LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 33222-2018 proposto da:
V.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSIO OLDRINI;
– ricorrente-
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI, PATRIZIA CIACCI, MANUELA MASSA;
– resistente –
avverso la sentenza n. 162/2018 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO, depositata il 07/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.
RILEVATO
CHE:
il Tribunale di Busto Arsizio, decidendo in sede di opposizione ad accertamento tecnico preventivo ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, a seguito di espletamento di nuova consulenza tecnica, in accoglimento del ricorso, accertava la sussistenza del requisito sanitario per il riconoscimento del diritto di V.C. alla pensione di inabilità a decorrere dal 2.2.2016, data della visita da parte della Commissione Invalidi di Saronno e condannava l’Inps al pagamento delle spese di CTU, con compensazione invece delle restanti spese di lite (sia relative alla prima fase di ATP che al giudizio di opposizione);
avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione V.C. sulla base di unico motivo;
l’Inps è rimasto intimato;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
CHE:
con l’unico motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’art. 24 Cost.; le censure investono la statuizione di compensazione delle spese; a fondamento della pronuncia sulle spese, la Corte di appello ha posto la circostanza che “l’INPS (aveva) fondato la propria difesa sulla CTU svolta in fase di ATP, consulenza che appariva prima facie corretta nelle premesse e nelle conclusioni”; parte ricorrente assume la contrarietà a legge della decisione;
il motivo è fondato;
la statuizione di compensazione delle spese, sia in relazione alla fase di ATP che a quella relativa al successivo giudizio di opposizione, viola l’art. 92 c.p.c., nel testo novellato dal D.L. n. 132 del 2014, ed applicabile ratione temporis, trattandosi di procedimento introdotto nel 2015;
alla stregua di detta disposizione, la compensazione delle spese, infatti, può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), nelle ipotesi di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, nonchè -per effetto della sentenza n. 77 del 2018 della Corte Costituzionale- nelle analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e in quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle ipotesi tipiche espressamente previste dall’art. 92 c.p.c., comma 2, (v. Cass. n. 4696 del 2019);
con tutta evidenza, a nessuna delle suddette ipotesi si fa riferimento nell’impugnata sentenza;
le ragioni che sorreggono la disposta compensazione valorizzano, nella sostanza, ” le diverse conclusioni cui era pervenuto il CTU nella fase di A.T.P.”;
si tratta di giustificazione che questa Corte ha già reputato inadeguata a giustificare la compensazione delle spese in relazione alla fase di ATP, in relazione al previgente testo dell’art. 92 cit. (che esigeva “gravi ed eccezionali ragioni), “risolvendosi in una limitazione del diritto a contrastare l’esito dell’accertamento tecnico ritenuto erroneo, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento alla verifica in fase di opposizione all’accertamento” (Cass., VI, n. 23090 del 2018);
l’adottata argomentazione tanto più erronea risulta nella fattispecie concreta in virtù della disciplina di riferimento, per cui il ricorso va accolto e la sentenza gravata va cassata, con rinvio al Tribunale di Busto Arsizio, in persona di diverso giudice, che, nel procedere a nuovo esame della controversia, si atterrà al principio per cui ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche recate dal D.L. n. 132 del 2014, e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte Cost., la compensazione, totale o parziale, delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nelle ipotesi di assoluta novità della questione trattata, di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e in quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle ipotesi tipiche espressamente previste dall’art. 92 c.p.c., comma 2;
al giudice di rinvio è rimessa anche la statuizione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Busto Arsizio, in persona di un diverso giudice, cui demanda di provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimità;
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2020