Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.9566 del 25/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20506/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

BECA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Cavaliere Ugo, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. prof. ESPOSITO Roberto e dall’avv. ALTIERI Roberto, presso il cui studio legale, sito in Roma, alla via Sicilia, n. 66, è elettivamente domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 795/25/2018 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, depositata il 29/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

RILEVATO

Che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA per l’anno di imposta 2011, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello proposto dalla società contribuente ed annullava l’atto impositivo per l’omesso espletamento da parte dell’amministrazione finanziaria del preventivo contraddittorio endoprocedimentale.

2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di due motivi, cui replica l’intimata con controricorso.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380-bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

CONSIDERATO

Che:

1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, atteso che lo stesso contiene tutti gli elementi necessari a porre questa Corte in grado di avere piena cognizione della controversia.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce la “violazione dei principi generali in tema di nullità degli atti di accertamento” e, in particolare, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, sostenendo che la CTR, pur prendendo correttamente le mosse dai principi giurisprudenziali in materia di contraddittorio endoprocedimentale con riferimento ai tributi armonizzati, si era poi attestata “su argomenti formali non adempiendo all’obbligo di vagliare il valore delle argomentazioni della parte ricorrente”.

3. Con il secondo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, in violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

4. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro strettamente connessi, sono fondati e vanno accolti.

5. Invero, nel “definire la concreta portata del principio, secondo cui la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione fiscale determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso””, le Sezioni unite di questa Corte nella nota sentenza n. 24823 del 2015 hanno affermato che esso va “inteso nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorchè, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali. Più in particolare, deve, dunque, affermarsi che in relazione ai tributi “armonizzati”, affinchè il difetto di contraddittorio endoprocedimentale determini la nullità del provvedimento conclusivo del procedimento impositivo, non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cfr. Cass. 11453/14, 25054/13, ss.uu. 20935/09), e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto (Cass., ss.uu., 9935/15, 23726/07; Cass. 1271/14, 22502/13)” (Cass., sentenza Sez. U. citata, par. 3.2.).

6. Da tale principio consegue la necessità che sulla c.d. prova di resistenza il giudice effettui la verifica in concreto e ne dia contezza in motivazione con argomentazioni specifiche e non, come nel caso di specie, con affermazioni del tutto generiche che non specificano nè quali “ragioni concrete” abbia addotto la società contribuente, nè se le stesse fossero concretamente idonee a giustificare la necessità di espletamento di quel contraddittorio.

6.1. Al riguardo, infatti, la CTR, da un lato, ha affermato che “il contribuente ha assolto l’onere di enunciare in concreto” quelle ragioni, avendo “articolato un’ampia difesa nel merito, richiamando circostanze di fatto e orientamenti giurisprudenziali comunitari ed interni”, e, dall’altro, ha erroneamente ritenuto, in punto di accertamento della non pretestuosità delle ragioni addotte dalla società contribuente, di non dover effettuare tale tipo di accertamento sull’erroneo presupposto che “il giudice non è tenuto a entrare nel merito delle difese al fine di verificarne la fondatezza”, per poi precisare che nella specie quelle ragioni non erano pretestuose sia perchè “la sentenza gravata ha speso almeno tre pagine per esaminare le doglianze di merito del contribuente, e lo stesso Ufficio (…) ha replicato ai rilievi di merito del contribuente in una lunga difesa”, sia perchè “L’interpretazione fornita dal contribuente in ordine ai principi normativi e alla giurisprudenza interna e comunitaria, richiamata in numerosi precedenti, testimonia la non pretestuosità dell’opposizione” (sentenza, pag. 3).

7. Trattasi, come correttamente censurato dalla difesa erariale, di motivazione meramente apparente.

8. Invero, la motivazione posta a sostegno della decisione deve ritenersi gravemente carente e al di sotto del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830-01), in quanto i giudici di merito in punto di verifica della non pretestuosità delle ragioni di opposizione addotte dalla società contribuente, si sono limitati ad indicare soltanto il risultato conclusivo del giudizio valutativo dei fatti dimostrati in giudizio, senza, tuttavia, evidenziare le premesse logiche ed il discorso argomentativo attraverso il quale è stato possibile pervenire a tali conclusioni, ovvero senza specificare quali “circostanze di fatto” la società contribuente aveva addotto (sentenza, pag. 2) nella sua “ampia difesa nel merito”, mentre nessun rilievo avrebbe potuto attribuirsi agli “orientamenti comunitari ed interni” richiamati dalla contribuente.

9. In definitiva, nel formulare una statuizione meramente assertiva, in cui si risolvono le affermazioni sopra trascritte, i giudici di appello omettono di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali elementi ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata. In definitiva quello in esame è un tipico esempio di abdicazione all’obbligo imposto al Giudice di rappresentare compiutamente gli elementi di fatto e le ragioni sui quali si è formato il proprio convincimento.

10. E’ noto che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che, come nel caso in esame, contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).

11. Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

12. Da quanto detto consegue che il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa alla competente CTR per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020

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