Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.9203 del 20/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10048-2018 proposto da:

***** SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 2, presso lo studio dell’avvocato SCHILLACI FRANCESCO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO CASSIANI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA ***** SRL, FALLIMENTO DELLA ***** SRL, in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA CASTELLUCCI;

– controricorrenti –

contro

N.C., M.R., GEMOS SOC. COOP.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 424/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 20/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

FATTI DI CAUSA

1.- La sentenza del Tribunale di Firenze 17 luglio 2013, n. 186 ha dichiarato il fallimento della società di fatto ritenuta esistente tra la fallita ***** s.r.l. ***** e la s.r.l. *****, per l’effetto dichiarando pure il fallimento di quest’ultima. La dichiarazione di fallimento è stata poi revocata dalla sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 283/2014, dietro reclamo presentato dalla s.r.l. *****.

Il Fallimento della s.r.l. ***** ha allora proposto ricorso per cassazione. Il ricorso è stato accolto dall’ordinanza 23 maggio 2017, n. 12962 di questa Corte, che ha cassato la pronuncia della Corte fiorentina, con rinvio della controversia.

2.- Il Fallimento della s.r.l. ***** e il Fallimento della s.r.l. ***** hanno riassunto il giudizio avanti alla Corte di Firenze, chiedendo fosse respinto il reclamo L. Fall., ex art. 18, a suo tempo proposto.

Con sentenza depositata in data 20 febbraio 2018, la Corte territoriale ha respinto il reclamo.

3.- Al riguardo, la sentenza ha prima di tutto respinto l’eccezione relativa alla nullità della notifica dell’atto di riassunzione, “in quanto risulta che la curatela abbia notificato ritualmente l’atto di riassunzione alle… parti, presso il domicilio che risultava da queste specificamente eletto”.

Nel merito, ha poi rilevato che i “reali rapporti sottostanti” ai contratti intercorsi tra la ***** e la ***** “sono tali da far ritenere non tanto l’esistenza di una normale interferenza di gestione tra le due società…, quanto la prosecuzione dell’attività aziendale da parte della nuova società avente il medesimo oggetto sociale attraverso l’esercizio comune dell’azienda”.

4.- Avverso questo provvedimento ricorre per cassazione la s.r.l. *****, con quattro motivi.

Resistono, con unico controricorso, il Fallimento della s.r.l. ***** e il Fallimento della s.r.l. *****.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.- Il primo motivo di ricorso assume la violazione dell’art. 392 c.p.c., per “nullità del procedimento e della sentenza che lo ha definito. Estinzione del processo”.

Afferma dunque il motivo che la Corte fiorentina ha errato, perchè – in punto di notifica del ricorso per riassunzione – si è contentata del “semplicistico commento” che la stessa era stata eseguita presso il domicilio che le parti avevano specificamente eletto. In realtà, la norma dell’art. 392 c.p.c., pretende che la notifica dell’atto riassuntivo venga fatta alle parti personalmente.

6.- Il motivo non può essere accolto.

Risulta infatti puntualmente documentato che la vocatio in ius relativa alla riassunzione è stata effettuata sia ai procuratori costituiti, sia pure personalmente alle parti.

7.- Col secondo motivo di ricorso, il ricorrente assume vizio di omesso esame di fatto decisivo, nonchè violazione dell’art. 392 c.p.c., comma 2, per “omesso esame della exceptio iudicati”.

Rileva il ricorrente, con riferimento alla precedente fase del giudizio svoltasi avanti questa Corte, che il Fallimento della ***** “non una parola aveva speso… per contestare, ancorchè sotto il profilo della violazione di norme di diritto sostanziale, le argomentazioni di merito sottese al proposto reclamo e sulle quali il vaglio del Collegio fiorentino non si era esteso, avendo ritenuto la Corte di Appello sufficiente e necessaria per l’accoglimento del gravame la semplice interpretazione dell’art. 2361 c.c., comma 2, poi censurata dalla Cassazione”. Peraltro, la Corte di Appello pure aveva “operato un incidentale vaglio sull’insussistenza di qualsivoglia prova diretta dell’esistenza di una società di fatto”, così insomma compiendo un “incidentale verifica nel merito”.

Il Fallimento allora ricorrente non aveva tuttavia impugnato questa “incidentale verifica”, così mostrando “acquiescenza tacita” alla stessa. Con l’ulteriore conseguenza – incalza l’attuale ricorrente – che si deve ritenere “passata in giudicato anche l’incidentale statuizione sul merito della vicenda”.

8.- Il motivo non può essere accolto.

In proposito va rilevato che il ricorrente trascura di indicare le parti della sentenza n. 283/2014 della Corte di Appello di Firenze in cui questa avrebbe condotto questa non precisata “verifica incidentale”. D’altro canto, è anche da precisare che quello relativo all’eventuale sussistenza, a livello di fattispecie concreta, di una società di fatto è, per sua propria natura, un accertamento di fatto, per sè non attingibile al giudizio di questa Corte (fuori dal caso di omesso esame di fatto decisivo e fuori dal caso di assenza o irragionevolezza della motivazione).

9.- Il terzo motivo assume violazione della norma dell’art. 2247 c.c., come “derivata anche dalla violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c.”.

Secondo il ricorrente, la sentenza qui impugnata ha fatto “cattivo governo del materiale probatorio che le era stato messo a disposizione dalla reclamante” società e ha anche “erroneamente interpretato il contenuto dell’art. 2247 c.c.”.

10.- Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, infatti, non si sostanzia nell’assunta sussistenza di vizi di irragionevolezza motivazionale della sentenza della Corte fiorentina ovvero di omessi esami di fatti decisivi per l’esito del giudizio. Svolge, piuttosto, le ragioni che – a suo giudizio – comportano l’inesistenza, al livello della fattispecie concreta in analisi, di una società di fatto.

Non diversamente è poi a dirsi, nella sostanza, in punto di assunta violazione della norma dell’art. 2247 c.c.. Che, in proposito, il ricorrente non lamenta, in realtà, un’errata lettura di una o più parti di tale disposizione da parte della sentenza: senz’altro dichiara, invece, che “nel caso di specie non sussiste alcuno dei requisiti necessari affinchè possa parlarsi di un vincolo societario tra le due diverse e distinte compagini sociali, ***** e *****”.

Il motivo si risolve, pertanto, nella richiesta di un ulteriore accertamento del materiale probatorio e fattuale.

11.- Il quarto motivo attiene alla liquidazione delle spese, compiuta dalla sentenza impugnata, che le ha poste, ai sensi dell’art. 94 c.p.c., anche in capo al rappresentante legale della *****, personalmente e in solido con la società.

12.- Il motivo non può essere accolto.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso di condanna del rappresentante dell’ente ex art. 94 c.p.c., il giudice deve identificare in modo preciso i motivi, la ricorrenza dei quali viene a giustificare l’applicazione della norma (Cass., 8 ottobre 2010, n. 20878). Ciò che, nella specie, il giudice del merito ha senz’altro fatto, motivandone l’applicazione con il rilievo della ricorrenza di una “ipotesi di imprudente valutazione della controversia che ha esposto il rappresentato a inutili e evitabili esborsi”.

13.- In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese seguono il criterio della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 5.100.00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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