LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –
Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2881/2015 R.G. proposto da:
S.B.E. VARVIT S.P.A., C.F. *****, con sede in *****, rapp.ta e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Severina Di Comite del Foro di Reggio Emilia e dall’avv.to Nicola Pagnotta del Foro di Roma, elett. dom.ta presso lo studio del secondo in Roma, Via F. Denza n. 15;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, rapp.ta e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale per legge è
dom.ta in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia, Sez. 11 n. 234/11/2014 depositata il 4 giugno 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio 2019 dal Consigliere Luigi Nocella.
RILEVATO
che:
La S.p.A. VARVIT impugnava innanzi alla CTP di Gorizia l’atto di recupero n. *****, notificata dall’Agenzia delle Entrate della stessa città, con la quale questa aveva recuperato, per l’anno d’imposta 2008, “interessi del credito d’imposta utilizzato in misura superiore al limite massimo previsto ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 17 comma 1,” ed irrogato le connesse sanzioni. In particolare la ricorrente lamentava illegittima irrogazione delle sanzioni ad ipotesi di violazione non prevista nel D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, e mancata applicazione della sanzione in misura ridotta ai sensi della medesima norma.
Nel contraddittorio con l’Agenzia resistente, l’adita CTP con sentenza n. 58/01/2013, accoglieva parzialmente il ricorso, dichiarando non dovuta la sanzione; detta sentenza è stata riformata, sull’appello dell’Agenzia, dalla CTR del Friuli Venezia-Giulia con la sentenza oggi impugnata: i Giudici d’appello, premesso che l’atto di recupero era stato emesso ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421, e non già ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36bis, hanno ritenuto che, poichè “la L. n. 388 del 2000, art. 14, comma 1, modificato dal D.L. n. 78 del 2009, art. 10 comma 1, lett. b), nello stabilire un limite massimo alla compensazione dei crediti d’imposta (Euro 516.456,96) ha mantenuto fermo l’obbligo di versamento del tributo dovuto oltre la soglia compensabile”, è infondata la doglianza della contribuente di aver subito un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto ai soggetti destinatari di recupero in seguito a controllo automatizzato, “essendo espressamente esclusa la definizione sanzionatoria agevolata in ambito di mancato pagamento di un tributo”; che il richiamo da parte della Società appellata dell’ord. n. 15938/2010 di questa Corte non era pertinente, poichè in quella pronuncia si discuteva un caso in cui il contribuente aveva ottenuto un indebito rimborso dell’IVA, e non già di un omesso versamento d’imposta, e comunque la Corte aveva incidentalmente ribadito l’applicabilità della sanzione per omesso versamento alle ipotesi di superamento della soglia di compensabilità.
La VARVIT S.p.A. ricorre per la cassazione di detta sentenza, con atto notificato a mezzo del servizio postale il 16.01.2015, fondato su due motivi di censura.
L’Agenzia delle Entrate il 23.02.2015 ha notificato controricorso.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo la ricorrente denuncia falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13: con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17, che consente la compensazione c.d. orizzontale e della L. n. 388 del 2000, art. 34 comma 1, che ha introdotto il limite massimo a tale compensabilità, non è stata prevista alcuna sanzione per il c.d. splafondamento, quando questo non si accompagni all’inesistenza del credito compensato indebitamente; sicchè la contraria interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate con Risol. 27 novembre 2008, n. 452/E, sarebbe, oltre che irrispettosa del principio di legalità D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 3, in contrasto con il principio di proporzionalità delle sanzioni, determinando un trattamento sanzionatorio identico a quello sancito per le ipotesi molto più gravi di omesso versamento dell’imposta dovuta o per utilizzo di crediti totalmente inesistenti; con l’ulteriore beneficio che, dovendo tali debiti, ove accertati in sede di controllo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36bis segg., essere riscossi mediante ruoli ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, ad essi sarebbe applicabile l’ulteriore riduzione di un terzo in caso di pagamento entro 30 gg. dalla comunicazione dell’Agenzia.
La censura è infondata.
Alla stregua della normativa che la CTR ha puntualmente ed efficacemente riassunto, non può dubitarsi che anche l’ipotesi che la ricorrente definisce di “splafondamento” (ovvero fruizione oltre soglia di crediti d’imposta pur esistenti) rappresenti un’ipotesi di omesso versamento d’imposta dovuta; e del resto, anche considerando tale compensazione come un’anticipata fruizione del credito, la violazione sarebbe paragonabile, sotto il profilo della gravità, al ritardato versamento, comunque punibile con identica sanzione, salve le ipotesi di ritardi minori.
Tanto premesso, ogni allegazione di disparità di trattamento sanzionatorio di situazioni comparabili sotto il profilo della gravità oggettiva non possono condurre ad una disapplicazione della norma incriminatrice, salvo che le differenze sanzionatorie siano così gravi da indurre il sospetto di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., situazione che, anche per quanto si va ad illustrare, appare ben lungi dall’essere ravvisabile.
