LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30632-2018 proposto da:
EMOR LOGISTICS SRL in liquidazione, domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato UGO UPPI;
– ricorrente –
contro
ARCADIS ITALIA SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 281, presso lo studio dell’avvocato NICOLA ROMANO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3362/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2020 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.
FATTI DI CAUSA
Emor Logistics S.r.l. con socio unico in liquidazione ricorre per la cassazione della sentenza n. 3362/2018 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 12 luglio 2018, articolando tre motivi, corredati di memoria.
Resiste con controricorso Arcadis Italia S.r.l., illustrato con memoria.
La società ricorrente espone in fatto di avere acquistato il 16 maggio 2008, a fronte del pagamento di Euro 48.600.000,00 un grandissimo capannone industriale a ***** che si era rivelato inagibile, a causa della subsidenza del pavimento, e che era stato rivenduto il 5 agosto 2015 per la somma di Euro 6.000.000,00, con una perdita secca di Euro 42.600.000,00. L’acquisto dell’immobile era stato preceduto dal conferimento di un contratto di due diligence, conclusosi con una relazione del 22 febbraio 2007, e di un contratto di project monitoring, conclusosi con un report dell’8 maggio 2008, alla società EC Harris s.r.l., ora Arcadis Italia S.r.l. che veniva citata in giudizio per essere condannata al risarcimento dei danni per non averla informata della ricorrenza del grave vizio del capannone.
Il Tribunale di Milano respingeva la richiesta della società attrice e la condannava alle spese di lite.
La decisione veniva impugnata, in via principale, dall’odierna ricorrente dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, e, in via incidentale, dalla EC Harris che lamentava la quantificazione delle spese di lite liquidate a suo favore.
La Corte territoriale, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, rigettava l’appello principale e, in parziale accoglimento di quello incidentale, rideterminava la condanna alle spese e dichiarava sussistente il presupposto per il versamento da parte della odierna ricorrente del doppio del contributo unificato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 61,62,112,113, 194 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La tesi sostenuta è che il Tribunale prima e la Corte d’Appello successivamente abbiano deciso la controversia rimettendo al CTU la valutazione del contenuto degli accordi contrattuali intercorsi tra le parti, abdicando al proprio compito di provvedere all’interpretazione dei contratti di due diligence e di project monitoring per cui è causa, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte che esclude che il consulente possa essere chiamato ad esprimere giudizi sul contenuto degli accordi contrattuali intercorsi tra le parti (Cass. n. 250/1985; Cass. n. 996/1999).
2.Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza gravata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,194 c.p.c., degli artt. 1362, 1363, 1365, 1366, 1367, 1368 e 1371 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e per omessa e insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’argomentazione difensiva della ricorrente si fonda sulla censura all’interpretazione del contratto di due diligence come volto a valutare la convenienza economica dell’operazione, perchè, oltre a confondere il contratto di due diligence con quello di project monitoring, stipulati in momenti diversi, a più di un anno di distanza l’uno dall’altro, avrebbe Oblato l’art. 1362 c.c., non avendo tenuto conto del tenore letterale delle clausole contrattuali tutte incentrate sulla valutazione degli aspetti tecnici dell’opera, sarebbe incorsa nel vizio di motivazione ossia nell'”erronea applicazione della legge (…) determinata dalla carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, avrebbe ignorato un fatto decisivo per il giudizio, cioè la circostanza che la Ec Harris non l’aveva informata dei problemi costruttivi che avrebbero provocato le caratteristiche del suolo di quell’area posta alla foce del *****, ove era da ritenersi noto che le piste dell’adiacente aeroporto ***** erano sprofondale di quattro metri, che i ponti dell’autostrada erano montati su martinetti idraulici e che alla ***** è necessario rifare la pavimentazione tra un’esposizione e l’altra.
3. Con il terzo motivo la ricorrente imputa al giudice a quo l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Atteso che alla società resistente, attraverso il contratto di project monitoring era stato conferito l’incarico di rilevare i difetti nella fase finale dell’opera, la Corte d’Appello, senza prendere in esame taluni documenti, anteriori al conferimento dell’incarico di due diligence e della costruzione del capannone, da cui si evinceva il verificarsi di cedimenti, avrebbe erroneamente escluso la prevedibilità dell’abbassamento del pavimento e del dissesto del capannone.
4. In primo luogo, mette conto rilevare che, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., penult. comma, quando, nei giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo al giorno 11 settembre 2012 e alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012, ove la sentenza di appello sia conforme in facto (fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata) a quella di prime cure non è deducibile il vizio di cui all’art. 360, n. 5.
Nella specie la decisione della Corte di merito, nel confermare integralmente la sentenza del Tribunale, ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure, perciò, per le ragioni esposte, il ricorso, per la parte relativa ai dedotti vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 deve essere dichiarato inammissibile.
Al fine di evitare tale conclusione, parte ricorrente avrebbe dovuto, confrontando le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado con quelle poste a fondamento della sentenza di rigetto del gravame, dimostrarne la diversità.
