Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.9119 del 19/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10051-2018 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 102, presso lo studio dell’avvocato PIETRO ANELLO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/3/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del VENETO, depositata il 09/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. RAGONESI VITTORIO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Treviso, con sentenza n. 855/14, sez. 1, accoglieva il ricorso proposto da P.D. avverso l’avviso d’accertamento *****, per irpef irap e iva anno 2004.

Avverso detta decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla CTR Veneto che, con sentenza 21/18, lo accoglieva.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente sulla base di tre motivi.

Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente contesta l’applicazione retroattiva delle disposizioni del D.L. n. 78 del 2009, art. 12.

Con il secondo motivo deduce l’omessa pronuncia in ordine alla deduzione che nel 2004 non erano configurabili violazioni agli obblighi dichiarativi di cui al D.L. n. 167 del 1990, art. 4, presupposta dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, per il raddoppio dei termini.

Con il terzo motivo deduce che conseguentemente all’accoglimento del secondo motivo si dovrebbe affermare l’insussistenza degli obblighi di monitoraggio fiscale.

Il primo motivo è manifestamente fondato.

Sul punto questa Corte ha recentemente avuto occasione di affermare che la presunzione di evasione sancita, con riferimento agli investimenti ed alle attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 102 del 2009, in vigore dal 1^ luglio 2009, non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura processuale, essendo le norme in tema di presunzioni collocate, tra quelle sostanziali, nel codice civile, ed inoltre perchè una differente interpretazione potrebbe -in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. – pregiudicare l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione. (Cass. 2666 del 2018 e Cass. 27845 del 2018).

Il motivo va quindi accolto restando assorbiti i restanti.

La sentenza impugnata va dunque cassata e, sussistendo le condizioni per la pronuncia nel merito, l’avviso di accertamento impugnato va annullato.

La novità della questione giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri e, decidendo nel merito, annulla l’avviso di accertamento impugnato Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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