Infatti è del tutto fuorviante assumere la maggiore gravità del mancato versamento per fruizione di crediti inesistenti, poichè in tal caso avrebbero operato le più gravi sanzioni introdotte con il D.L. n. 185 del 2009, art. 27, citato dallo stesso ricorrente, e successivamente trasfuse nell’art. 13, comma 5, in esame.
Parimenti non possono essere addotte, per argomentarne disparità di trattamento sanzionatorio, le ipotesi di omesso pagamento di “chi si sottrae al pagamento”: se la sottrazione avviene attraverso condotte di evasione o di infedele dichiarazione, è evidente che le sanzioni sarebbero diverse e molto più gravi; se si trattasse di mera omissione, totale o parziale, del versamento di quanto dichiarato, la gravità sotto il profilo dell’accertabilità dell’omissione sarebbe del tutto identica e fors’anche minore rispetto alla violazione della quale si discute.
La circostanza infine che siano previste sanzioni meno gravose per le ipotesi di pagamento tardivo, ma entro un termine di 30 gg. dall’avviso dell’Agenzia, appare del tutto coerente rispetto al sistema sanzionatorio, giacchè tiene conto di un comportamento “riparatorio” del contribuente che il legislatore considera meritevole di considerazione sotto il profilo del trattamento sanzionatorio; sicchè la dedotta eventuale difformità di trattamento, sotto tale ultimo profilo, rispetto al procedimento di recupero disciplinato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421, ed applicato dall’Agenzia, non è rilevante, non avendo la Società contribuente scelto di versare, dopo la notifica del provvedimento, la somma indebitamente compensata e non versata nei termini di legge.
Con il secondo motivo di ricorso la SBE VARVIT lamenta falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17: se tale norma escludesse, secondo l’interpretazione datane dalla CTR e presupposta nel dispositivo dell’atto di recupero impugnato, la possibilità di definizione agevolata per tutti i casi di omesso o ritardato versamento di tributi, recuperati dall’Amm.ne, tranne che nei casi di ravvedimento operoso del contribuente, si determinerebbe una disparità di trattamento tra il caso di recupero mediante iscrizione a ruolo e quello di recupero mediante contestazione della violazione (modalità alternativamente disponibili per l’Agenzia ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, comma 2, e art. 17, comma 3), poichè la definizione agevolata non sarebbe ammissibile per le ipotesi di irrogazione delle sanzioni con le modalità previste nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17, comma 3.
Il motivo è inammissibile.
Pur dovendo darsi atto che la questione ha trovato soluzioni contrastanti nella più recente giurisprudenza della Corte (Cass. sez. V n. 27315/2016 e Cass. sez. V 18682/2016), va rilevato che, quando l’amministrazione procede mediante atti di contestazione delle sanzioni, unitamente o separatamente dagli atti di accertamento del tributo al quale sono collegate, è sempre ammessa la definizione agevolata (nel primo caso ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17, comma 2, e art. 16, comma 3); laddove solo per l’ipotesi di irrogazione delle sanzioni a seguito di controlli delle dichiarazioni dell’art. 17, comma 3, ultimo periodo, esclude in ogni caso la definizione agevolata per omessi o ritardati pagamenti. Tale ultima disposizione trova fondamento nella inequivoca volontarietà dell’atteggiamento di omesso pagamento, posto che la volontarietà dell’omissione o del ritardo del pagamento è riscontrata dal contenuto delle dichiarazioni del contribuente.
Poichè peraltro nella specie l’Agenzia, come riferito dalla stessa ricorrente, aveva riscontrato l’indebita compensazione a seguito di verifiche mirate condotte presso gli uffici della Società ed aveva proceduto ad atto di contestazione della violazione ed irrogazione della sanzione ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421, atto del tutto distinto e di natura diversa dai recuperi effettuati sulla base di controlli sulle dichiarazioni, è indubbio che fosse ammissibile la definizione agevolata delle sanzioni, anche ove la formulazione dell’atto di irrogazione apparentemente ne negasse la possibilità; sicchè, non avendo la parte esercitato la facoltà di versare spontaneamente le somme necessarie per la definizione agevolata nei termini per proporre ricorso, deve considerarsi decaduta e non può richiedere di essere oggi rimessa in termini per effettuare un versamento agevolato che aveva una funzione deflattiva ante judicium, nè può vantare il diritto al pagamento in misura ridotta anche nel caso di mancato esercizio del diritto potestativo di scegliere tale modalità di definizione.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Tuttavia, in considerazione della novità della disciplina riguardante le compensazioni c.d. orizzontali all’epoca dei fatti e l’insussistenza di precisi orientamenti della giurisprudenza di questa Corte al momento di proposizione del ricorso, si ritiene giustificata l’integrale compensazione delle spese di questa fase del giudizio. Sussistono tuttavia i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo del versamento, da parte della Società ricorrente, dell’ulteriore contributo unificato nella misura prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di Cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale del cit. art. 13, ex comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020