensivi, depositati nel corso dei gradi di merito del giudizio, e riportati nel ricorso, nei quali l’Amministrazione ribadisce di aver eseguito un accertamento sintetico nei confronti del contribuente, determinandone il reddito mediante il cd. redditometro. In particolare, nello stralcio dell’atto di costituzione nel giudizio di primo grado l’Amministrazione afferma che “l’accertamento operato dall’Ufficio è fondato su elementi indiziari di reddito dedotto dalla disponibilità di beni e/o servizi per il cui mantenimento la tabella elaborata dall’Amministrazione Finanziaria, allegata al D.M. 19 novembre 1992, determina presuntivamente l’ammontare delle spese sostenute dall’utilizzatore/percettore.” (passo della difesa dell’Amministrazione riportato alla p. 50 del ricorso; il concetto è ripetuto nell’atto difensivo d’appello, un cui stralcio è riportato a p. 54 del ricorso).

Poichè in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva (cfr. 9539/2011), è intuibile, e comunque può ipotizzarsi, che l’Amministrazione abbia fatto ricorso agli accertamenti bancari, previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, come ad un quid pluris teso a rafforzare gli elementi probatori già acquisiti con il redditometro, e dunque a maggior sostegno della dimostrazione della infedele dichiarazione dei redditi del contribuente.

Restando comunque a carico di quest’ultimo l’onere di dimostrare che il reddito ricavato dagli indici di spesa non esisteva o esisteva in misura inferiore (tra le tante, cfr. Cass., 16912/2016; 10037/2018; 27811/2018), e considerato che nel caso di specie il D.F. aveva allegato documentazione con cui giustificare le suddette spese, il giudice regionale avrebbe dovuto concentrare l’attenzione su quella documentazione.

Invece, con una sequenza logica poco chiara, la Commissione regionale si è limitata a valorizzare gli esiti delle indagini bancarie. In particolare ha evidenziato il versamento sul conto corrente di “somme consistenti” della cui disponibilità il contribuente non avrebbe dato spiegazione.

Cioè la Commissione regionale, anzicchè esaminare e valutare la documentazione allegata dal contribuente per giustificare gli indici di spesa rilevati con l’accertamento sintetico dall’Agenzia, si è limitata a valorizzare quelle operazioni bancarie ontologicamente distinte dagli indici di spesa- della cui provenienza ha sostenuto che il contribuente non avesse dato dimostrazione.

Che si tratti di elementi ontologicamente diversi lo dimostra la circostanza che quelle poste in entrata sul conto corrente del contribuente non sono state assunte come elementi giustificativi della capacità di spesa del D.F., ma quale reddito da giustificare, evidentemente ulteriore ma mai contestato nell’atto impositivo, così sovrapponendo al piano dell’accertamento sintetico i meccanismi di valutazione dei redditi presunti a mezzo degli accertamenti bancari.

In conclusione la motivazione risulta contraddittoria ed insufficiente sul piano della sequenza logica, deviando l’attenzione da quello che avrebbe dovuto essere l’oggetto del proprio giudizio critico, ossia dalle prove contrarie allegate dal contribuente per confutare l’addebito del maggior reddito ricostruito dall’Amministrazione con il ricorso al cd. redditometro.

L’accoglimento dei primi due motivi assorbe il terzo e il quarto.

Vanno accolti inoltre il quinto ed il sesto motivo, che possono essere trattati congiuntamente per l’intrinseca connessione, censurandosi, sotto il profilo del vizio motivazionale e dell’errore di diritto, il non aver tenuto conto che il contribuente aveva allegato documentazione integrante la prova contraria rispetto all’accertamento sintetico, senza che l’Ufficio avesse contestato la suddetta documentazione, e l’aver erroneamente ritenuto legittimo l’accertamento fondato sulle presunzioni di reddito determinate con ricorso al D.M. 10 settembre 1992, nonostante la prova contraria fornita dal contribuente.

