LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18720/2018 R.G. proposto da:
RU.CA. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.
R.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Esposito Alaia, con domicilio eletto in Roma, via Tuscolana, n. 1256, presso lo studio dell’Avv. Alessio Paolucci;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI FORIO, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Barbieri, con domicilio eletto in Roma, via Asiago, n. 2, presso lo studio dell’Avv. Giulia Micio;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 5058/17 depositata il 7 dicembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2020 dal Consigliere Guido Mercolino.
RILEVATO
che la Ru.Ca. S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 7 dicembre 2017, con cui la Corte d’appello di Napoli ha rigettato il gravame da essa interposto contro la sentenza emessa il 14 maggio 2010 dal Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Ischia, che aveva rigettato la domanda di risoluzione e risarcimento dei danni per inadempimento del contratto di appalto stipulato il 9 giugno 1998 con il Comune di Forio d’Ischia, ed avente ad oggetto l’affidamento del I lotto funzionale dei lavori di recupero e adattamento ad uso pubblico della villa “*****”;
che il Comune di Forio ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di pagamento del corrispettivo dei lavori eseguiti oltre il terzo stato di avanzamento, per mancanza di un contratto stipulato in forma scritta, senza tener conto dell’avvenuta produzione della delibera di approvazione del progetto dei lavori e delle richieste di pagamento inviate al Comune, nonchè dell’intervenuto pagamento di parte dei lavori, e degli esborsi sostenuti da essa appaltatrice per il fermo del cantiere;
che, ad avviso della ricorrente, l’affidamento dei predetti lavori non richiedeva una nuova procedura di aggiudicazione, trattandosi di opere comprese nella concessione iniziale, in quanto rientranti nelle categorie previste dal D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 175, comma 1, lett. a) e b), e non comportando modifiche della concessione;
che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della relazione del c.t.u., da cui risultava che la quarta sospensione dei lavori era stata disposta per l’approvazione di una variante relativa ad opere indispensabili e rientranti nel finanziamento approvato, la cui mancata previsione in sede di progettazione, che aveva determinato un andamento anomalo dei lavori, era configurabile come inadempimento del dovere di cooperazione posto a carico dell’Amministrazione committente, idoneo a giustificare la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni;
che il motivo è infondato;
che, nel rigettare la domanda di pagamento del corrispettivo dei lavori eseguiti oltre il terzo stato di avanzamento, la Corte territoriale ha correttamente richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di contratti della Pubblica Amministrazione, secondo cui, in quanto strumentale alla sottoposizione ai controlli previsti a garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, e quindi funzionale all’attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione, il requisito della forma scritta, previsto a pena di nullità dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 17, esige la redazione di un apposito documento, sottoscritto dall’organo abilitato a rappresentare l’ente nei rapporti esterni e recante le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere ed al compenso da corrispondere (cfr. Cass., Sez. II, 31/10/2018, n. 27910; 6/10/2016, n. 20033; 26/10/2007, n. 22537);
che, alla stregua del predetto principio, non merita censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, dato atto della mancata produzione di un contratto stipulato in forma scritta, ha ritenuto irrilevanti sia la deliberazione di approvazione del progetto dei lavori, avente natura di atto preparatorio, e quindi efficacia meramente interna, sia il pagamento del corrispettivo e le richieste avanzate dalla ricorrente, attinenti alla fase esecutiva del rapporto, e quindi inidonee a dimostrare l’avvenuta formazione del consenso, non desumibile da comportamenti concludenti, in assenza della forma prescritta ad substantiam (cfr. Cass., Sez. I, 9/05/2018, n. 11190; 17/01/2013, n. 1167; Cass., Sez. III, 1/04/2010, n. 8000);
