LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11029-2018 proposto da:
C.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 22, presso lo studio dell’avvocato VERONICA MATTEI, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO POLATO;
– ricorrente –
contro
BANCO BPM SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOMMASO SALVINI 55, presso lo studio dell’avvocato CARLO D’ERRICO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE MERCANTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 148/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 24/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA GIULIA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 148/2018 pubblicata il 24/01/2018, ha confermato la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Venezia, con la quale è stata rigettata la domanda di C.B. nei confronti della Banca Popolare di Verona, San Gimignano e San Prospero (ora Banco BPM spa), di condanna al risarcimento dei danni, per responsabilità precontrattuale o contrattuale derivanti dal comportamento scorretto della banca per non avere, nell’ambito di un contratto deposito titoli sottoscritto nel 2007 e di una operazione, del febbraio 2008, di intermediazione nella collocazione di obbligazioni emesse dalla banca d’affari statunitense Lehman Brothers, usato la corretta diligenza ed omesso di fornire informazioni sulla natura dei titoli nonchè sulla situazione finanziaria dell’emittente.
La Corte territoriale, all’esito di prove per interrogatorio formale e testimoni, ha affermato che la banca convenuta aveva prospettato al C. una serie di strumenti finanziari, che lo stesso attore sosteneva di conoscere, strumenti tra i quali egli sceglieva, assieme all’addetto del settore titoli della banca, quelli poi effettivamente acquistati, relativi alla Lehman Brothers, dopo esame delle caratteristiche delle obbligazioni alla luce dei dati all’epoca disponibili (come confermato dall’interrogatorio del C. e dalla deposizione di teste) e senza alcuna sollecitazione da parte dell’intermediario; inoltre, il titolo era assistito da una valutazione molto alta nel periodo di riferimento (tripla A nel febbraio 2008) e conseguentemente non vi sarebbe potuto essere alcun indizio in ordine ad un imminente default (verificatosi improvvisamente al settembre 2008). Con riferimento, infine, all’adeguatezza del titolo collocato per la tipologia d’investitore, la Corte di merito ha affermato che il C. era stato un dipendente della banca convenuta, periodo nel quale egli si era occupato proprio di titoli mobiliari, cosicchè si doveva definire inevitabilmente un esperto del settore, che risultava essergli stato consegnato il documento sui rischi generali degli investimenti in valori immobiliari e che l’operazione era adeguata anche all’entità del patrimonio finanziario del C. e, tramite il questionario predisposto ai sensi della direttiva MIFID, il medesimo si era qualificato come investitore professionale. In merito poi agli obblighi informativi in corso di rapporto assunti dalla banca per effetto dell’adesione al regolamento del Consorzio “Patti chiari”, da un lato, la banca non aveva alcun obbligo di monitorare il livello di rischio dei titoli in deposito e comunque fino al settembre 2008 alcun dato rilevante ebbe a caratterizzare l’andamento dei titoli in questione.
Avverso la suddetta sentenza, notificata il 6/04/2018, per come dedotto in ricorso, C.B. propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC il 10/4/2018, affidato a due motivi, nei confronti della Banco BPM spa, che resiste con controricorso (notificato il 24/5/2018).
Con nota ex art. 372 c.p.c., notificata il 28/5/2018, il ricorrente ha depositato documenti (in particolare, copia cartacea della sentenza impugnata e della relata di notifica con attestazione di conformità).
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli art. 21 e s.s. TUF nonchè del Reg. CONSOB n. 16190 del 2007, art. 27 e s.s. e 31, 34, 39, 40 per aver la Corte d’Appello ritenuto che la banca avesse fornito tutte le informazioni relative al titolo anche in considerazione del profilo del cliente, nonchè per aver la stessa omesso la valutazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di circostanze relative al profilo dell’investitore; con il secondo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., l’erronea e falsa applicazione delle norme che regolano l’adesione della banca al “Consorzio Patti Chiari”.
2. Preliminarmente, risulta fondata l’eccezione della controricorrente di improcedibilità del ricorso per mancato deposito della copia notificata della sentenza impugnata, unitamente al ricorso per cassazione o comunque entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1.
Questa Corte (Cass.25070/2010) ha già affermato che “la previsione – di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al comma 1 della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve”, cosicchè “nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c., comma 2, applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione” (coni. Cass. 7576/2020).
Nè la sanzione dell’improcedibilità può, nella specie, essere esclusa per essere la relata di notifica della decisione impugnata comunque nella disponibilità del Giudice, perchè prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (Cass.S.U. 10648/2017): la controricorrente ha anzi eccepito l’improcedibilità del ricorso, a causa della mancata produzione della relata di notifica, e l’acquisizione non è stata in concreto effettuata neppure per effetto dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio.
Non rileva la produzione tardiva, effettuata da parte del ricorrente con la nota di deposito notificata alla controparte il 28/5/2018 e depositata il 1/6/2018, ex art. 372 c.p.c., in quanto avvenuta oltre il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, di venti giorni dalla notifica del ricorso.
Neppure il ricorso per cassazione può ritenersi procedibile per effetto della c.d. prova di resistenza, non risultando che la notificazione del ricorso si sia perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza (cfr. Cass. 17066/2013, “poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, “; conf. Cass.11386/2019): nella specie, a fronte di una sentenza impugnata pubblicata il 24/29 /2018, il ricorso è stato notificato il 10/4/2018.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato improcedibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.500,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020