A tal fine risulta che sin dalla fase del contraddittorio il D.F., a fronte del maggior reddito accertato sinteticamente con ricorso agli indici di spesa, aveva prodotto una pluralità di documenti con i quali aveva preteso di giustificare la capacità di spesa manifestata con l’acquisto di beni mobili (autovetture) e immobili (unità abitativa), nonchè con l’assunzione di una collaboratrice domestica.

In particolare il contribuente aveva individuato una serie di operazioni di smobilizzo patrimoniali eseguiti dal proprio coniuge ( C.C.) a partire dal 2002, per il valore complessivo di Euro 216.911,42. Aveva inoltre evidenziato una serie di versamenti a suo favore corrisposti dai propri genitori (industriali con elevati redditi annualmente dichiarati), le cui specifiche poste, non tutte ma molte, erano tracciabili perchè riconducibili a giroconti ed assegni bancari.

Sostiene il contribuente che il giudice regionale non ha tenuto conto della suddetta documentazione. Per l’effetto avrebbe errato nell’articolazione del percorso logico a supporto della decisione e avrebbe violato le norme preposte alla disciplina dell’accertamento sintetico, che ponendo in capo al contribuente l’onere di allegare la prova contraria alle determinazioni dell’Amministrazione finanziaria sul reddito emergente dalla capacità di spesa del soggetto fiscale controllato, impone all’organo giudicante l’esame e la valutazione delle prove, di segno opposto, allegate dal contribuente e volte a dimostrare che quel maggior reddito presunto è costituito in tutto o in parte da redditi esenti, ad esempio perchè proveniente da finanziamenti di terzi, o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

Ebbene, dalla lettura della sentenza si evince che il giudice regionale si è limitato ad affermare che “l’Ufficio ha evidenziato a supporto del maggior reddito derivante dall’applicazione del redditometro quanto emerso dalle indagini bancarie che nel complesso evidenziano una capacità contributiva diversa e maggiore del dichiarato; analizzata particolarmente la successione dei versamenti non giustificati, non è stato possibile rilevare notizie utili nella documentazione prodotta dal contribuente. Sarebbe stato sufficiente per ogni importo contestato produrre i versamenti effettuati dai genitori che, come afferma il contribuente, sono i mittenti delle somme controverse.”.

A parte la fuorviante attenzione sui risultati delle indagini bancarie, cui sembra relazionata la maggior capacità contributiva rispetto al dichiarato, anzicchè sugli indici di spesa utilizzati dall’Amministrazione per la rideterminazione del reddito, emerge un giudizio del tutto generico, privo di ogni riferimento ad una analitica valutazione dei dati allegati dal D.F..

Al fine del più ampio rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva, nel processo, che sia instaurato a seguito di accertamenti sintetici e induttivi per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto giuridico d’imposta, costituisce principio a tutela della parità delle parti quello secondo cui all’inversione dell’onere i della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a /I dimostrazione della inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve 1, seguire, ove a quell’onere di allegazione il contribuente abbia provveduto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo. Il principio, a garanzia della parità e del regolare contraddittorio processuale per la corretta definizione del rapporto giuridico d’imposta, è tanto più pervasivo quanto più si rifletta sulla limitazione di accesso nel settore tributario ai mezzi di prova, in parte inibiti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4.

Nel caso di specie pertanto il Collegio doveva esaminare la specifica documentazione allegata dal contribuente (operazioni di smobilizzo del coniuge, versamenti tracciabili concessi dai genitori), analiticamente valutandone ammissibilità e idoneità a giustificare la provvista necessaria a sopportare l’acquisto o il mantenimento dei beni e dei collaboratori assunti, costituenti gli indici di spesa individuati dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4.

Dalla lettura della sentenza invece è dato evincere che tale attività è stata omessa dal giudice regionale, che ha così fatto malgoverno tanto degli elementi da selezionare al fine di formulare un giudizio critico logico ed esente da errori materiali, quanto, più in generale, delle regole giuridiche preposte all’esame delle prove.

La sentenza va dunque cassata e il giudizio va rinviato alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, che in diversa composizione, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità, deciderà la controversia attenendosi ai principi di diritto somministrati.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020 Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2020

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