LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14333/2018 proposto da:
P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOSUE’
BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMILIANO DEBIASI, ANDREA DEBIASI;
– ricorrente –
contro
BARONE D.C. SOCIETA’ AGRICOLA SRL, in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANUEL ZANELLA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 59/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 12/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 6/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
P.G. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trento, la società agricola Barone D.C. a r.l. e ne chiese la condanna al risarcimento dei danni conseguiti alla sua attività quale mandatario senza rappresentanza ex art. 1720 c.c., deducendo di aver sottoscritto un preliminare di acquisto di un fondo con tale N., riservandosi di nominare, in sede di rogito, l’acquirente, che avrebbe dovuto essere proprio la società convenuta che, però, al momento della stipula, non si era resa disponibile alla conclusione dell’affare, così procurando al P. danni sia per il tempo impiegato sia per l’impegno assunto dall’attore verso il terzo promissario venditore.
L’attore rappresentò, in particolare e per quanto ancora rileva in questa sede, che: nel 2013 erano intercorsi contatti tra lui e D.C.G.B., quest’ultimo in veste di amministratore e legale rappresentante della società odierna convenuta Barone D.C.; i fondi oggetto dell’affare erano in prossimità di altri terreni “già di proprietà della convenuta”; vi era un progetto “della società Barone D.C.” in relazione ad un realizzando vigneto; egli aveva sottoscritto il preliminare con il promittente venditore N.I. “allo specifico quanto esclusivo fine di permettere il subentro della società convenuta in sede di acquisto definitivo… considerato l’espresso impegno della medesima convenuta a sostituirsi al P. al momento del rogito”.
L’azione proposta si fondava principaliter su un mandato senza rappresentanza ex art. 1705 c.c., “conferito dalla convenuta all’attore”; solo in via subordinata, si prospettava una responsabilità pre-contrattuale “della convenuta” con richiesta risarcitoria; in ulteriore subordine, era stata proposta, sempre nei confronti della sola società, domanda di risarcimento danni ai sensi degli artt. 2028 e 2031 c.c. (gestione di affari altrui) ovvero, da ultimo, ex art. 2043 c.c..
Si costituì la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda, proponendo pure varie eccezioni preliminari tra cui quella di carenza di legittimazione passiva per essersi la società convenuta costituita in epoca posteriore a tutte le vicende, compresa la stipula del preliminare, narrate in citazione e che il suo legale rappresentante, D.C.G.B., era titolare di un’azienda agricola individuale.
Nel corso del giudizio di primo grado venne rigettata l’istanza del P. di depositare memorie ex art. 183 c.p.c..
Quindi il Tribunale adito, con sentenza n. 247/17, dichiarò la carenza di legittimazione passiva in capo alla società convenuta in quanto inesistente all’epoca dei fatti posti a sostegno della domanda attorea, rilevando che fosse impossibile l’accoglimento di una qualunque delle varie domande proposte dall’attore in via alternativa o subordinata, in quanto tutte aventi come presupposto che la società convenuta fosse esistente non solo al momento del perfezionamento del presunto accordo per cui è causa ma già al momento delle precedenti trattative. Quel Tribunale osservò, altresì, che le deduzioni dell’attore formulate in prima udienza, secondo cui il Barone D.C. aveva agito quale rappresentante dell’impresa individuale poi conferita nella società di capitali, costituivano una inammissibile mutatio libelli, perchè in tal modo l’attore aveva dedotto nuovi fatti costitutivi della propria pretesa creditoria, modificando irritualmente ed in modo radicale i presupposti fattuali posti a fondamento delle domande proposte mentre, in relazione all’altra domanda formulata dall’attore per chiamare in causa il barone D.C.G.B., rilevò che essa non trovava giustificazione nelle difese della convenuta, che non aveva in alcun modo sostenuto che questi fosse il vero soggetto legittimato passivo delle domande attoree.
Avverso tale decisione il P. propose appello, cui resistette la società appellata.
La Corte di appello di Trento, con sentenza n. 59/2018, pubblicata il 12 marzo 2018, rigettò l’impugnazione, condannò il P. alle spese del grado e diede atto che, essendo stato integralmente rigettato l’appello, sussistevano i presupposti per l’imposizione a carico dell’appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a mente del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come introdotto dalla L. n. 228 del 2012.
