LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –
Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2584-2016 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
L.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA F. DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato STEFANO MASTROLILLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO TRAVERSO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 647/2015 della COMM.TRIB.REG. di TORINO, depositata il 17/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.
FATTI DI CAUSA
La vicenda giudiziaria trae origine dal ricorso presentato dal contribuente L.R. avverso il diniego di riconoscimento del credito iva da parte della Agenzia delle Entrate.
Il ricorso proposto dal L. era accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Alessandria.
La predetta sentenza, a seguito di appello da parte della Agenzia Delle Entrate era confermata dalla Commissione Regionale Del Piemonte.
Propone ricorso in Cassazione L’Agenzia Delle Entrate che si affida a due motivi così sintetizzabili:
i) violazione e /o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. (violazione del precedente giudicato inter partes) e violazione art. 115 c.p.c. (violazione del principio di non contestazione) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione art. 2697 c.c., D.P.R: n. 600 del 1973, art. 32; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52.
Si costituiva con controricorso il contribuente chiedendo il rigetto e/ o l’inammissibilità del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia Delle Entrate rileva che il giudice di primo grado non ha applicato nel caso il giudicato esterno formatosi inter partes in sede di recupero di rimborso erogato (sentenza Commissione Provinciale di Alessandria n. 1/5/08 non impugnata) violando il disposto di cui all’art. 2909 c.c. secondo cui “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”. Va considerato che il giudice del merito ha preso in esame la sentenza de qua ritenendola che non avesse alcun effetto preclusivo in ordine alla domanda avanzata dal contribuente, sicchè il giudice non ha violato il principio del giudicato ma eventualmente ha errato nella interpretazione del giudicato esterno. Ciò posto è il caso di richiamare in questa sede il principio enunciato dalle sezioni unite di questa Corte (sentenza 28 aprile 1999, n. 277) e condiviso dal Collegio, secondo il quale l’interpretazione del giudicato esterno, formatosi fra le stesse parti in un giudizio diverso da quello in cui ne è invocata l’efficacia, è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito e può essere oggetto di ricorso per Cassazione sia sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della norma dell’art. 2909 c.c. e dei principi di diritto in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata, che per vizi attinenti alla motivazione, i quali, peraltro, vanno specificamente dedotti, non essendo sufficiente il mero richiamo all’art. 2909 c.c..
Premesso che nel caso la parte solleva solo la doglianza della violazione di legge, ed essendo i poteri della Suprema Corte limitati al sindacato di legittimità, le eventuali indagini circa il contenuto sostanziale della pronuncia, la cui ricostruzione, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, è demandata in via esclusiva al giudice di merito, resta incensurabile in sede di legittimità ove non dedotto il vizio di motivazione, nei limiti in cui è possibile a seguito della riforma.
Comunque il che pare dirimente, deve rilevarsi che copia di tale sentenza non è riprodotta in allegato al ricorso, nè è indicata la sede del suo rinvenimento in atti. Nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i documenti – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale della sentenza irrevocabile adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’accertamento della identità dell’accertamento tra il giudicato esterno e l’attuale res litigiosa nè, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in epigrafe al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti. Solo mediante l’esame del documento-sentenza emessa in diverso giudizio, è possibile stabilire se realmente la decisione su cui si è formato il giudicato esterno sia tale da essere rilevante nella vertenza sottoposta alla attuale attenzione. La possibilità che il giudicato esterno abbia un effetto espansivo nel giudizio in corso è quindi condizionata dalla presenza in atti della sentenza che si intenda far valere, munita della attestazione dell’intervenuto giudicato, e nel caso manca sia la sentenza che l’attestazione. Pertanto tale motivo va dichiarato inammissibile per difetto di autosufficienza.
Il ricorrente sostiene anche che il giudice del merito abbia violato la regola di cui all’art. 2967 c.c. e L. n. 28 del 1999, art. 25,D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 allorchè la sentenza ha ritenuto assolto l’onere probatorio da parte del contribuente in tema di riconoscimento del credito. Sul punto, è opportuno precisare, in base a quanto peraltro statuito dalle sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016) secondo cui la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove
– dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in base ad incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie e quindi per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Nel caso il ricorrente non ha colto la ratio decidendi e cioè il giudice di merito non ha mai affermato che l’onere probatorio circa l’esistenza del credito iva spettasse all’Agenzia delle Entrate ma valutando tutte le circostanze di fatto dedotte, e cioè la circostanza del rimborso originariamente attribuito (considerato quale riconoscimento) e poi revocato per motivi formali avendo il contribuente richiesto sia il rimborso che la detrazione del credito iva, che il diniego era stato motivato solo per l’erronea affermazione della decadenza dal diritto per intempestività della richiesta, senza formulare censura circa l’insussistenza del credito, ha ritenuto provato l’esistenza del credito, come già riconosciuto in primo grado, avendo preso in considerazione anche il comportamento delle parti come consente l’art. 116 c.p.c.. Emerge dunque evidente come il ricorrente in realtà avrebbe dovuto prospettare una erronea valutazione dei fatti di causa proponendo la violazione dell’art. 360, n. 5, cosa non avvenuta, il che impedisce a questa corte una rivalutazione del merito della vicenda. In definitiva non può considerarsi violazione dell’onere probatorio nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016).
Pertanto anche tale motivo va dichiarato inammissibile.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2000 oltre oneri di legge.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020
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