Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.9481 del 22/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4557-2016 proposto da:

R.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VINCENZO BRUNACCI 19, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO CASCIO GIOIA, rappresentata e difesa dagli avvocati ROMANO PILLI, GIUSEPPE PILLI;

– ricorrente –

contro

VILLA MANGIACANE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RUGGERO FAURO 43, presso lo studio dell’avvocato MARIO CERCIELLO, rappresentata e difesa dagli avvocati LORENZO MASSARI, MANFREDI BURGIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 494/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 12/08/2015 R.G.N. 1014/2014.

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Firenze, con sentenza dei 12 agosto 2015, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui erano state accolte solo talune domande proposte da R.C. nei confronti di Villa Mangiacane Srl relative al rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti dall’agosto 2006 all’aprile 2009;

in particolare – per quanto qui ancora interessa – ha respinto i motivi di impugnazione della lavoratrice relativi al fatto che il Tribunale non avesse dato seguito ai calcoli adottati dal CTU nel quantificare la retribuzione maturata dalla R.;

2. la Corte ha confermato l’errore in cui era incorso il consulente d’ufficio in quanto aveva “aggiunto alla retribuzione calcolata sulla base delle tariffe collettive per l’accertato (superiore) terzo livello il superminimo mantenendolo inalterato per l’intero rapporto e calcolando quindi le differenze rispetto al percepito”, in violazione della regola del cd. “assorbimento” dell’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari;

ha condiviso “il conteggio alternativo” adottato invece dal Tribunale “fondato sul conteggio che il CTP della resistente società aveva formulato nel corso delle operazioni peritali”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la R. soccombente con unico articolato motivo, cui ha resistito la società con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie.

CONSIDERATO

CHE:

1. l’unico motivo di ricorso è articolato in 5 censure che, secondo la prospettazione della stessa parte istante, possono essere così sintetizzate: “Violazione dell’art. 2099 c.c. e dell’art. 36 Cost., nonchè degli artt. 2107 e 2108 c.c. in relazione al corrispettivo per lavoro straordinario; degli artt. 2120 c.c. e L. 29 maggio 1982, n. 297 in relazione al trattamento di fine rapporto; degli artt. 2118 e 2121 c.c., in rapporto all’art. 2110 c.c. ed al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 55 in relazione all’indennità di preavviso spettante alla lavoratrice nel caso di dimissioni prestate nel periodo di comporto per maternità; falsa applicazione dell’art. 2225 c.c. disciplinante il corrispettivo in ambito di lavoro autonomo; il tutto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”;

nella sostanza parte ricorrente, assunto che il principio dell’assorbimento del cd. superminimo opera “rispetto alla retribuzione mensile ordinaria, ma non per le ulteriori e/o eventuali diverse voci di credito derivanti dal rapporto di lavoro”, lamenta che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto “soggetti ad assorbimento nel superminimo mensile corrisposto alla ricorrente dal luglio 2007 anche le voci di credito, ulteriori alla retribuzione ordinaria mensile maturata dal luglio 2007 in poi”, emolumenti quali differenze retributive mensili maturate dall’agosto 2006 al luglio 2007, lavoro straordinario, trattamento di fine rapporto, indennità sostitutiva del preavviso;

2. il ricorso, per come formulato, non può trovare accoglimento;

2.1. opportuno premettere che, in riferimento alla violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compìto istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012); inoltre il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007), sicchè il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perchè è quella che è stata operata dai giudici del merito; al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti;

2.2. ciò posto, parte ricorrente, con riferimento a nessuna delle plurime violazioni di legge prospettate, individua quali siano “le affermazioni in diritto” contenute nella sentenza impugnata che siano in difformità rispetto alle norme ed alla loro interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, piuttosto lamentando che – in fatto – i giudici del merito avrebbero indebitamente sottratto da voci di credito diverse dalle retribuzioni minime tabellari gli importi dei superminimo;

si tratta, appunto, di fatti, che non possono essere oggetto di rivisitazione in sede di legittimità, tanto più che nella specie, in violazione del canone della specificità dei motivi di ricorso per cassazione, non vengono riportati in ricorso i contenuti delle consulenze tecniche dai quali poter in limine litis riscontrare la veridicità delle deduzioni svolte nè, tanto meno, viene indicato dove, come e quando, le questioni oggi prospettate siano state sottoposte ai giudici del merito, menzionando i contenuti degli atti processuali che documentino come ciò sia accaduto nel corso dei giudizio;

3. conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con spese a carico della soccombente liquidate come da dispositivo;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17;

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 3.800,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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