LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1236-2016 proposto da:
AZIENDA TRASPORTI E MOBILITA’ TRAPANI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2 presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA BUCCELLATO (studio legale associato Aiello – Pastore- Americo), rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE PARISI;
– ricorrente –
contro
P.E., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIOVANNI LO BELLO, TERESA TORNAMBE’;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 933/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/07/2015 R.G.N. 322/2013.
RILEVATO
CHE:
1. Con sentenza n. 933 del 20.7.2015 la Corte di appello di Palermo, in riforma della pronuncia del Tribunale di Trapani, ha accolto la domanda di P.E. proposta nei confronti di Azienda Trasporti e Mobilità-ATM Trapani s.p.a. per il pagamento della maggiorazione della retribuzione conseguente al lavoro eseguito nel settimo giorno consecutivo, ed ha condannato la società al pagamento di Euro 6.745,51, premettendo che il diritto era stato già riconosciuto dalla sentenza n. 1952/2009 della Corte di appello di Palermo che aveva omesso di statuire sul quantum, impedendo che si formasse giudicato (anche solo implicito) sulla quantificazione;
2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con un motivo, Il lavoratore ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. nonchè vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il Tribunale di Trapani (con sentenza n. 392/2007) aveva espressamente rigettato la domanda diretta alla quantificazione delle somme rilevando che il lavoratore già percepiva un compenso pari al 220% nel settimo giorno consecutivo lavorato, mentre nulla spettava per i giorni successivi al settimo e fino alla fruizione del riposo compensativo, e che l’adita Corte di appello (con sentenza n. 1952/2009), in “parziale riforma”, aveva riformato soltanto la parte della sentenza di primo grado sull’an debeatur, lasciando in vita il giudicato (di rigetto) del primo giudice concernente il quantum;
2. il ricorso non è fondato dovendosi richiamare il principio, conforme all’insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui il giudicato (interno) può formarsi solo su di un capo autonomo di sentenza che risolva una questione avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente e determinante ai fini dell’accertamento del diritto (Cass. n. 17935 del 2007; Cass. n. 23747 del 2008);
3. questa Corte ha già affermato che tra l’accertamento della sussistenza del diritto ed i criteri per la sua quantificazione sussiste un legame indissolubile che, in caso di appello limitato alla contestazione delle modalità di calcolo, inibisce il formarsi di un giudicato interno sul primo, o la configurabilità di una forma di acquiescenza (Cass. n. 19949 del 2015), e che, ove la sentenza di primo grado abbia dichiarato la illegittimità del contratto ed il conseguente diritto al risarcimento, e sia stata impugnata solo sulla prima questione e sia stata confermata in appello, si forma il giudicato anche sulla seconda questione, giacchè quest’ultima non costituisce capo autonomo ma capo dipendente dall’altra (Cass. n. 17895 del 2016);
4. questa Corte ha, altresì, affermato che il giudicato implicito, formandosi sulle questioni e sugli accertamenti che costituiscono il presupposto logico indispensabile di una questione o di un accertamento sul quale si sia formato un giudicato esplicito, non è configurabile in relazione alle questioni pregiudiziali all’esame del merito ovvero a quelle concernenti la proponibilità dell’azione quando, intervenuta la decisione sul merito della domanda, la parte soccombente abbia proposto impugnazione relativamente alla sola (o a tutte le) statuizioni di merito in essa contenute, in quanto detta impugnazione impedisce la formazione del giudicato esplicito su almeno una questione o un accertamento di merito, che costituiscono l’indispensabile presupposto del giudicato implicito. Inoltre, quando il giudice decida esplicitamente su una questione, risolvendone implicitamente un’altra, rispetto alla quale la prima si ponga in rapporto di dipendenza e la decisione venga impugnata sulla questione risolta esplicitamente, non è configurabile un giudicato implicito sulla questione risolta implicitamente, essendo lo stesso precluso dall’impugnazione sulla questione dipendente, atteso che il giudicato implicito presuppone il passaggio in giudicato della decisione sulla questione dipendente decisa espressamente (Cass. n. 10027 del 2009);
5. nel caso di specie, come illustrato dal ricorrente, le domande di riconoscimento della maggiorazione retributiva per il settimo giorno di lavoro consecutivo e per i giorni successivi al settimo erano state tutte respinte in primo grado (avendo, il Tribunale, rilevato che la maggiorazione del 220% per il settimo giorno già veniva corrisposta dal datore di lavoro mentre era “inaccettabile” riconoscerla per i giorni successivi) e la Corte di appello (con sentenza n. 1952/2009), in parziale riforma, ha accolto la domanda, condannando la società a corrispondere “per ognuno dei giorni lavorati successivamente al 7, il compenso del 220%”, senza peraltro procedere alla quantificazione del credito;
6. dovendosi riconoscere un rapporto di dipendenza indissolubile tra la domanda di riconoscimento del diritto a percepire la maggiorazione retributiva per il lavoro prestato oltre il settimo giorno consecutivo e la domanda di quantificazione del credito, tale che la prima domanda costituisce il presupposto di fatto e l’antecedente logico – giuridico della seconda, va esclusa la formazione di giudicato (interno) sulla statuizione di rigetto della domanda di quantificazione a fronte della riforma, in appello, della domanda di riconoscimento del diritto;
7. non essendosi formato alcun giudicato sulla quantificazione del diritto riconosciuto in sede di appello nè potendosi rinvenire, nella sentenza n. 1952/2009, una statuizione (anche implicita) sull’entità del credito riconosciuto al lavoratore, correttamente la Corte territoriale (nella sentenza impugnata in questa sede) ha richiamato il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui qualora il giudice ometta di pronunciare su una domanda e non ricorrano gli estremi di una reiezione implicita, nè risulti l’assorbimento della questione pretermessa nella decisione di altra domanda, la parte ha la facoltà alternativa di fare valere la omissione in sede di gravame o di riproporre la domanda in separato giudizio, posto che la presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c. ha valore meramente processuale e non anche sostanziale; ne consegue che, riproposta la domanda in separato giudizio, non è in tale sede opponibile la formazione del giudicato esterno (cfr. Cass. n. 7917 del 2002; Cass. n. 11356 del 2006; Cass. n. 15461 del 2008);
8. in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.;
9. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 28 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020