LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21304-2018 proposto da:
FLY LINE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BAIAMONTI, 10, presso lo studio dell’avvocato MARIA FRANCESCA CALDORO, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO GARGIULO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 608/21/2018 della COMMISSIONE TRIBURARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 23/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO RAGONESI.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 14790/16, sez. 23, accoglieva il ricorso proposto dalla Fly Line srl avverso l’avviso di accertamento ***** per Iva 2011.
Avverso detta decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla CTR Campania che, con sentenza 608/2018, accoglieva l’impugnazione.
Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente sulla base di un motivo.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e decisa con motivazione semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso la contribuente deduce la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. per avere la sentenza impugnata attribuito fonte di prova riguardo ad una ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti ad elementi indiziari privi di gravità, precisione e concordanza, violando così il principio dell’onere della prova sussistente nella fattispecie oggetto di giudizio e affermando di avere comunque dato prova essa della propria buona fede.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, come quello di specie, è onere dell’Amministrazione, che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione fosse inserita in un’evasione o in una frode.
La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che il contribuente aveva la disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode. (da ultimo, ex plurimis, Cass. 5873/19; Cass. 25778/14; Cass. 23560/12).
Nel caso di specie, la Commissione regionale si è attenuta ai principi sovraindicati fornendo una serie di elementi presuntivi idonei a far ritenere che il ricorrente fosse nella condizione di avvedersi, a parte le inadempienze amministrative e fiscali della società venditrice Team shop’s, del carattere fittizio della società in ragione della inesistenza di locali idonei all’esercizio dell’attività e della totale assenza di dipendenti.
Tali circostanze – ha evidenziato la sentenza – avrebbero dovuto indurre la odierna ricorrente a ritenere la fittizietà operativa della venditrice tenendo in particolare conto della frequenza dei rapporti commerciali intercorsi.
La ricorrente avrebbe dovuto in tal senso verificare altresì la veridicità delle fatture allegate alla merce, come disposto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2.
Gli elementi indicati in sentenza appaiono idonei sotto il profilo normativo a costituire delle presunzioni semplici in ragione delle quali sarebbe stato onere della contribuente fornire la prova contraria di avere usato la diligenza di un accorto operatore, ma la sentenza dà atto che tale prova non è stata fornita.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, la ricorrente deduce di avere fornito elementi probatori della propria buona fede ma tale doglianza appare priva di autosufficienza.
La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso. (da ultimo Cass. 5478/18; Cass. 27568/17).
Nel caso di specie, la ricorrente non si è attenuta a tali principi non riproducendo il testo dei documenti che assume aver prodotto nè indicando ove gli stessi sono rinvenibili nel fascicolo di parte.
La censura appare quindi inammissibile.
Il ricorso va dunque respinto.
Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 3.500,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020