LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26198-2018 proposto da:
V.L. nella qualità di genitore esercente la potestà
genitoriale sul minore G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo STUDIO LEGALE GREZ, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO STANZIOLA;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA CAPANNOLO, NICOLA VALENTE, CLEMENTINA PULCI, MANUELA MASSA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 74/2018 del TRIBUNALE di LA SPEZIA, depositata il 12/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.
RILEVATO
CHE:
Il Tribunale di La Spezia con sentenza n. 74/2018, resa in sede di procedimento ex art. 445 bis c.p.c., aveva rigettato la domanda di V.L., nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale nei confronti del figlio minore G.S., diretta al riconoscimento del requisito sanitario utile per ottenere la indennità di frequenza.
Il tribunale aveva ritenuto, all’esito delle indagini peritali svolte nella fase dell’accertamento e chiarite dal ctu anche in sede di giudizio ordinario, che, pur accertate le patologie denunciate, non fossero comunque presenti le condizioni per la prestazione richiesta.
Avverso tale decisione la V. proponeva ricorso affidato a due motivi cui resisteva l’Inps con controricorso.
La V. depositava successiva memoria.
Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
CHE:
1) Con primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 1990, art. 1 e della L. n. 118 del 1971, art. 2, comma 1 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.), per aver, il Tribunale, erroneamente ritenuto il Giovanazzi privo dei requisiti sanitari utili alla prestazione richiesta, sulla base di un elaborato peritale insufficiente e contraddittorio.
Il motivo risulta inammissibile Questa Corte ha in più occasione chiarito che “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito”(Cass.n. 8758/017-Cass.n. 18721/2018).
Nel caso in esame, al di là della indicazione formale del vizio denunciato, parte ricorrente rileva, in sostanza, l’errata valutazione di merito svolta dal tribunale proponendo una differente interpretazione dei fatti del processo e richiedendo, in concreto, una nuova valutazione degli stessi non consentita in sede di legittimità. Deve a riguardo rilevarsi che il tribunale ha espresso la sua valutazione anche considerando le opposte considerazioni della parte ricorrente e le critiche mosse alla ctu, giungendo consapevolmente al giudizio di assenza delle condizioni utili per la prestazione richiesta.
La censura inerente la contraddizione interna della ctu risulta poi inammissibile in quanto non idoneamente veicolata attraverso il vizio denunciato (violazione e falsa applicazione di legge) e comunque carente dei requisiti di specificità che avrebbero richiesto l’inserimento di tutto l’elaborato peritale al fine di coglierne le denunciate contraddizioni.
2) Con il secondo motivo è denunciata la omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver, il tribunale, valutato l’aggravamento della patologia da cui era affetto il minore.
Il motivo risulta inammissibile. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che “In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi del’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 17761/2016) Ha anche specificato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017) La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poichè determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).
Tali circostanze devono dunque essere allegate dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio.
Siffatte condizioni sono assenti nel motivo in esame che solo si limita ad offrire una valutazione differente rispetto a quella del ctu.
Il ricorso risulta pertanto inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto in ragione dell’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 2.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020