Avverso la sentenza della Corte di merito P.G. ha proposto ricorso per cassazione basato su cinque motivi e illustrato da memoria.
Barone D.C. società agricola a r.l. ha resistito con controricorso, pure illustrato da memoria.
Il P.M. ha depositato le sue conclusioni scritte
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, rubricato: “Violazione di legge per errata interpretazione e/o applicazione dell’art. 183 c.p.c., commi 5 e 6, vizio rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 3”, il ricorrente sostiene che, poichè la convenuta aveva eccepito, nella comparsa di costituzione in primo grado, il suo difetto di legittimazione passiva, indicando quale contraente dell’attore l’azienda agricola individuale, aveva chiesto al G.I. di chiamare in causa tale azienda, e cioè il suo titolare persona fisica Barone D.C.G.B., quale responsabile del fatto oggetto di causa, ma il Tribunale prima e la Corte di merito dopo avevano rigettato tale istanza, il primo con la motivazione che “la ricostruzione fattuale offerta dall’attore è del tutto non verosimile, non avendo quest’ultimo potuto nè intrattenere trattative nè raggiungere un accordo con il Sig. D.C.B., quale legale rappresentante della Società convenuta non essendo quest’ultima ancora venuta all’esistenza all’epoca dei fatti per cui è causa” e la seconda rilevando che l’indicazione, quale controparte dell’attore, del barone D.C., persona fisica invece che quale legale rappresentante della S.r.l., “integra, all’evidenza… un illegittimo mutamento di causa petendi, cioè una versione dei fatti radicalmente diversa da quella prospettata in citazione di primo grado” e tale mutamento della domanda, come evidenziato dal ricorrente, “escludeva la possibilità di ritenere operante la disciplina dell’art. 183 c.p.c.”.
Sostiene il ricorrente che entrambe le decisioni di merito avrebbero ignorato il fatto che tutti i rapporti giuridici facenti capo al predetto barone “erano poi stati assunti per convenzione tra lo stesso Barone e la sua società di capitali, da quest’ultima con efficacia erga omnes (visto che la successione dei rapporti giuridici della Ditta individuale era stata attribuita alla Società di capitali nell’art. 14 dello Statuto di quest’ultima) con la conseguenza che ab inizio tale successivo (così testualmente) poteva apparire coerente con la situazione riconducibile alla nuova regolamentazione societaria dei propri affari disposta dal Barone D.C.”.
Sostiene il ricorrente che la questione posta è quella relativa alla vexata questio delle condizioni e dei limiti della nuova domanda attorea nel corso della prima udienza e che alla Corte di merito sarebbe sfuggito che il predetto barone aveva agito non già in proprio ma quale titolare della sua azienda agricola all’epoca individuale, sicchè il fatto che questa avesse assunto dopo cinque giorni la forma di S.r.l. potrebbe solo significare che a tale nuova società erano “stati automaticamente traslati tutti i diritti, i rapporti ed i negozi giuridici facenti capo alla precedente impresa individuale (ex art. 2558 c.c.)”. Sostiene il ricorrente che se il Tribunale avesse concesso i termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, egli avrebbe potuto argomentare e provare che “il D.C. mentre era pronto a rogitare l’acquisto dei fondi dello steso P., giammai negava la sua disponibilità a rendersi a breve acquirente anche dei fondi del N. e il P. si era trovato nella situazione di interpretare tale atteggiamento del Barone D.C. unicamente quale sua esigenza a non far apparire in un unico contesto un complesso acquisto di parecchi fondi”; deduce altresì il P. che la domanda proposta in sede di prima udienza non costituiva domanda nuova ma mera modifica della domanda precedente, alternativa a quest’ultima.
1.1. Il motivo è infondato, alla luce del principio che questa Corte ha già avuto modo di affermare e che il Collegio condivide, secondo cui, in forza del combinato disposto degli artt. 187 c.p.c., comma 1 e art. 80-bis disp. att. c.p.c., in sede di udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione della causa ex art. 183 c.p.c., la richiesta della parte di concessione di termine ai sensi del comma 6 di detto articolo non preclude al giudice di esercitare il potere di invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione, atteso che ogni diversa interpretazione delle norme suddette, comportando il rischio di richieste puramente strumentali, si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo, oltre che con il favor legislativo per una decisione immediata della causa desumibile dall’art. 189 c.p.c. (Cass. 23/03/2017, n. 7474, Cass. 11/03/2016, n. 4757).
