Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.19356 del 07/07/2021

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Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12640-2020 proposto da:

S.Y., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CUNFIDA 16, presso lo studio dell’avvocato MARIA VISENTIN, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE ROMA;

– intimata –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 6843/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata l’11/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata dell’08/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 6843/2019, depositata l’11/11/2019, ha respinto il gravame di S.Y., cittadino del Senegal, avverso la decisione di primo grado, che, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, aveva respinto la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e umanitaria.

In particolare, i giudici d’appello hanno affermato che: il racconto del richiedente (essere scappato dal Paese d’origine per paura di essere ucciso dai ribelli, che avevano già ucciso il pastore, che pascolava il gregge della famiglia dopo la morte del padre, e gli stessi capi di bestiame) era del tutto generico e non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, neppure ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non sussistendo nel Senegal una situazione di violenza indiscriminata (sulla base dei report UNHCR, Amnesty International, ECOI, consultati, e dal sito *****); neppure sussistevano i presupposti per la chiesta protezione per ragioni umanitarie, in difetto di condizioni di vulnerabilità soggettiva, non rilevando da soli i percorsi di integrazione avviati in Italia (con la partecipazione a corsi di alfabetizzazione e formazione professionale).

Avverso la suddetta pronuncia, non notificata, S.Y. propone ricorso per cassazione, notificato l’11/5/2020, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la nullità della sentenza e del procedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per non avere la Corte d’appello adempiuto al dovere di acquisizione di informazioni e documenti, del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, e della Dir. n. 2004/83/CE, nonchè “per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”; b) con il secondo motivo, l’errato/omesso esame, ex art. 360 c.p.c., “n. 3”, delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio in relazione alla condizione personale del richiedente; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria, malgrado le condizioni socio-politiche del Paese d’origine; d) con il quarto motivo, sia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, del D.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, L. n. 110 del 2017, art. 10 Cost., sia l’omesso esame, in relazione al diniego della protezione per ragioni umanitarie.

2. La prima censura è infondata.

La sentenza non risulta affetta da un vizio di radicale carenza di motivazione o motivazione apparente o intrinsecamente illogica.

Come osservato dalle S.U. di questa Corte (Cass. S.U. n. 22232/2016) “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (conf. Cass. n. 16611/2018).

Le affermazioni della Corte di merito, come sopra riportate, non risultano tra loro inconciliabili.

In realtà, i motivi sottendono una censura di insufficienza motivazionale che non può essere più avanzata, in sede di legittimità, attesa la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, avendo la Corte territoriale ampiamente articolato la decisione di diniego della protezione internazionale sotto tutti i profili richiesti.

3. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto in ricorso si lamenta, del tutto genericamente, un mancato esame delle dichiarazioni rese dal richiedente e della situazione generale di instabilità politica del Paese d’origine e si deduce che la storia personale avrebbe dovuto comunque comportare l’accoglimento della chiesta protezione internazionale, per il solo fatto che il proprio Paese non sarebbe in grado di offrire protezione e che il richiedente verserebbe in caso di rientro in condizione serio pericolo.

In difetto di effettivo omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, deve rilevarsi che la Corte di merito ha esaminato puntualmente sia le dichiarazioni rese dal richiedente sia la situazione del Paese d’origine.

Nella specie, tutti gli aspetti significativi della vicenda narrata dal richiedente sono stati esaminati e si è proceduto quindi ad un approfondimento istruttorio.

Quanto alla verifica officiosa sulla situazione del Senegal in punto di sicurezza, se è vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534), deve tuttavia rilevarsi che la Corte d’appello ha attivato il potere di indagine nel senso indicato, consultando fonti internazionali.

4. Il terzo motivo è infondato.

Il ricorrente deduce che vi sarebbe stata una “superficiale valutazione” dei rischi attualmente esistenti nel Paese d’origine.

La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che “il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale” (Cass. ord. n. 30105 del 2018).

Ora, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica, in relazione al decisum (avendo la Corte di merito attivato i poteri di acquisizione officiosa delle informative ed indicato le fonti consultate), ed è altresì inammissibile perchè mira a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

5. Il quarto motivo è inammissibile.

Il ricorrente censura il rigetto della richiesta di protezione umanitaria, lamentando genericamente che la Corte d’appello non avrebbe vagliato la condizione di particolare vulnerabilità cui sarebbe esposto il richiedente, in caso di rientro nel Paese. Ora la Corte territoriale ha motivatamente ritenuto che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nelle recenti sentenze n. 29459 e n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

Considerato dunque che le disposizioni in materia non si possono interpretare estensivamente e che il richiedente non allega alcun altra specifica situazione di vulnerabilità, nè indica alcun concreto elemento sulla sua integrazione nel nostro paese, pure tale censura va disattesa.

6. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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