Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.9679 del 26/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11682/2018 proposto da:

F.A., in proprio e nella qualità di erede di F.L., B.R. nella qualità di erede di F.L., C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANGELO EMO, 106, presso lo studio dell’avvocato ANNA RITA PANETTA, rappresentati e difesi dall’avvocato GIANCARLO MUROLO;

– ricorrenti –

contro

BANCO DI NAPOLI, in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliato in ROMA, L.GO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato DARIO MARTELLA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13/2018 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 11/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/12/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 23 febbraio 1993, F.L. e A. nonchè C.G. proponevano opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo emesso il 30 dicembre 1992 dal Presidente del Tribunale di Reggio Calabria in favore del Banco di Napoli, notificato il 5 febbraio 1993, per la somma di lire 112 milioni, oltre interessi convenzionali al 23%, dal 25 novembre 1992, per il pagamento di uno scoperto di conto corrente. Gli opponenti deducevano di essere fideiussori e che la garanzia prestata il 23 febbraio 1999 per garantire l’esposizione della S.r.l. Skipper Trading era nulla, in conseguenza dell’entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 154, trattandosi di fideiussione omnibus e che, pertanto, alla data del 9 luglio 1992 essa doveva ritenersi inefficace. Inoltre, assumevano, l’ingiunzione era stata emessa per un importo superiore a quello del fido concesso alla società debitrice e garantito dalla fideiussione. Infine, rilevavano, il tasso di interesse convenzionale superava quello legale per il periodo successivo alla revoca del fido;

si costituiva la banca, contestando i motivi di opposizione ed eccependo che il fideiussore, non avendo contestato gli estratti conto, non avrebbe potuto avanzare eccezioni sulla consistenza del debito, trattandosi di profili preclusi al debitore, il quale non aveva proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo. Quest’ultimo era stato emesso per un importo corrispondente all’entità del fido, maggiorato solo degli interessi convenzionali. In ogni caso, la L. n. 154, non si applicava retroattivamente ai contratti stipulati prima della entrata in vigore;

con sentenza del 28 ottobre 2004, il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo condannando gli opponenti al pagamento della medesima somma, oltre interessi legali a far data dal 25 novembre 1992;

avverso tale decisione gli opponenti proponevano appello con atto di citazione del 10 gennaio 2005, insistendo per la nullità del contratto di fideiussione sottoscritto dal de cuius, F.L., per violazione degli artt. 1325,1346, 1349 e 1418 c.c., nonchè dell’art. 1956 c.c. e deducendo altresì la nullità della clausola di ricapitalizzazione trimestrale degli interessi convenzionali. Si costituiva la San Paolo – Banco di Napoli S.p.A. contestando i motivi e non accettando il contraddittorio sulle domande nuove proposte in appello. Nelle more, con atto di citazione del 17 novembre 2005, veniva proposta querela di falso davanti al Tribunale di Reggio Calabria, da parte degli eredi di F.L., deducendo la falsità delle firme apposte da quest’ultimo sulla fideiussione in questione. La Corte territoriale disponeva il richiamo del consulente per rideterminare le somme dovute a saldo e già conteggiate in primo grado. Il Tribunale di Reggio Calabria con sentenza del 10 maggio 2013 rigettava la querela di falso. La causa in appello veniva cancellata dal ruolo ai sensi dell’art. 309 c.p.c. e successivamente riassunta con ricorso del 7 febbraio 2015;

con sentenza dell’11 gennaio 2018 la Corte d’Appello di Reggio Calabria, in parziale accoglimento dell’impugnazione, condannava F.A., in proprio e quale erede di F.L., Fo.An. e B.R., quali eredi di F.L. e C.G. in proprio, a pagare al San Paolo – Banco di Napoli S.p.A. la somma di Euro 49.633 oltre interessi legali dal 1 gennaio 1993 al soddisfo, con esclusione della capitalizzazione;

avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione F.A., in proprio e quale erede di F.L., Fo.An. e B.R., quali eredi di F.L. e C.G., in proprio. Resiste con controricorso Banco di Napoli S.p.A. (già denominato San Paolo Banco di Napoli S.p.A.) che illustra con memoria ex art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione delle norme in tema di rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto di fideiussione ai sensi dell’art. 1421 c.c.. La Corte avrebbe omesso di rilevare la nullità del contratto di fideiussione per avere la banca utilizzato il modulo predisposto da ABI con ciò violando la legge antitrust (L. n. 287 del 1990, art. 2, lett. a);

il motivo è inammissibile.

il collegio non ignora gli approdi della giurisprudenza di legittimità che, “con particolare riguardo alle clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche”, hanno affermato l’elevata attitudine” del provvedimento adottato dalla Banca d’Italia anche prima della modifica di cui alla L. n. 262 del 2005, art. 19, comma 11 (al pari di quelli emessi dalla Autorità Garante per la Concorrenza), a provare la condotta anticoncorrenziale giudizialmente denunciata, evidenziando l’importanza che il giudice di merito, per un verso, apprezzi il contenuto complessivo della garanzia e, per altro verso, “valuti se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa” (Cass. civ. 22 maggio 2019, n. 13846); rileva tuttavia la Corte che la censura è svolta in patente violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in ragione della mancata trascrizione, allegazione o individuazione all’interno del fascicolo di ufficio dei tre contratti di fideiussione menzionati dai ricorrenti e del provvedimento della Banca d’Italia del 2 maggio 2005 (in relazione al quale, trattandosi di atto regolamentare, non opera il principio iura novit curia);