5. Tanto premesso, le censure formulate con il motivo numero 1, oltre a non trovare alcun riscontro nella sentenza impugnata – che, al contrario, ha dimostrato di avere operato una analitica ed esaustiva analisi del contenuto del contratto e del comportamento complessivo delle parti, conducendola autonomamente e correttamente, supportandola con dati emergenti dalla relazione peritale – e a non tener conto che l’elaborato peritale può contenere quanto rilevato come accadimento della realtà, nella sua consistenza materiale fenomenica, e quanto, pur riferendosi al fenomeno naturale, costituisce invece espressione della capacità di giudizio critico dell’ausiliario e che pertanto si pone non sul piano della realtà fattuale, ma sul piano logico della valutazione dei fatti e delle loro connessioni: Cass. 17/10/2019, n. 26303 in motivazione a proposito dei limiti in cui può censurarsi la CTU ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – non individuano, come dovrebbero, un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di lege e non implicano un problema interpretativo della stessa nè denunciano i punti della sentenza impugnata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse offerte dalla giurisprudenza della Corte e/o della dottrina prevalente.
In altri termini, la ricorrente si è limitata ad indicare in epigrafe una serie di norme ritenendole falsamente applicate o erroneamente applicate, ma non si è fatta carico di confrontarsi con le motivazioni della sentenza impugnata individuando i passaggi della stessa concretizzanti l’errore di diritto denunciato.
Pertanto, deve ritenersi che l’ubi consistam delle pretese fatte valere si risolva nella critica alla valutazione dei fatti di causa, come tali inaccoglibili, perchè implicherebbero la trasformazione del processo di cassazione in un terzo giudizio di merito, nel quale ridiscutere il contenuto di fatti e di vicende del processo e dei convincimenti del giudice maturati in relazione ad essi -evidentemente non graditi – al fine di ottenere la sostituzione di questi ultimi con altri più collimanti con propri desiderata, rendendo, in ultima analisi, fungibile la ricostruzione dei fatti e le valutazioni di merito con il sindacato di legittimità avente ad oggetto i provvedimenti di merito.
6. Il secondo motivo, nella parte in cui deduce la ricorrenza di un error in iudicando, oltre a riproporre gli stessi vizi di argomentazione individuati con lo scrutinio del motivo precedente, omette di confrontarsi con la giurisprudenza costante di questa Corte, secondo cui “in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica nella parte in cui si sostanzia nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.” (Cass. del 05/12/2017, n. 29111); sicchè la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, -non è consentito; alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 28/11/2017, n. 28319).
Ebbene, nel caso in esame, la ricorrente si limita a censurare l’esito dell’attività interpretativa del giudice di merito, prospettando una interpretazione opposta del contratto di due diligence, facendo leva sul tenore letterale di alcune clausole contrattuali, dalla cui dichiarata chiarezza pretende di far derivare la violazione dell’art. 1362 c.c.
Tale “alternativa” qualificazione giuridica del rapporto contrattuale risulta basata su alcune clausole del contratto – anzi dell’executive summary – di due diligence riprodotte a piè di pagina redatte in lingua inglese, il cui contenuto è riprodotto in lingua italiana nel corpo del ricorso.
A tal riguardo va osservato che, sebbene la regola – art. 122 c.p.c. – che impone l’uso della lingua italiana nel processo civile sia sancita per i soli atti processuali in senso stretto (cfr. Cass. 12/03/ 2013, n. 6093; Cass. 16/06/2011, n. 13249), la produzione, nel giudizio di legittimità, di documenti redatti in idioma straniero non può ritenersi conforme alla previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), giacchè tale circostanza impedisce la loro piena ed immediata intellegibilità.
Va inoltre rammentato che, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso, “qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso” (tra le tante, da ultimo, Cass. 07/03/2018, n. 5478); onere, quello descritto, che non è stato soddisfatto, perchè i due contratti, quello di due diligence e quello di project monitoring, su cui si basa il ricorso non risultano allegati allo stesso, nè viene indicato in quale luogo del processo ne è avvenuta la produzione, in aggiunta al fatto che, come si è detto, solo una parte delle clausole del contratto di due diligence (di quello di project financing si ignora il contenuto, pur lamentando il ricorrente, cfr. p. 12, che la Corte d’Appello abbia confuso i due contratti) risulta tradotta in lingua italiana, senza specificare se si tratta di una relazione giurata (Cass. 29/01/2019, n. 2331).
Anche sotto questo profilo, dunque, il motivo ricorso si palesa inammissibile.
7. Il motivo numero tre è inammissibile, per le ragioni di cui al p. 4.
8. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
9. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione terza civile della Corte Suprema di Cassazione il 25 febbraio 2020..
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020
Codice Civile > Articolo 1362 - Intenzione dei contraenti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1363 - Interpretazione complessiva delle clausole | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1365 - Indicazioni esemplificative | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1366 - Interpretazione di buona fede | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1367 - Conservazione del contratto | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1368 - Pratiche generali interpretative | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1371 - Regole finali | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 61 - Consulente tecnico | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 62 - Attivita' del consulente | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 113 - Pronuncia secondo diritto | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 194 - Attivita' del consulente | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 366 - Contenuto del ricorso | Codice Procedura Civile