LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6732/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
Tea s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, quale incorporante Publitea s.r.l., già Prometal s.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresenta e difesa dall’avv. Claudio Preziosi giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
Industrie Abate s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, già STT – Società Trasferimenti Tecnologici s.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresenta e difesa dall’avv. Claudio Preziosi giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno n. 7465/02/14, depositata il 29 luglio 2014;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 10 marzo 2021 dal Consigliere Nonno Giacomo Maria.
RILEVATO
che:
1. con sentenza n. 7465/02/14 del 29/07/2014 la Commissione tributaria regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (di seguito CTR) ha respinto l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Avellino (di seguito CTP) n. 346/02/11, che aveva accolto il ricorso di Prometal s.r.l. nei confronti dell’avviso di accertamento per IVA relativa all’anno d’imposta 2006;
1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, l’avviso di accertamento era stato emesso a seguito del rigetto dell’interpello, proposto dalla società contribuente, volto ad ottenere la disapplicazione della disciplina in materia di società non operative (cd. società di comodo) di cui alla L. 24 dicembre 1994, n. 724, art. 30, con conseguente determinazione del reddito imponibile minimo;
1.2. la CTR rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate evidenziando che: a) la L. n. 724 del 1994, art. 30, costituiva una disciplina antielusiva volta a colpire l’occultamento dell’imponibile allorquando ci si determinava a mantenere in vita una società strutturalmente incapace di produrre reddito; b) tale disciplina, peraltro, non trovava applicazione allorquando il reddito non era generato in ragione di oggettive condizioni esterne che avevano reso impossibile alla società lo svolgimento di una normale attività; c) nel caso di specie, la società contribuente non era in una condizione di normale svolgimento dell’attività di impresa, versando in stato di liquidazione e, dunque, essendo oggettivamente incapace di produrre ricavi; d) esistevano, inoltre, elementi gravi, oggettivi ed esterni ai sensi dell’art. 30, comma 4 bis, idonei alla disapplicazione della disciplina delle società di comodo;
2. avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
3. resistevano con distinti controricorsi Tea s.r.l., quale incorporante Publitea s.r.l., già Prometal s.r.l., nonchè Industrie Abate s.r.l., già STT – Società Trasferimenti Tecnologici s.r.l., le quali depositavano, altresì, distinte memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
CONSIDERATO
che:
1. va pregiudizialmente dichiarato il difetto di legittimazione passiva di Industrie Abate s.r.l.;
1.2. è noto, infatti, che nel giudizio di cassazione non è consentito l’intervento di terzi che non hanno partecipato alle pregresse fasi di merito (Cass. n. 20565 del 07/08/2018; Cass. n. 7930 del 18/04/2005), fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve essere riconosciuta, ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa (Cass. n. 25423 del 10/10/2019);
1.3. orbene, Industrie Abate s.r.l., cui l’Agenzia delle entrate ha notificato il ricorso con la pregressa denominazione di STT s.r.l., non ha partecipato ai giudizi di merito, non essendo successore di Prometal s.r.l., parte originaria del giudizio: come risulta dalla documentazione prodotta dai controricorrenti, il soggetto in cui è confluita Prometal s.r.l. a seguito di fusione per incorporazione (e previo cambio di denominazione sociale in Publitea s.r.l.) è Tea s.r.l., unica legittimata passivamente alla presente controversia;
2. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, nella versione applicabile ratione temporis, nonchè degli artt. 2504 bis e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando, da un lato, la sussistenza delle condizioni oggettive per le quali Prometal s.r.l. rientrerebbe nell’ambito applicativo della disciplina sulle società di comodo e, dall’altro, che lo stato di liquidazione societaria non sarebbe di per sè sufficiente ad escluderne l’applicabilità, essendo finalizzato alla fusione, ed avendo altresì la CTR fatto riferimento ad elementi inidonei ad integrare la previsione del menzionato art. 30, comma 4 bis;
3. con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denunciandosi l’apparenza della motivazione della CTR, che ha fatto affermazioni apodittiche con riferimento ad elementi che non fornirebbero la prova – gravante sulla società contribuente – della assenza dei requisiti applicativi della disciplina delle società non operative;
4. i due motivi possono essere unitariamente esaminati, riguardando due diversi profili della medesima questione, e vanno complessivamente disattesi;
