Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.8997 del 15/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26001-2018 proposto da:

ARGENTIERI FRANCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO 44, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI LERNIA, rappresentato e difeso dall’avvocato PIERO MONGELLI;

– ricorrente –

contro

STATO ITALIANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 749/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PORRECA PAOLO.

CONSIDERATO

Che:

A.F., per quanto qui ancora rileva, conveniva in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri, esponendo di essersi laureato in medicina e di aver frequentato un corso di specializzazione medica, in Medicina fisica e Riabilitazione, negli anni accademici tra il 2000 e il 2004;

ciò posto, e premesso di aver ricevuto la sola borsa di studio prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991, senza alcuna indicizzazione nè rideterminazione periodica, chiedeva il riconoscimento della giusta remunerazione imposta dall”acquis communautaire” rispetto al quale lo Stato italiano era rimasto inadempiente, quale infine stabilita dal D.Lgs. n. 368 del 1999 attuato solo dall’anno accademico 2006-2007;

il tribunale rigettava con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui:

– la pretesa spiegata in via principale, infondata nel merito, era comunque anche prescritta, per spirato decennio, quanto al primo anno accademico, e

– quanto alla richiesta formulata in via subordinata, afferente all’incremento indicizzato della borsa di studio e alla sua rideterminazione triennale, previsti dalla normativa del 1991, si trattava di prestazioni soggette al maturato termine prescrizionale quinquennale decorrente dal 2004, ultimo anno accademico seguito, con conseguente estinzione del diritto del deducente esercitato solo nel 2012;

avverso questa decisione ricorre per cassazione A.F. articolando due motivi;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

RILEVATO

Che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione delle direttive comunitarie 362, 363 del 1975, nonchè 82/76, 93/16, del D.Lgs.n. 368 del 1999, del correlato D.P.C.M. 6 luglio 2007, dell’art. 1 della L. n. 266 del 2005, nonchè degli artt. 2935 e 2946, c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare la spettanza della finale attuazione dell”acquis” unionale di settore da parte dello Stato italiano, avvenuta in via soggettivamente parziale ovvero solo per gli iscritti dall’anno accademico 2006-2007, sicchè per il deducente l’inadempienza si era protratta e l’illecito non era mai cessato, o al più la prescrizione, decennale, avrebbe dovuto ritenersi decorrere, senza spirare, dal 1 gennaio 2006, in relazione all’entrata in vigore della L. n. 266 del 2005 citata;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 1999, delle menzionate direttive e dell’art. 3, Cost., poichè, come già sostenuto, la Corte di appello avrebbe errato omettendo di considerare che la mancata trasposizione delle direttive UE di settore aveva integrato un illecito permanente, sino alla compiuta attuazione avvenuta, con riferimento all’ultima direttiva n. 93/16, con l’invocata normativa del 1999, a sua volta posta in esecuzione con il D.P.C.M. del 2007;

Rilevato che i motivi, da esaminare congiuntamente per connessione anche espositiva, sono infondati;

è opportuno, per ragioni logiche, chiarire in primo luogo che correttamente è stata esclusa, da parte della Corte territoriale, la spettanza della remunerazione introdotta dal D.Lgs. n. 368 del 1999;

secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disciplina del trattamento economico dei medici specialìzzandi prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto dei differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, e questo perchè la direttiva 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui alla normativa del 1991 (Cass., 14/03/2018, n. 6355 del 2018, con motivazione ampiamente ricostruttiva; conf. Cass., 29/05/2018, n. 13445, Cass., 25/07/2019, n. 20105);

va quindi ribadito che il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto un’adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990 n. 428 e con il D.Lgs. n. 257 del 1991, che ha riconosciuto agli specializzandi la borsa di studio annua, e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999;

quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva n. 93/16 – che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363, con le relative successive modificazioni- ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione lavoro” e successivamente “contratto di formazione specialistica”) da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa e una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali;

tale contratto, peraltro, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, non dà luogo a un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost. e il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (cfr. Cass., 19/11/2008, n. 27481, Cass., 22/09/2009, n. 20403, Cass., 27/07/2017, n. 18670);

ai sensi della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300, gli effetti delle nuove disposizioni, contenute nel D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 (le quali prevedono sia la stipula del nuovo contratto di formazione, con gli specifici obblighi che ne derivano, sia il corrispondente trattamento economico), sono applicabili, come anticipato, solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007;

il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo, D.P.C.M. 6 luglio e D.P.C.M. 2 novembre 2007;

per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006/2007 è stato quindi espressamente disposto che continuasse a operare la precedente disciplina del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che sotto quello economico;

la direttiva n. 93/16, che costituisce un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti, non ha dunque registrato un carattere innovativo con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione;

la previsione di un’adeguata remunerazione per i medici specializzandi è infatti contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 93/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica), e, si ripete, i relativi obblighi risultano già attuati dallo Stato italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991;

l’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente e idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunce di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza, nella sua iniziale misura, anche a prescindere dagli ulteriori incrementi annuali connessi alla svalutazione monetaria, originariamente previsti dallo stesso testo legislativo e poi sospesi dalla successiva legislazione, sottolineando che “nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, nè sono posti i criteri per la determinazione della stessa (Cass. 26/05/2001 n. 11565)” (Cass., 15/06/2016, n. 12346; Cass., 23/09/2016, n. 18710; l’indirizzo trova indiretta conferma nella sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che avevano disposto la sospensione degli adeguamenti della borsa alla svalutazione monetaria);

sempre per completezza espositiva va ricordato che, ai sensi della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12, e della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1 (cfr., anche, di recente, Cass., 23/02/2018, n. 4449, Cass., 19/02/2019, n. 4809);

conclusivamente, il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999, e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono ritenersi il primo atto di effettivo recepimento e adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi, e legittimamente esercitata differenziando i regimi normativi nel tempo;

da quanto sopra deriva l’infondatezza sia della prima censura, che presuppone l’inadempimento statuale sino alla disciplina del 1999-2007, sia della seconda censura che invoca l’applicazione di quest’ultima al deducente che invece aveva seguito il corso anteriormente all’anno accademico 20062007;

nulla sulle spese in assenza di difese dell’amministrazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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