Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25835 del 13/11/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PORRECCA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10887-2017 proposto da:

PEGOMAC SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI N. 29, presso lo studio dell’avvocato MANFREDI BETTONI, rappresentato e difeso dall’avvocato NADIA PARISE;

– ricorrente –

contro

GRIMA SRL, rappresentata e difesa dagli avvocati MAURIZIO TREVISAN e SABINA PELLIZZON, domiciliazioni p.e.c.

maurizio.trevisan1951.venezia.pecavvocati.it e sabina.pellizzon.venezia.pecavvocati.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 387/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/09/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

RILEVATO

Che:

Pegomac s.r.l. ricorre per cassazione avverso una sentenza della Corte di appello di Venezia esponendo che:

– aveva ricevuto notifica di due precetti da parte di Grima s.r.l., entrambi basati su assegni: il primo era riferito all’obbligazione di pagamento della caparra di un contratto preliminare di compravendita immobiliare; con il secondo erano stati azionati titoli dati a garanzia del versamento del prezzo concordato per il medesimo negozio;

– nei due giudizi di opposizione ai precetti, poi riuniti, Grima aveva sostenuto che la seconda intimazione era giustificata dall’obbligazione di pagamento di un’indennità di occupazione concordata dopo il preliminare di vendita;

– il Tribunale aveva respinto le opposizioni;

– nelle more del medesimo giudizio, Grima aveva agito per la risoluzione del preliminare, con richiesta di risarcimento dei danni;

– la sentenza che aveva deciso quest’ultimo giudizio, confermata in appello, aveva statuito che tutti i pagamenti eseguiti dalla deducente Pegomac, erano stati in acconto del prezzo fissato per la compravendita;

– nonostante ciò, il primo giudice delle opposizioni aveva ritenuto legittima la pretesa di pagamento dell’indennità di occupazione e il trattenimento della caparra, laddove nessuna richiesta di risarcimento con trattenimento della caparra era stata svolta nel giudizio risolutorio;

– la Corte di appello, adita per la riforma della decisione delle opposizioni a precetto, aveva rigettato il gravame rilevando l’inadempimento, sia dell’obbligo di stipula derivante dal preliminare, sia di quello di pagamento della menzionata indennità;

il ricorso per cassazione di Pegomac è articolato in tre motivi;

resiste con controricorso Grima s.r.l..

RILEVATO

che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., art. 1385 c.c., comma 3, art. 1223 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato affermando la legittimità del trattenimento della caparra mentre la società Grima aveva agito per risoluzione e non per recesso, e nel giudizio risolutorio era stata determinata altrimenti la somma dovuta a titolo risarcitorio;

con il con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2722 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato ritenendo provato per testi un accordo per la corresponsione dell’indennità di occupazione, mentre la dimostrazione di patti aggiunti alla sottoscrizione del preliminare non avrebbe potuto essere data oralmente;

con il terzo motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso e la contraddittorietà motivazionale, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè la Corte di appello avrebbe errato affermando la duplice debenza delle somme riportate nei due precetti, per il medesimo titolo risarcitorio dell’occupazione dell’immobile;

Rilevato che il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3; infatti, come pure evincibile dalla sintesi riportata, non è desumibile con la necessaria chiarezza e compiutezza:

a) quali fossero esattamente i motivi di opposizione;

b) quali esattamente le ragioni decisorie di primo grado;

quanto alle ragioni decisorie di secondo grado, la cui esposizione è frammentata tra riferimento della vicenda processuale e motivi, peraltro anch’essi diffusamente affastellati alla sintesi dei fatti, è dato solo comprendere (pagg. 6-7, 10-11 del ricorso) che la caparra, di cui al primo precetto, è stata riferita dalla Corte di seconde cure all’inadempimento del preliminare, e dunque a titolo differente da quello afferente all’obbligazione di pagamento dell’indennità di occupazione, di cui al secondo precetto;

come ribadito anche di recente da questa Corte a Sezioni Unite (Cass., Sez. U., 28 novembre 2018, n. 30754) il requisito in parola dev’essere rispettato senza che si debba attingere all’esterno del ricorso, neppure alla sentenza impugnata, così qualificandosi, nel giudizio di legittimità, la specificità dell’impugnazione;

in questa cornice, infatti, non è neppure possibile comprendere compiutamente, dal gravame, se i motivi si misurino effettivamente con le ragioni decisorie;

peraltro il primo motivo sarebbe risultato comunque inammissibile perchè:

c) si riferisce confusamente sia al giudizio di opposizione ai precetti sia a quello risolutorio, non chiarendo in quale parte dovrebbe essere in grado d’incidere sulla sentenza qui impugnata e perchè la domanda svolta nel giudizio risolutorio, che non è dato sapere se definito con passaggio in giudicato, dovrebbe determinare le conclusioni da trarre nel giudizio odierno;

d) pone una questione che nel ricorso non si dimostra neppure di aver sollevato idoneamente nelle fasi di merito, e come tale inammissibilmente nuova;

e) non si riporta il tenore dei precetti, come imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, conclamando l’aspecificità del ricorso (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469);

il secondo motivo sarebbe stato egualmente inammissibile perchè avrebbe posto anch’esso una questione nuova, nei sensi sopra chiariti;

il terzo motivo, per come formulato, sarebbe stato comunque inammissibile perchè inibito dalla c.d. doppia conforme di merito, in forza del limite di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5;

spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali di parte controricorrente liquidate in Euro 5.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi e 15 per cento di spese forfettarie.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

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