LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 7230/2019 r.g. proposto da:
W.S., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Paolo Alessandrini, presso il cui studio elettivamente domicilia in Ascoli Piceno, in Rua del Papavero n. 6.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE DI L’AQUILA depositato in data 11/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 27/04/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
FATTI DI CAUSA
1. W.S., nativo del Gambia, ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, avverso il decreto del Tribunale di L’Aquila dell’11 gennaio 2019, reso nel procedimento n. 849/2018, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari). Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.
1.1. Quel tribunale ritenne: i) i fatti narrati dal richiedente (che aveva riferito di essere fuggito dal proprio Paese per l’impossibilità di praticare liberamente la religione cristiana in famiglia), inidonei ad integrare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); ii) insussistenti, in Gambia, le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c), dell’appena menzionato D.Lgs.; iii) indimostrati, né dedotti, eventuali fatti o accadimenti giustificativi della invocato rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia “Violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 4 della Direttiva Comunitaria 2004/83/CE del 29.4.2004 (abrogata e ritrasfusa nella Direttiva 2011/95/UE), al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nonché alla Direttiva Comunitaria 2005/85/CE (abrogata e ritrasfusa nella Direttiva 2013/32/UE), e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1-bis, nonché con riferimento all’art. 8 della Dir. 2004/83/CE”, in merito allo speciale regime probatorio vigente nella materia di che trattasi ed agli ampi poteri/doveri di collaborazione posti in capo all’organo amministrativo prima ed al giudice poi.
1.1. Una siffatta doglianza è inammissibile perché non pienamente coerente con la ratio decidendi del provvedimento impugnato, che non ha minimamente negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente. Essa, inoltre, si rivela essenzialmente volta a criticare il complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il W. intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020).
1.2. Il tribunale aquilano, invero, ha escluso che la già descritta vicenda riferita dal ricorrente, benché credibile (così da rendere superflua l’audizione di quest’ultimo), fosse riconducibile ad una vicenda persecutoria suscettibile di giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato o che potesse configurarsi una ipotesi di rischio di danno grave individualizzato del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), in assenza di dirette minacce di torture e condanna a morte. Tali conclusioni si rivelano ampiamente coerenti con il suddetto parametro normativo, rendendo, così, irrilevante, su questi specifici aspetti, l’effettiva situazione socio politica della sua zona di provenienza. Quanto, poi, a quella stessa protezione invocata giusta la lett. c), del medesimo articolo, il decreto oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese (Gambia) di provenienza del richiedente, ha compiutamente indicato le fonti utilizzate ed ha escluso che sia caratterizzato dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.
2. Il secondo motivo lamenta “Violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione o falsa applicazione di norme dell’art. 4 della Direttiva Comunitaria 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nonché dell’art. 10 della Direttiva Comunitaria 2013/32/UE, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, art. 2 Cost. e art. 3 CEDU”, censurandosi il mancato riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2.1. Anche questa censure è inammissibile perché tesa a sollecitare, sul punto, una diversa valutazione fattuale rispetto a quella operata dal tribunale, il quale ha escluso la sussistenza di situazione di vulnerabilità del ricorrente. La stessa, peraltro, manca della necessaria allegazione sia della specifica vulnerabilità personale di quest’ultimo sia delle condizioni di vita nel Paese di origine da valutare comparativamente al livello di integrazione raggiunto in Italia. Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte richiede, infatti, il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale (cfr. Cass. n. 23778/2019; Cass. n. 1040/2020; Cass. n. 24026 del 2020), escludendo che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari possa essere riconosciuto solo in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza del richiedente – poiché si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, bensì quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti (cfr. Cass. 17072 del 2018, 9304 del 2019) – né considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018; Cass. n. 630 del 2020; Cass. n. 24026 del 2020).
3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021