LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28973-2017 proposto da:
M.M., M.A., A.S., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI 53, presso lo studio dell’avvocato CARMELA GIUFFRIDA, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE MORMINO
– ricorrenti –
contro
CITTA’ METROPOLITANA DI MESSINA in persona del Commissario Straordinario, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FUSCO, rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO CALLIPO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 466/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 05/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/01/2020 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.
FATTI DI CAUSA
A.S., M.A. e M.M. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 466/2017, emessa dalla Corte d’Appello di Messina, articolando tre motivi, illustrati con memoria.
Resiste con controricorso la Città Metropolitana di Messina, già Provincia regionale di Messina.
I ricorrenti espongono che la Città metropolitana di Messina aveva impugnato la decisione del Tribunale di Patti del 10 marzo 2015 che aveva ritenuto rinnovato tacitamente, fino alla scadenza naturale del 31 agosto 2015, il contratto di locazione dell’immobile sito in *****, destinato a istituto scolastico, e che l’aveva condannata al pagamento di Euro 344.558,16 per i canoni locativi dal maggio 2009 e fino alla scadenza contrattuale, lamentando la dichiarata inammissibilità della documentazione offerta in conseguenza della sua tardiva costituzione nel rito speciale, senza considerare che, a mente dell’art. 447 bis c.p.c., comma 3 il Giudice avrebbe potuto ammettere in ogni momento qualsiasi mezzo di prova ed aveva il potere di tanto di integrare d’ufficio le indicazioni delle parti risultate insufficienti quanto di sopperire alle lacune nelle indicazioni probatorie, senza che le preclusioni o le decadenze verificatesi – peraltro non operanti nel caso di prove documentali e precostituite – rappresentassero un ostacolo.
La documentazione allegata era relativa alla richiesta della conduttrice di ottemperamento, da parte degli odierni ricorrenti, alle prescrizioni imperative in materia di sicurezza degli istituti scolastici, realizzando i lavori necessari, consistenti nell’abbattimento di pareti e nella costruzione di nuova tramezzatura, nell’adeguamento dell’impianto elettrico, nella realizzazione di una scala antincendio, nel riattamento dell’immobile alla nuova destinazione.
Ad avviso della Città Metropolitana, in aggiunta, il contratto non avrebbe potuto essere rinnovato automaticamente, stante l’obbligo di redazione in forma scritta, in quanto atto della Pubblica Amministrazione, e il canone preteso avrebbe dovuto essere ridotto.
La Corte d’Appello, con la sentenza gravata, accogliendo l’impugnazione, riformava parzialmente la decisione di prime cure, rigettando, perchè infondata, la domanda proposta dai locatori e compensava tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento agli artt. 416 e 421 c.p.c. (e art. 437 c.p.c., comma 2, nel giudizio di appello), in relazione all’ammissibilità di documenti depositati e prodotti tardivamente dal convenuto ed anche in riferimento al principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., nonchè l’errata applicazione dei principi dettati in subiecta materia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
La tesi dei ricorrenti è che la Corte territoriale non abbia fatto corretta applicazione della decisione di questa Corte 20/04/2005, n. 8202, perchè le prove documentali prodotte tardivamente non erano state introdotte a sostegno di eccezioni tempestivamente dedotte; di conseguenza, avrebbe dovuto ritenere il recesso esercitato dalla Città metropolitana di Messina invalido ed efficace, perchè non titolato.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla L. n. 392 del 1978, art. 27, comma 8, in ordine ai gravi motivi che possono giustificare il recesso dal contratto.
Secondo i ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe dovuto negare effetti al recesso anticipato esercitato dalla Città Metropolitana perchè i gravi motivi addotti a sua giustificazione non erano stati imprevedibili e sopravvenuti rispetto alla costituzione del rapporto contrattuale. Il Giudice, infatti, riconosce che i gravi motivi del recesso erano già esistenti al momento della costituzione del rapporto tant’è che l’art. 5 del contratto prevedeva che i locatori dovessero eseguire proprio i lavori di abbattimento delle pareti, di realizzazione di nuova tramezzatura e di una scala antincendio, di adeguamento dell’impianto elettrico e di riattamento dei locali alla nuova destinazione, i quali avevano spinto la conduttrice a ricorrere allo scioglimento unilaterale del contratto e perchè il recesso era stato esercitato senza esplicitare i motivi: nella prima missiva, infatti, pur facendo riferimento all’art. 27, u.c., della L. n. 392 del 1978, si dava solo atto del reperimento di un altro immobile idoneo; solo successivamente, con la comunicazione del 23 dicembre 2018, si esplicitava che l’iniziativa di rilasciare il bene derivava dalla mancanza di locali idonei alla destinazione ad uso scolastico dell’edificio, imputabile all’inadempimento della controparte.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 27, u.c. in ordine alla omessa/errata valutazione di un fatto decisivo per il giudizio.
