LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1383/2019 proposto da:
O.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Gilardoni, domiciliato presso la Cancelleria della Corte;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE DI BRESCIA n. 4511/18, depositato il 13 novembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/9/2020 dal Consigliere Dott. PIERPAOLO GORI.
RILEVATO
che:
Con decreto n. 4511, depositato in data 13.11.2018 nella controversia iscritta al RGN 18508/2017, il Tribunale di Brescia rigettava il ricorso proposto da O.A., cittadino *****, in impugnazione del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Brescia con cui gli era stato negato il riconoscimento della protezione internazionale emesso dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia. Avverso la decisione in data 12.12.2018 il richiedente ha notificato ricorso, affidato a due motivi e il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, restando intimato.
CONSIDERATO
che:
In via preliminare, il richiedente ha richiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3 septies, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il procedimento è definito con decreto non reclamabile entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso; Non vi sono i presupposti per sollevare la prospettata questione di costituzionalità. Il Collegio osserva che il richiedente si lamenta del fatto che, con l’abolizione del secondo grado di merito nei giudizi di protezione internazionale, per effetto del D.Lgs. n. 25 del 2008, nuovo art. 35-bis, comma 13, il decreto del Tribunale di primo grado non è più reclamabile ed è possibile ricorrere solo per cassazione entro trenta giorni a decorrere dalla comunicazione del decreto da parte della cancelleria.
Va al proposito osservato che la Corte di Giustizia UE con la sentenza Samba Diouf (C-69/10) ha ritenuto che, con riferimento all’art. 39 della Direttiva 2005/85, all’effettività della tutela giurisdizionale non corrisponde un “diritto” ad un certo numero di gradi di giudizio. Inoltre, la Corte Costituzionale italiana, nell’ordinanza n. 190/2013, ha ribadito (cfr. anche Corte Cost. n. 107/2007) che “la garanzia del doppio grado di giudizio non gode, di per sè, di una copertura costituzionale, sicchè non appare fondato il dubbio (…) relativo ad una compressione del diritto di difesa conseguente al fatto che la pronuncia emessa in primo grado dalla Corte d’appello può essere impugnata solo con il ricorso per cassazione”. Infine, il termine di 30 giorni scelto dal legislatore, decorrente dalla conoscenza del provvedimento, non pare un termine irragionevole alla luce della natura della controversia. La questione prospettata dunque si appalesa manifestamente infondata.
Con il primo motivo il ricorrente censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ai fini della protezione sussidiaria, per aver il Tribunale non applicato il “beneficio del dubbio” nel giudizio di verosimiglianza e di complessiva attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente. Così facendo il tribunale, senza esercitare il potere istruttorio ufficioso e basandosi solo sulla insufficiente credibilità del richiedente e attendibilità delle sue dichiarazioni avrebbe rigettato la domanda, senza giustificazione.
Il motivo è destituito di fondamento. In materia di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226 – 02). Il Tribunale, in particolare alle pagg. 4-8 del decreto ha infatti esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, minuziosamente non solo la situazione generale del paese di provenienza del ricorrente, ma anche la sua vicenda personale, individuando numerosi elementi di inverosimiglianza nella prospettazione del richiedente. Motivatamente il Tribunale ha accertato in fatto che il documento (“affidavit”) prodotto in giudizio non è una denuncia alla polizia locale, ma una mera dichiarazione giurata di un soggetto qualificatosi come madre del ricorrente. Inoltre, il tenore dell’affidavit contrasta in passaggi decisivi (candidato e collegio elettorale) con il racconto del richiedente che avrebbe dovuto illecitamente favorire un candidato e di cui avrebbe subito le ritorsioni per la mancata elezione nel 2012, e anche con altra documentazione in atti, avuto riguardo per le informazioni provenienti da fonti qualificate sulla Nigeria (Saharareporters, COI). Infine, il Tribunale ritiene comprensibilmente inverosimile il racconto anche per il fatto che per ben 4 anni la vendetta non arebbe stata consumata a danno del richiedente, residente in un piccolo villaggio vicino a ***** e comunque tale circostanza nega fondamento all’attualità del rischio.
Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali della Paese di provenienza, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese).
Nè ricorre il lamentato vizio motivazionale, peraltro nemmeno specificamente prospettato, nè il vizio in questione potrebbe del resto fondarsi su un erroneo apprezzamento delle risultanze istruttorie: infatti, nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto “attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054), ipotesi macroscopicamente non sussistente nel caso di specie.
– Con il secondo motivo il ricorrente censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, per aver il Tribunale ritenuto non sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in capo al richiedente, non avendo debitamente valutato la condizione di estrema povertà esistente nel Paese di origine, tale da compromettere gli standard minimi per un’esistenza dignitosa.
– Il motivo non può trovare ingresso. In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. In particolare, il Tribunale ha argomentato, escludendole, particolari condizioni di vulnerabilità del Paese di origine, Edo State complessivamente considerato, nel quale le criticità per il rispetto dei diritti fondamentali della persona esistenti non risultano particolarmente pericolose per il richiedente (per sesso, età, religione) con riferimento alla risultanze di rapporto COI aggiornato. Il Tribunale ha poi comparato la vulnerabilità personale del richiedente in Italia con quella nel Paese di origine, tenendo conto del fatto che egli non ha problemi di salute, ha piena capacità lavorativa e in Nigeria gode di parenti verso i quali non gode timori, tra cui la madre.
– All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta dal ricorrente una diversa interpretazione delle risultanze di causa, peraltro senza nemmeno evidenziare circostanze precise a supporto, come era onere del richiedente fare (Cass. n. 4455 del 2018).
– In generale, il ricorso – a parte poche righe, soprattutto alle pagg.2-3 in cui viene riassunto il fatto in modo estremamente sommario – si rivela essere un atto privo di radicamento nella fattispecie concreta, stereotipato nel riferimento ad astratte previsioni di legge senza adeguata allegazione e sostanziazione delle circostanze concrete ritenute processualmente rilevanti.
– In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento va adottato sulle spese, in assenza di costituzione del Ministero. Nessuna statuizione dev’essere adottata dalla Corte in conseguenza dell’eventuale ammissione al gratuito patrocinio (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11677 del 16/06/2020, Rv. 657953 – 01).
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020