che, indipendentemente dalla novità della questione, non trattata nella sentenza impugnata e quindi non proponibile in questa sede, in quanto coinvolgente un’indagine di fatto in ordine alla riconducibilità dei lavori alle categorie indicate e non accompagnata dalla specificazione della fase e dell’atto in cui è stata sollevata, non risulta pertinente il richiamo della ricorrente alla disciplina dei contratti pubblici introdotta dal D.Lgs. n. 50 del 2016, applicabile, ai sensi dell’art. 216, comma 1, ai soli casi in cui la procedura di scelta del contraente sia stata indetta con bandi o avvisi pubblicati successivamente alla sua entrata in vigore o a quelli in cui alla predetta data non siano stati ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte, e quindi non riferibile al rapporto in esame, svoltosi interamente in epoca anteriore all’entrata in vigore del predetto decreto;
che è altresì inconferente la sottolineatura dell’indispensabilità dei lavori, la cui finalità, asseritamente consistente nel porre rimedio a carenze progettuali, non può considerarsi di per sè idonea a dispensare le parti dall’osservanza del requisito formale imposto per la stipulazione del relativo accordo, non essendo stato dedotto nè dimostrato che la variante avesse ad oggetto opere di valore non superiore al limite previsto dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 344, all. E, al di sotto del quale sono sufficienti l’ordine scritto del direttore dei lavori e l’approvazione dell’ente pubblico (cfr. Cass., Sez. I, 22/12/2017, n. 30915; 1/08/2013, n. 18438);
che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e l’errata applicazione dell’art. 1453 c.c., e del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 10, 30 e 35, sostenendo che l’Amministrazione ha operato in contrasto con i principi di correttezza e buona fede, avendo indotto essa ricorrente a sottoscrivere il contratto di appalto senza preventivamente verificare con la dovuta diligenza la realizzabilità del progetto, con conseguente alterazione dell’equilibrio contrattuale;
che, ad avviso della ricorrente, la disciplina speciale dettata dal D.P.R. n. 1063 cit., art. 30, comma 2, avente carattere non sostitutivo, ma integrativo dei principi generali in tema di risoluzione per inadempimento, si riferisce esclusivamente alle sospensioni dei lavori disposte per ragioni di pubblico interesse e necessità, e non si applica quindi all’illegittima protrazione della sospensione per fatto imputabile ad uno dei contraenti, in riferimento alla quale tornano ad operare le disposizioni di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c.;
che nella specie la sospensione ha determinato un’abnorme dilatazione dei tempi di esecuzione dei lavori, non addebitabile ad essa appaltatrice, ma all’Amministrazione committente, in quanto dovuta all’esigenza di approvare una perizia di variante volta a porre rimedio a carenze progettuali, e quindi ricollegabile a negligenza ed imperizia nella predisposizione e nella verifica del progetto dell’opera;
che il motivo è inammissibile;
che, nel far valere l’illegittimità della sospensione dei lavori, in quanto non riconducibile alle ipotesi previste dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30, comma 2, ma imposta dalla precedente condotta dell’Amministrazione, la ricorrente ripropone infatti una questione già sollevata in sede di gravame, omettendo tuttavia di censurare la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il motivo, per difetto di specificità, rilevando che la negligenza o imperizia del committente nella verifica della realizzabilità del progetto era stata prospettata per la prima volta in appello, in quanto in primo grado la ricorrente si era limitata ad allegare, a fondamento della domanda di risoluzione, le ripetute sospensioni dei lavori e la mancata approvazione della seconda perizia di variante;
che la ricorrente omette inoltre di censurare le due rationes decidendi alternative addotte dalla Corte di merito a fondamento del rigetto della domanda di risoluzione, consistenti nella mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto che l’inadempimento del committente fosse escluso dall’implicita accettazione delle sospensioni da parte dell’appaltatrice, e dalla riferibilità della pretesa ad un contratto ormai integralmente eseguito;
che ove infatti, come nella specie, il provvedimento impugnato sia sorretto da una pluralità di ragioni distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di alcune di esse ne comporta il passaggio in giudicato, rendendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle altre, il cui accoglimento non potrebbe in alcun caso condurre all’annullamento della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. I, 27/07/2017, n. 18641; Cass., Sez. VI, 18/04/2017, n. 9752; Cass., Sez. lav., 4/03/2016, n. 4293);
che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020