sotto altro concorrente profilo, va poi evidenziato che manca l’allegazione di avere sottoposto tale profilo di invalidità del contratto al giudice di appello, allegazione indispensabile considerato che, pur nell’ampia rilevabilità officiosa delle nullità negoziali sulla quale è ormai attestato il diritto vivente (Cass. civ. sez. un. 12 dicembre 2014, n. 26243; Cass. civ. 19 luglio 2018, n. 19251), questa Corte ha costantemente ribadito che “compete all’attore che deduca un’intesa restrittiva provare il carattere uniforme della clausola che si assuma essere oggetto dell’intesa stessa” (cfr. Cass. civ. 13846/2019 cit. e Cass. civ. 28 novembre 2018 n. 30818). Ne consegue che il ricorrente doveva dedurre e dimostrare che la questione, della quale non si occupa la sentenza impugnata, era già stata dibattuta in sede di merito; va rammentato all’uopo che il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Sez. 3 -, Ordinanza n. 27568 del 21/11/2017, Rv. 646645-01);

con il secondo motivo si deduce la nullità della fideiussione per indeterminatezza dell’oggetto ai sensi degli artt. 1325, 1346 e 1418 c.c.; si sostiene che, nonostante la non retroattività della L. n. 154 del 1992, la fideiussione omnibus conclusa dal dante causa dei ricorrenti sarebbe comunque nulla per indeterminatezza dell’oggetto, come affermato da un consistente orientamento della giurisprudenza di merito. Ciò in quanto l’impegno del garante non è rimesso ad un terzo imparziale, bensì alla stessa banca, e al debitore principale, che non può considerarsi terzo rispetto alla fideiussione. Il fideiussore non sarebbe stato posto in condizioni di valutare il contenuto reale della garanzia prestata;

il motivo è inammissibile per i medesimi profili evidenziati con riferimento alla prima censura ai quali occorre aggiungere la genericità della critica poichè la Corte d’Appello ha specificamente motivato al riguardo, esprimendo una valutazione fattuale fondata sul contenuto della fideiussione rispetto alla quale i ricorrenti non contrappongono differenti valutazioni, se non quelle generiche riferite all’orientamento di certa giurisprudenza di merito, che avrebbe affermato la nullità di siffatti contratti. Sotto altro profilo, parte ricorrente non contrasta l’argomentazione della Corte secondo cui non sarebbe provata la erogazione di ulteriori somme dopo l’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, con ciò rendendo priva di utilità la censura di nullità della fideiussione;

con il terzo motivo si deduce la violazione l’art. 1956 c.c. e la liberazione del fideiussore da parte del creditore. Nel caso di specie l’apertura di credito concessa al debitore principale era limitata a Lire 80 milioni e l’istituto di credito avrebbe concesso ulteriori somme alla società, senza informare i fideiussori e richiedere la preventiva autorizzazione e ciò sebbene la banca fosse a conoscenza dello stato di insolvenza della società. Tale elemento sarebbe attestato dall’episodio verificatosi il 4 marzo 1992 (tentativo di danneggiamento con esplosivo a fini estorsivi dell’esercizio commerciale della società Skipper Trading) che, quale fatto notorio, evidenzierebbe lo stato di prostrazione finanziaria della società;

il motivo è inammissibile poichè ricorre un giudicato interno sulla specifica questione dedotta. Infatti, la Corte d’Appello ha precisato che non vi sarebbe la prova che la banca avesse effettivamente concesso ulteriore credito senza informare i fideiussori. E tale profilo – secondo la Core d’Appello – non sarebbe stato oggetto di impugnazione. La questione non è contrastata in ricorso;

in ogni caso la censura è inammissibile, poichè riguarda esclusivamente un giudizio fattuale operato dal giudice di merito e si sostanzia in una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio, peraltro, menzionato in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6, non essendo trascritto, allegato o localizzato all’interno del fascicolo di legittimità il documento dal quale la banca avrebbe dovuto trarre, peraltro sulla base di un indimostrato fatto notorio, la consapevolezza della criticità finanziaria della società garantita;

con il quarto motivo si deduce la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi. In particolare, pur avendo i ricorrenti eccepito la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, richiedendo l’esclusione dell’anatocismo, la Corte d’Appello avrebbe escluso tale capitalizzazione solo con riferimento agli interessi legali;

il motivo è inammissibile perchè generico e poco chiaro. Non individua lo specifico oggetto della censura fatta valere in grado di appello e, comunque, è contraddetto dal tenore letterale della decisione impugnata, secondo cui, in accoglimento del terzo motivo di appello proposto dagli odierni ricorrenti, a seguito di nuova consulenza sarebbero stati applicati “al capitale, gli interessi al tasso convenzionale, fino alla chiusura del conto solo in data 5 novembre 1992”, mentre, per il periodo successivo, sarebbero stati computati gli interessi al tasso legale che, però, il consulente, avrebbe conteggiato solo per due mesi e cioè sino al 31 dicembre 1992, data di effettiva chiusura delle operazioni bancarie di conto corrente. Nella decisione si specifica, inoltre, che nel conteggio è stata esclusa la capitalizzazione degli interessi al tasso convenzionale, sia trimestrali, sia semestrali o annuali oltre che ogni altra periodicità, precisando che alla sorte capitale sono stati applicati gli interessi convenzionali sino ad una certa data e quelli legali successivamente al 5 novembre 1992;

sotto tale profilo, pertanto, il motivo è inammissibile per difetto di interesse ai sensi dell’art. 100 c.p.c..

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) dichiara che sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 20 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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