Dalla documentazione prodotta era emerso che i gravi vizi lamentati dell’immobile esistevano almeno dal 2006, quindi, la conduttrice avrebbe potuto e dovuto comunicare una disdetta formale in tempo utile per impedire il rinnovo tacito del contratto, sicchè i locatori lamentano che la Corte territoriale non ne abbia tenuto conto.
4. Il ricorso è inammissibile.
Queste le ragioni.
Avendo parte ricorrente ritenuto di assolvere all’onere di enunciare l’esposizione del fatto limitandosi a riprodurre quanto al riguardo ha fatto la sentenza impugnata, emerge che l’esposizione risulta del tutto inidonea.
Va ribadito che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione capace di garantire alla Corte di cassazione una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. Un., 18/05/2006, n. 11653). La prescrizione del requisito non soddisfa un’esigenza di mero formalismo, ma è votata a consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. Un., 19/12/2003, n. 2602).
Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.
Il ricorso che non rispetti tale requisito deve dichiararsi inammissibile.
Ora, l’esposizione del fatto riproducente quella della sentenza impugnata risulta, nel caso esaminato, insufficiente perchè: a) non identifica in modo chiaro la domanda introduttiva del giudizio: se la scarna precisazione offerta consente di ipotizzare che si fosse chiesto dai ricorrenti l’accertamento della scadenza del contratto alla data del 31 agosto 2015 e della illegittimità del recesso comunicato dalla Provincia, non viene fornita nessuna pur sommaria precisazione sulle ragioni di tale illegittimità e, prima ancora sul tenore del recesso e, quindi, sulle ragioni per cui avrebbe dovuto invece operare quella che viene indicata come scadenza naturale; tanto più tenuto conto che è omessa qualsiasi indicazione del regime normativo o convenzionale che giustificava detta scadenza nonchè secondo quali meccanismi essa sarebbe stata operante; b) difetta ogni riferimento alle ragioni e alle modalità con cui, a seguito della comunicazione del recesso del 28 ottobre 2008, l’immobile sarebbe stato rilasciato il successivo 27 marzo 2009; c) si ignorano il tenore della difesa svolta dalla convenuta, lo svolgimento processuale, le motivazioni della decisione di primo grado; d) l’esposizione riferisce direttamente i motivi di appello ed il contenuto dell’atto di costituzione degli attuali ricorrenti, ma i riferimenti in essa contenuti sono inidonei a colmare le lacune indicate, salvo per riferimenti contenuti nel secondo al regime normativo della L. n. 392 del 1978, art. 27 ma, peraltro, con riferimenti circa l’esercizio del recesso dapprima riconducendolo a quello disciplinato dal comma 7 e, quindi, a quello di cui al comma 8, detta norma.
5. Peraltro, se fosse superabile la superiore ragione di inammissibilità, si dovrebbe comunque rilevare che l’illustrazione di tutti i motivi si fonda su documenti, ma non osserva i contenuti prescrittivi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (Cass., Sez. Un., 02/12/2008 n. 28547; Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469).
In particolare, il primo motivo omette qualsiasi identificazione e riproduzione della documentazione non meglio specificata cui si fa riferimento e tale esiziale carenza aumenta se si considera che la questione posta dal motivo dovrebbe scrutinarsi ignorando l’esatto tenore della domanda e quello della prospettazione difensiva svolta nella comparsa di costituzione tardiva, il che non consente in alcun modo di sapere come la forza rappresentativa degli ignoti documenti si connotasse rispetto all’una e all’altra. L’onere dell’art. 366, n. 6 è violato anche quanto alla localizzazione. Parimenti, il motivo fa riferimento alla sentenza di primo grado (pag. 9), ma riferisce in modo generico ed indiretto della considerazione dei documenti senza nemmeno indicare a quella parte della sentenza si intenda riferire e nemmeno la localizza in questo giudizio di legittimità.
Il secondo motivo discute di riferimenti fatti dalla sentenza al contratto locativo e di clausole di esso nonchè del recesso sempre senza fornire di tali atti l’indicazione specifica, sia quoad contenuto (mediante riproduzione diretta od indiretta), sia quoad localizzazione. E lo fa, peraltro, riferendo di un documento – la nota n. 7278-10 della Provincia – in cui il recesso veniva detto esercitato ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 27, comma 7 e non comma 8.
Il terzo motivo anch’esso viola l’art. 366, n. 6 in quanto le sue argomentazioni comunque suppongono la conoscenza dell’atto di recesso oltre che del contratto.
6. Ne consegue che il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile.
7. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020
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