4.1. la sentenza della CTR si struttura sulla base di una duplice ratio decidendi: a) la disciplina della L. n. 724 del 1994, art. 30, non si applica nei confronti di Prometal s.r.l. in quanto la stessa, essendo in liquidazione, non versa in uno stato di normale svolgimento dell’attività di impresa; b) la condizione di liquidazione, unitamente alla “oggettiva impossibilità di chiudere la detta procedura a causa degli impedimenti frapposti dal variegato contenzioso in atti”, alla “inequivoca volontà di proseguire tutte le attività funzionali allo smobilizzo del complesso patrimonio aziendale” e alla mancata realizzazione della previsione dell’atto costitutivo di procedere alla ricapitalizzazione della società, integrano in “tutta evidenza i gravi, oggettivi ed esterni impedimenti voluti dalla L. n. 724 del 1994, art. 30 – 4 bis – ai fini della disapplicazione delle società di comodo”;
4.2. orbene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (così Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019);
4.3. nella specie, la motivazione della sentenza impugnata non può certo dirsi apparente, atteso che il ragionamento sotteso alla decisione è sufficientemente chiaro e specifico e tale da rendere noto il procedimento logico-giuridico seguito dal giudice di appello: il secondo motivo di ricorso è, quindi, chiaramente infondato;
4.4. per il resto, i rilievi della difesa erariale sono sicuramente fondati allorquando si denuncia che il semplice stato di liquidazione non è idoneo ad escludere l’applicazione della disciplina delle società di comodo;
4.4.1. invero, il richiamo della sentenza impugnata ad una circolare applicativa dell’Agenzia delle entrate (n. 48/E del 1997) induce a ritenere che la CTR si sia rifatta alla vecchia formulazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 (comma 1: “(…). Le disposizioni dei precedenti periodi non si applicano: 1) (…); 2) ai soggetti che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività”), anteriore alla modifica introdotta dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, conv. con modif. nella L. 4 agosto 2006, n. 248 (applicabile a partire dall’anno d’imposta 2006), che prevedeva, tra le ipotesi di esclusione dall’applicazione della menzionata disposizione, lo stato di liquidazione (cfr. Cass. n. 11368 del 06/07/2012; Cass. n. 10100 del 13/05/2005);
4.5. tuttavia, la CTR ha motivato espressamente anche con riferimento alla ricorrenza di quei requisiti esterni ed oggettivi (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore: cfr. Cass. n. 9852 del 20/04/2018), previsti dal comma 4 bis della disposizione più sopra menzionata, che consentono di escludere l’applicazione delle disposizioni concernenti le società non operative (in proposito, l’interpello disapplicativo è opzionale e, comunque, il suo rigetto non preclude la possibilità di fare valere l’esclusione in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento: Cass. n. 18807 del 28/07/2017; Cass. n. 23990 del 29/10/2020);
4.6. in particolare, la CTR ha ritenuto – con valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità con la proposizione di un vizio di violazione di legge – che lo stato di liquidazione, l’impossibilità di revocarlo, la necessità di smobilitare il patrimonio della società e la impossibilità di procedere a ricapitalizzazione integrassero i menzionati requisiti esterni ed oggettivi;
4.7. l’indicazione da parte della difesa erariale di differenti elementi di fatto di cui la CTR non avrebbe tenuto conto (ad es., la finalizzazione della liquidazione alla fusione), nonchè la contestazione dell’idoneità degli elementi indicati dal giudice di appello a sostegno della decisione implica la surrettizia richiesta di una rivalutazione nel merito del materiale probatorio, ammissibile solo nei ristretti limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che esclude la possibilità di censurare la semplice insufficienza motivazionale (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; conf. Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 23828 del 20/11/2015; Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018);
5. in conclusione, previa dichiarazione del difetto di legittimazione passiva di Industrie Abate s.r.l., il ricorso va rigettato e l’Amministrazione finanziaria va condannata al pagamento, in favore dei controricorrenti in solido, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, avuto conto di un valore dichiarato della lite compreso tra Euro 5.200,01 ed Euro 26.000,00 e della circostanza che la difesa ha riguardato due soggetti con posizioni non sovrapponibili;
5.1. il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1 bis, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. n. 5955 del 14/03/2014; Cass. n. 23514 del 05/11/2014; Cass. n. 1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
La Corte dichiara il difetto di legittimazione passiva di Industrie Abate s.r.l.; rigetta il ricorso nei confronti di Tea s.r.l.; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del quindici per cento e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2021
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