LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1004 del ruolo generale dell’anno 2012 proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
Corema s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Mario Garavoglia e Claudio Lucisano per procura speciale a margine del controricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Crescenzio, n. 91, presso lo studio di quest’ultimo difensore;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 77/29/2010, depositata il giorno 11 novembre 2010;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2020 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;
RILEVATO
che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Corema s.r.l., esercente l’attività di commercio all’ingrosso di materiali ferrosi e non ferrosi, tre avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2003, 2004 e 2005, con i quali aveva rettificato le dichiarazioni dei redditi ai fini Irpeg, Irpef e Iva, avendo la società contabilizzato e fatto valere in diminuzione degli imponibili fatture passive relative ad operazioni inesistenti emesse dalle società Marriot s.r.l., Trimet s.r.l., Cirfex Forwarding & Consult s.a.s., Framet s.r.l., Esecom s.r.l., Ketal s.r.l. e Demofer; avverso i suddetti atti impositivi la società aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino che lo aveva rigettato; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: se, da un lato, non era contestabile che gli elementi presuntivi posti alla sua attenzione, valutati singolarmente e nel loro complesso, componevano un quadro probatorio di inesistenza dei soggetti che avevano intrattenuto rapporti commerciali con la società contribuente, d’altro lato, taluni elementi presuntivi da quest’ultima fatti valere potevano essere ritenuti idonei, quali prove contrarie, a provare l’effettività delle prestazioni di cui alle fatture passive;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso;
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, per avere valorizzato, al fine di dare rilevanza alla prova contraria fornita dalla società, elementi presuntivi privi di idoneità probatoria;
il motivo è fondato;
la vicenda in esame va esaminata alla luce dei principi in materia di riparto dell’onere della prova ove sia stata contestata alla società contribuente l’illegittimo utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti;
a tal proposito, questa Corte (Cass. civ., 14 gennaio 2020, n. 444) è costante nel ritenere che, quando l’ufficio contesti al contribuente l’indebita detrazione per operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, raggiunta la quale incombe sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, a norma dell’art. 2697 c.c., fermo restando che tale prova non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia;
esula da tale ambito, poi, la prova della cd. buona fede o della consapevolezza della partecipazione fraudolenta e ciò per l’evidente considerazione che, in tale evenienza, la parte è necessariamente a conoscenza dell’assenza di una operazione economica, di cui la fattura costituisce mera espressione cartolare di eventi non avvenuti, da cui l’inesistenza di un diritto alla detrazione;
ciò precisato, va osservato che, nel suo percorso motivazionale, la pronuncia censurata ha: in primo luogo, ritenuto che gli elementi presuntivi addotti dall’Agenzia delle entrate fossero idonei all’assolvimento dell’onere di prova su di essa gravante; in secondo luogo, con riferimento alla prova contraria della società, ha ritenuto priva di rilevanza le deduzioni difensive consistenti nell’intervallo temporale intercorso tra il compimento delle operazioni e lo svolgimento delle indagini, nella critica ad alcune modalità di verifica, ricerca e acquisizione dei dati relativi alle utenze telefoniche e all’iscrizione nel registro delle imprese; in terzo luogo, ha invece ritenuto che potevano assumere rilevanza di prova contraria diversi ed ulteriori elementi, quali: la circostanza che la società Marriot aveva depositato i bilanci relativi agli esercizi 2003 e 2004; l’intestazione a favore della società Trimet s.r.l. di veicoli e la indicazione nelle fatture del numero telefonico; il deposito dei bilanci e la presentazione delle dichiarazioni dei redditi da parte della società Esecom s.r.l.; l’irrilevanza a fini probatori della dichiarazione del legale rappresentante della società Demofer; l’indicazione del numero telefonico nelle fatture da parte della società Framet e il deposito del bilancio; le risultanze della perizia asseverata, in particolare la circostanza che risultava compiuto l’abbinamento per ogni fattura del documento di trasporto ed il mezzo di pagamento; la disponibilità delle società di conti correnti bancari; l’avvenuto trasferimento della merce mediante vettori terzi; l’avvenuto pagamento, per diverse fatture, mediante compensazione;
con riferimento, quindi, agli elementi di prova presuntiva valorizzati in sentenza, occorre fare due considerazioni;
in primo luogo, i suddetti elementi, ritenuti rilevanti dal giudice del gravame al fine di fondare la sussistenza della prova presuntiva contraria, sono stati riportati e considerati in modo atomistico, senza alcuna indagine nè confronto con i diversi elementi di prova presuntiva prospettati dall’amministrazione finanziaria, in ordine ai quali, peraltro, la stessa Commissione tributaria regionale aveva espresso la propria valutazione in ordine alla loro gravità, precisione e concordanza;
va quindi osservato che, per principio consolidato di questa Corte, la prova per presunzioni (o indiziaria) esige che il giudice prenda in esame tutti i fatti noti emersi nel corso dell’istruzione, valutandoli nel loro insieme e gli uni per mezzo degli altri, onde accertare se la conoscenza del fatto ignorato – che non è possibile trarre da ciascun indizio isolatamente considerato – possa invece essere desunta dalla simultanea compresenza di tali circostanze, laddove ciascuna risulti non contrastante logicamente con le altre e dalla loro connessione emerga un nuovo valore di senso idoneo a fondare il nesso inferenziale, dovendo ritenersi, pertanto, viziato da illegittimità l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (Cass. civ., Corte Cass., 9 marzo 2016, n. 4605);
la pronuncia in esame, in realtà, ha, da un lato, attribuito valore di indizi gravi precisi e concordanti agli elementi presuntivi prospettati dall’amministrazione finanziaria, e, dall’altro, attribuito rilevanza agli ulteriori elementi, prospettati a prova contraria, senza, tuttavia, esprimere, a seguito del confronto tra i diversi elementi presuntivi valutati nel loro complesso, il ragionamento logico inferenziale sulla cui base valutare la prevalenza, a fini probatori, di questi ultimi, pervenendo al giudizio finale di esistenza ed effettività delle operazioni;
difetta, in sostanza, il ragionamento logico seguito, nell’ambito della valutazione della prova presuntiva, per conferire idoneità probatoria agli elementi presuntivi di prova contraria forniti dalla società, da valutarsi singolarmente e nel loro complesso e in confronto con gli elementi di prova forniti dall’amministrazione finanziaria, al fine di pervenire alla considerazione finale della maggiore idoneità probatoria; peraltro, va altresì osservato, come già evidenziato, che la rilevanza probatoria degli elementi presuntivi di prova contraria offerti dal contribuente, al fine di provare l’esistenza delle operazioni contestate, a norma dell’art. 2697 c.c., non possono consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia;
sotto tale profilo, il giudice del gravame ha fatto malgoverno delle regole in materia di rilevanza delle prove presuntive, sicchè la stessa è viziata da violazione di legge;
le considerazioni espresse con riferimento al presente motivo di ricorso hanno valore assorbente degli altri motivi proposti, in particolare: del secondo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia; del terzo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, commi 1 e 5, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, commi 1 e 5;
in conclusione, è fondato il primo motivo, assorbiti i restanti, con conseguente accoglimento del ricorso e cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 31 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020