LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. PEPE Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28866-2018 proposto da:
DRS DEPOSITI REGIONALI SURGELATI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ANDREA DORIA 64/E, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GRAZIANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI LANA;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4129/2018 della COMM. TRIB. REG. LAZIO, depositata il 18/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 08/04/2021 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA.
RILEVATO
che:
p. 1. La DRS – Depositi Regionali Surgelati spa propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 4129/18 del 18.6.18, con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione, per imposta proporzionale di registro e sanzioni, notificatole dall’Agenzia delle Entrate (in esito a processo verbale di constatazione della GdF) per mancata registrazione annuale (2009) del contratto di locazione 10.12.2005 intercorso con la IDF – Industria del Freddo srl.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che il contratto in questione – oggettivamente interpretato – fosse stato correttamente qualificato dall’amministrazione finanziaria in termini di locazione, seppure mista a non prevalenti elementi di somministrazione di energia per la gestione di servizi logistici del freddo.
Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.
p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta “insufficienza e grave contraddittorietà della motivazione della sentenza, omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice di rinvio”.
Ciò perchè la sentenza della commissione tributaria regionale recava una “motivazione ed un dispositivo che impediscono un compiuto esercizio della giurisdizione”.
p. 2.2 L’articolato motivo, non meglio dalla parte rubricato nell’ambito del catalogo delle censure tassativamente proponibili in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., è per più versi inammissibile.
Con una prima censura (riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) si deduce la sostanziale mancanza (o apparenza) della motivazione, ma ciò viene sostenuto con un’affermazione – quella appena riportata – generica, puramente apodittica e del tutto scollegata dall’ordito motivazionale in effetti rinvenibile nella sentenza impugnata. Si tratta, in altri termini, di una doglianza la cui astrattezza si palesa nell’essere essa interamente affidata alla citazione e ricostruzione giurisprudenziale in materia di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, ma senza alcun reale riferimento alla concretezza della fattispecie. Aspetto, quest’ultimo, reso addirittura autoevidente dallo svolgimento del secondo motivo di ricorso, che è invece tutto incentrato sulla critica contenutistica e di sostanza di quella stessa motivazione di cui, nel presente motivo di ricorso, si predica invece assiomaticamente la radicale assenza.
Con una seconda censura (riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) si protesta “l’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice di rinvio”. Il che non dà minimamente conto del fatto che l’ordinamento, con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) cit. (così come interpretato dalle SSUU con la nota sentenza n. 8354/14) ha inteso escludere il vaglio di legittimità non soltanto sulle lacune ed insufficienze argomentative che non si risolvano nella radicale assenza del “minimo costituzionale” di motivazione (evenienza qui impropriamente dedotta, e comunque insussistente, come detto), ma anche su tutte quelle ipotesi di “omesso esame” concernenti non già fatti materiali e storici (primari o secondari) della fattispecie, ma appunto “eccezioni, questioni o tesi difensive”. Per essere rilevante, in altri termini, l’omesso esame non può cadere su profili giuridici della fattispecie, dovendo una simile carenza se mai rilevare, ma in tutt’altro contesto del presente e con tutt’affatto diversa deduzione, come violazione della legge sostanziale (n. 3) o processuale (n. 4): “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo” (Cass. n. 22397/19 ord; conf. 26305/18 ord. ed altre).
Con una terza censura, a quest’ultima collegata, si sollecita poi – e con ciò si evidenzia il cuore della contestazione – una “nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice di rinvio”, intendendosi per tale un ulteriore grado di giudizio nel quale tentare di sovvertire l’esito non favorevole, nel merito, della lite facendo nuovamente valere ricostruzioni fattuali e tesi difensive già disattese in doppio grado e, per le indicate ragioni, qui non più rivedibili.
Non sfugge poi, da ultimo, che per gli aspetti di critica di ordine fattuale astrattamente riconducibili all’omesso esame di cui al n. 5 dell’art. 360 cit., ricorre altresì l’ulteriore causa di inammissibilità costituita proprio dalla “doppia conforme” ex art. 348 ter c.p.c., atteso che l’interpretazione del contratto costituisce una tipica questione di fatto devoluta al giudice di merito, e che tale questione è stata concordemente qui decisa dai giudici tanto di primo quanto di secondo grado.
p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e “delle altre norme in materia accertativa sull’onus probandi” (D.P.R. n. 631 del 1986, artt. 10 segg., D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 10, lett. c), L. n. 212 del 2000, art. 7).
Ciò perchè la commissione tributaria regionale avrebbe reso una motivazione “suppletiva”, “in itinere” e “di soccorso” dell’amministrazione finanziaria, giungendo in tal maniera a sopperire essa stessa alla mancanza di motivazione della pretesa fiscale ed al mancato assolvimento dell’onere della prova gravante, per regola generale, sull’amministrazione finanziaria medesima.
p. 3.2 Il motivo è destituito di fondamento.
Va intanto considerato che esso sovrappone indebitamente (v. ric. pag. 8) i ben diversi piani della “motivazione” dell’avviso di liquidazione opposto e della “prova” della pretesa impositiva, senza neppure specificare se e con quali precise modalità questi due distinti aspetti fossero stati dedotti nei precedenti gradi di giudizio.
