Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.19357 del 07/07/2021

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Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12790-2020 proposto da:

K.D., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURIZIO SOTTILE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso il decreto R.G. n. 4357/2018 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 07/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata dell’08/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Bologna, con decreto n. cronol. 2471/2020, depositato il 7/4/2020, ha respinto la richiesta di K.D., cittadino della Nigeria, di riconoscimento, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, i giudici di merito hanno sostenuto che: il racconto del richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per sfuggire alle aggressioni e minacce del padre di una ragazza, di religione mussulmana, con il quale egli, cristiano, aveva avviato una relazione sentimentale e che era rimasta incinta) non era credibile, perchè generico e contraddittorio, cosicchè non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), mentre, quanto all’ipotesi di cui alla stessa L., art. 14, lett. c), la Nigeria, secondo le fonti aggiornate consultate (*****, *****, EASO 2018, Amnesty International, 2017/018), non era interessata da conflitti armati interni o situazioni di violenza indiscriminata; neppure ricorrevano i presupposti per la chiesta protezione umanitaria, in difetto di personale vulnerabilità del richiedente (anche in relazione a quanto subito nel paese di transito, in Libia) o di un radicamento in Italia (non essendo peraltro sufficiente da solo il percorso di integrazione, linguistica e lavorativa, avviato), avendo anzi il richiedente legami famigliari in Nigeria.

Avverso la suddetta pronuncia, K.D. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, sia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2, 3, 4, 5 e 6 e art. 14, artt. 8, 27, 2 e 3 CEDU, sia difetto di motivazione, travisamento dei fatti ed omesso esame di fatto decisivo, in relazione alla valutazione della situazione socio-politica della Nigeria e della credibilità delle dichiarazioni del richiedente; b) con il secondo motivo, sia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, sia l’omesso esame di fatti decisivi, anche in riferimento alla integrazione in Italia, in relazione al diniego della protezione umanitaria.

2. La prima censura è in parte infondata, in parte inammissibile.

Il decreto non risulta affetto da un vizio di radicale carenza di motivazione o motivazione apparente o intrinsecamente illogica.

Come osservato dalle S.U. di questa Corte (Cass. S.U. n. 22232/2016) “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (conf. Cass. n. 16611/2018).

In realtà, il motivo sottende una censura di insufficienza motivazionale che non può essere più avanzata, in sede di legittimità, attesa la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, avendo la Corte territoriale ampiamente articolato la decisione di diniego della protezione internazionale sotto tutti i profili richiesti.

In ricorso si lamenta, del tutto genericamente, un mancato esame delle dichiarazioni rese dal richiedente e della situazione generale di instabilità politica del Paese d’origine e si deduce che la storia personale avrebbe dovuto comunque comportare l’accoglimento della chiesta protezione internazionale, per il solo fatto che il proprio Paese non sarebbe in grado di offrire protezione e che il richiedente verserebbe in caso di rientro in condizione serio pericolo.

In difetto di effettivo omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, deve rilevarsi che il Tribunale ha esaminato puntualmente sia le dichiarazioni rese dal richiedente, ritenute non credibili, sia la situazione del Paese d’origine.

Quanto alla verifica officiosa sulla situazione della Nigeria in punto di sicurezza, il ricorrente deduce che vi sarebbe stata una “superficiale valutazione” dei rischi attualmente esistenti nel Paese d’origine.

La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che “il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale” (Cass. ord. n. 30105 del 2018).

La censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica, in relazione al decisum (avendo il Tribunale attivato i poteri di acquisizione officiosa delle informative ed indicato le fonti consultate), ed è altresì inammissibile perchè mira a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

5. Il secondo motivo è inammissibile.

Il ricorrente censura il rigetto della richiesta di protezione umanitaria, lamentando genericamente che il Tribunale non avrebbe vagliato la condizione di particolare vulnerabilità cui sarebbe esposto il richiedente, in caso di rientro nel Paese.

Ora il Tribunale ha motivatamente ritenuto che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nelle recenti sentenze n. 29459 e n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

Considerato dunque che le disposizioni in materia non si possono interpretare estensivamente e che il richiedente non allega alcun altra specifica situazione di vulnerabilità, nè indica alcun concreto elemento sulla sua integrazione nel nostro paese, pure tale censura va disattesa.

6. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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