Peraltro, si evidenzia che le Sezioni Unite di questa Corte hanno evidenziato che è ammissibile la modifica della domanda ex art. 183 c.p.c., comma 6, nei limiti consentiti e comunque sempre che ci si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta inizialmente in giudizio (Cass., sez. un., 13/09/2018, n. 22404; v. anche Cass., sez. un., 15/06/2015, n. 12310).
2. Con il secondo motivo, rubricato “Vizio di motivazione per erronea ricognizione della fattispecie concreta che si tramuta in violazione di legge (artt. 2558 c.c. e segg.) costituzionalmente significativa; vizio rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 3”, il ricorrente lamenta che la motivazione della Corte di merito, nella parte in cui ha ritenuto che mai, prima della difesa sviluppata dalla convenuta, il P. avesse affermato che la controparte agiva quale titolare dell’azienda individuale “negando così in radice l’ipotizzabilità che costui (il barone D.C.) avrebbe potuto essere parte, in proprio (e per la sua ditta individuale) di qualunque obbligazione, quindi di assumere… il rapporto giuridico” in questione, sarebbe totalmente lacunosa, tanto da costituire un’ipotesi di mancanza assoluta di motivazione o di motivazione omessa.
Sostiene il ricorrente che non si comprenderebbe perchè la Corte di merito abbia ritenuto che il P., indicando non già il barone D.C. quale persona fisica titolare di impresa individuale ma quale rappresentante della S.r.l., avesse posto in essere un illegittimo mutamento della causa petendi cioè una versione dei fatti radicalmente diversa da quella prospettata in citazione, senza peraltro tener conto che, a prescindere dalla previsione dell’art. 14 dello statuto, per effetto del conferimento dell’azienda individuale del barone D.C. nella società di capitali del medesimo, si sarebbe comunque verificato il subentro della una all’altra nei rapporti giuridici pregressi ex art. 2558 c.c..
2.1. Il motivo va disatteso.
Ed invero la sentenza impugnata risulta motivata sul punto in questione nè tale motivazione risulta meramente apparente.
Inoltre, come pure evidenziato dal P.G., neppure è stata colta con il mezzo all’esame la ratio decidendi della sentenza impugnata di rigetto del gravame, laddove il ricorrente invoca impropriamente la violazione dell’art. 2558 c.c., avendo invece la Corte territoriale disatteso l’impugnazione in quanto la causa petendi posta a sostegno delle domande proposte dal P. nei confronti della società convenuta, nell’atto di citazione di primo grado, era stata unicamente ed esclusivamente rappresentata nell’esistenza di asseriti contatti e trattative che sarebbero intercorsi tra P.G. e D.C.G.B., quest’ultimo intervenuto, secondo l’assunto attoreo, non già in proprio o quale titolare di diversa compagine, aziendale, bensì nella sua espressa e sola “veste di amministratore e legale rappresentante della società odierna convenuta Barone D.C.”, all’esito delle quali l’odierno ricorrente, a suo dire, si sarebbe determinato a stipulare con un soggetto terzo, tale N.I., un contratto preliminare di compravendita di immobili recante la data del 23 marzo 2013, a supposto beneficio sempre e soltanto della convenuta Barone D.C. società agricola S.r.l., convenuta in quanto inadempiente ad obbligazioni assunte dal predetto D.C. nella veste di legale rappresentate di tale società, la quale, invece, era stata costituita solamente in data 28 marzo 2013, e, quindi, successivamente al preliminare concluso dal P. con il terzo N..