Ciò ha deviato la doglianza dal binario suo proprio, non avendo essa adeguatamente considerato che:
– la lite si risolveva nella corretta interpretazione, con conseguente applicazione del regime fiscale suo proprio, del contratto stipulato tra la ricorrente in veste di conduttrice e la IDF srl in veste di locatrice;
– la CTR ha compiutamente esposto le ragioni per le quali il contratto in questione doveva interpretarsi, con evidente valorizzazione della sua sostanza economica, e non nominalistica, D.P.R. n. 131 del 1986 ex art. 20, quale contratto di locazione misto a somministrazione di energia per la logistica del freddo (su commissione Findus);
– la prevalenza causale dall’aspetto locativo risultava da tutta una serie di parametri intrinseci perchè evincibili dal contratto stesso (la descrizione del complesso immobiliare; il riferimento all’uso dei beni concessi quale presupposto del godimento dell’immobile; la natura del compendio immobiliare costituito da palazzina-uffici e spazio di manovra, oltre che dai locali di ubicazione delle celle frigorifere; l’espressa esclusione dall’uso della sala macchine);
– del tutto correttamente l’interpretazione dell’atto è stata dalla CTR resa con criterio oggettivo rapportato agli effetti giuridici di esso (art. 20 cit.), trattandosi qui non già di ricostruire la reale intenzione delle parti nel dirimere una lite contrattuale tra di esse insorta, bensì di individuare il presupposto obiettivo dell’obbligazione tributaria (per sua natura sottratta alla disponibilità delle parti) nei confronti di un soggetto (l’amministrazione finanziaria) “terzo” rispetto alla stipulazione.
Ebbene, nell’invocare l’indebita “sostituzione” della CTR nei ruoli e nei compiti dell’amministrazione finanziaria (quanto, appunto, a motivazione dell’avviso ed a prova della pretesa) la doglianza in esame ha dunque omesso di cogliere questa articolata motivazione e di inficiarla, non con l’offerta di una ricostruzione ermeneutica puramente alternativa, ma con la deduzione degli specifici criteri legali di interpretazione contrattuale che il giudice di merito avrebbe asseritamente violato, contravvenendo agli artt. 1362 c.c. ss. e al TUR, art. 20 cit. (Cass. nn. 17168/12; 22230/14; 2465/15 ed innumerevoli altre).
Neppure può fondatamente sostenersi, in base alla suddetta motivazione, che la CTR abbia sovvertito la regola generale dell’onere probatorio, dal momento che questo onere si atteggiava nella specie in maniera del tutto peculiare, perchè mirato appunto sull’interpretazione di un testo negoziale; e che, nella valutazione del giudice regionale, la pretesa impositiva (imposta proporzionale di registro su locazione di immobile strumentale) doveva ritenersi fondata proprio perchè l’amministrazione finanziaria, facendo propri gli esiti del verbale della Guardia di Finanza ed offrendo una determinata e congrua qualificazione del contratto, aveva fornito prova di quanto preteso. Il che, come è evidente, implicava non già l'”esonero” del fisco dall’onere suo proprio, quanto un convincimento di effettivo raggiungimento della prova su di esso gravante.
p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso ci si duole di “error in procedendo” per grave violazione delle norme sulla competenza territoriale e funzionale della commissione tributaria regionale.
Ciò perchè, in grado di appello, la controversia era stata decisa dalla sede centrale della commissione tributaria regionale del Lazio (sezione n. 7) nonostante che, a seguito del decreto istitutivo 17 maggio 2001 del Presidente di tale commissione tributaria regionale, la competenza territoriale e funzionale sulla controversia in oggetto (già decisa in primo grado dalla CTP di Latina) spettasse alla sezione staccata di Latina della CTR.
p. 4.2 Anche questo motivo è destituito di fondamento.
La ripartizione degli affari tra la sede centrale e le sedi staccate della commissione tributaria regionale non integra questione di competenza (la quale, ad ogni buon conto, non rileverebbe oltre il grado nel quale il vizio si sarebbe in ipotesi verificato: D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 5), quanto profilo di mera organizzazione interna.
Va in proposito richiamato quanto recentemente affermato da Cass. n. 14995/20, secondo cui: “le sezioni staccate delle CTR – istituite ai sensi del D.Lgs. n. 545 del 1992, art. 1, comma 1 bis, aggiunto dalla L. n. 28 del 1999, art. 35 – costituiscono “mera articolazione interna” delle Commissioni, irrilevante ai fini della competenza territoriale e della validità degli atti processuali, al pari delle sezioni distaccate di cui al comma 1 dello stesso articolo, ciò desumendosi, in via di interpretazione sistematica, da quanto per queste ultime ivi espressamente disposto e dall’identica natura da esse condivisa”.
Analogamente, ha affermato Cass. n. 29886/20 che: “in tema di rapporti tra sede centrale e sezioni “staccate” delle Commissioni tributarie regionali, il giudice precostituito per legge a trattare gli appelli avverso le pronunce emesse dalle Commissioni tributarie provinciali di una Regione è la Commissione tributaria regionale e non la sezione “staccata” della stessa, non rilevando che questa operi, “per criteri interni di riparto”, in un determinato ambito territoriale. Infatti, essendo le sezioni “staccate” mere articolazioni interne delle Commissioni tributarie regionali, il rapporto fra le prime e le seconde non attiene alla competenza territoriale e non incide sulla validità degli atti processuali, con la conseguenza che lo spostamento, con criteri oggettivi, di una generalità di fascicoli dalla sezione “staccata” alla sede centrale o viceversa non viola l’art. 25 Cost., nemmeno se disposta con riferimento a controversie già iscritte a ruolo”.
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito;
– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, riunitasi da remoto, il 8 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2021