Correttamente, pertanto, la Corte di appello di Trento ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva affermato la carenza di legittimazione passiva in capo alla Barone D.C. società agricola S.r.l. e ha escluso, altresì l’ammissibilità della richiesta autorizzazione alla chiamata di terzo in causa, in quanto la situazione poi rappresentata ben avrebbe potuto essere conosciuta dal P. all’atto dell’introduzione del giudizio, sicchè l’attuale ricorrente ben avrebbe potuto formulare una corretta domanda evocando sin dall’inizio in giudizio il soggetto passivamente legittimato e non un soggetto giuridicamente inesistente all’atto della conclusione del contratto in relazione al quale il P. fonda le proprie pretese.
Non avendo mai, prima della difesa svolta dalla parte convenuta, il P. affermato che il D.C. avesse agito quale titolare dell’azienda individuale, la S.r.l. successivamente costituita non avrebbe potuto succedere a titolo universale in un rapporto giuridico non assunto nè riferibile al titolare dell’azienda individuale Barone D.C. di D.C.G.B., di talchè l’asserita violazione del disposto di cui all’art. 2558 c.c., nonchè dell’art. 14 dello Statuto della Barone D.C. società agricola S.r.l. non può che ritenersi del tutto insussistente e comunque risulta eccentrica l’invocazione dell’art. 2558 c.c., in relazione alla risoluzione della fattispecie all’esame.
3. Il rigetto dei primi due motivi assorbe l’esame del terzo motivo, rubricato “Omessa pronuncia nel merito della vertenza, violazione di legge (art. 112 c.p.c.) rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 4, anche con riferimento alla mancata omissione (all’evidenza rectius concessione) dei termini per le memorie ex art. 183 c.p.c., comma 6 e per la mancata decisione in ordine alle istanze istruttorie” e con il quale il P. lamenta che il Tribunale e la Corte territoriale, avendo ritenuto il difetto di legittimazione passiva della società convenuta, non abbiano esaminato nel merito le domande da lui proposte e che il Tribunale, in in particolare, non abbia concesso i termini di cui dell’art. 183 c.p.c., comma 6, sicchè l’attore, invitato subito a precisare le conclusioni, non avrebbe potuto dedurre e argomentare nulla per “implementare le sue deduzioni assertive e o per articolare prova a sostegno delle stesse”.
4. Con il quarto motivo, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (in particolare art. 183 c.p.c., comma 5 e art. 2331 c.c.) per la mancata autorizzazione a chiamare in causa un terzo: vizio rilevante ex art. 360 c.p.c., nn. 3 – 4", si lamenta la mancata concessione del termine per chiamare in causa il terzo ” D.C.G.B. personalmente quale responsabile del fatto oggetto di causa a titolo di falsus procurator della società avversaria ex art. 1398 c.c.”.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Ed invero, il provvedimento con il quale il giudice autorizza o nega la chiamata in causa di un terzo ad istanza di parte coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali, che, come tali, non possono formare oggetto di appello e di ricorso per cassazione (Cass. 20/12/2005, n. 28227, Cass., ord., 26/08/2019, n. 21706; v. anche Cass., sez. un., 23/02/2010, n. 4309, Cass. 12/05/2015, n. 9570).
5. Con il quinto motivo, riferito alle spese di lite, il ricorrente rappresenta di aver pagate quanto liquidato in favore della controricorrente a titolo di spese del doppio grado di giudizio e chiede che questa Corte condanni la controparte alla rifusione di dette spese nonchè alle spese del presente giudizio di legittimità.
5.1. Il motivo non può essere accolto.
Si tratta di un “non motiva” e, comunque, pur a volerlo ritenere un vero e proprio motivo di ricorso, esso è inammissibile, atteso che, in realtà, con lo stesso si censura la regolamentazione delle spese non con riferimento all’esito del giudizio di secondo grado, nel quale tale regolamentazione trova il suo fondamento, ma in relazione ad una ipotizzata e sperata cassazione della sentenza impugnata che, oltre tutto, travolgerebbe la pronuncia sulle spese, laddove, peraltro, detta sentenza non risulta, per quanto sopra evidenziato, censurata con esito positivo (Cass., ord., 15/05/2018, n. 11813; Cass. 31/05/2017, n. 13716; Csiss. 30/6/2015, n. 13314; Cass. 27/10/2012, n. 17492; v. pure Cass., ord., 15/11/2017, n. 26959).
6. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
7. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
8. Va dato atto della sussistsenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del controricorrente, in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020
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