Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.20232 del 15/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24874/2019 R.G. proposto da:

W.M., rappresentato e difeso dall’avv. Marilena Marino, con domicilio in Agrigento, Via Ugo la Malfa n. 46/c;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto del tribunale di Venezia n. 5825/2019, depositato in data 12.7.2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16.22021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

FATTI DI CAUSA

W.M., cittadino *****, ha presentato una prima domanda di protezionale presso la Commissione Territoriale di Verona, che, in data 11.7.2014, respinta con provvedimento confermato dal tribunale di Venezia in data 10.11.2017. Una successiva domanda, proposta il 2.2.2018, è stata ritenuta inammissibile in sede amministrativa, in quanto non fondata su fatti e circostanze nuove.

Su ricorso del richiedente asilo, il tribunale ha confermato il provvedimento, osservando che l’interessato, senza addurre elementi nuovi, aveva rappresentato una situazione di grave pericolo già valutata nel primo giudizio e che, inoltre, pur asserendo di aver conseguito un significativo grado di inserimento in Italia, aveva depositato una documentazione risalente a data anteriore alla prima pronuncia.

Per la cassazione del decreto W.M. ha proposto ricorso in cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 11, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che il tribunale abbia respinto la domanda di protezione internazionale senza procedere all’audizione del ricorrente.

Il motivo è infondato.

Come è evidenziato in ricorso (cfr., pag. 5), l’interessato era stato ascoltato in due diverse occasioni nel corso del procedimento relativo alla prima domanda di asilo.

Il giudizio relativo alla seconda istanza di protezione si è concluso con la dichiarazione di inammissibilità della domanda sul rilievo che non erano state allegate circostanze nuove e che erano stati depositati documenti risalenti a data anteriore alla prima pronuncia di rigetto.

In tale situazione non era doveroso procedere ad un’ulteriore audizione.

Il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 29, comma 1, prevede espressamente che la Commissione territoriale dichiara inammissibile la domanda e non procede all’esame, se il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa, senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine.

In sostanza, avendo il tribunale formulato un giudizio di inammissibilità della nuova istanza di protezione avanzata dal ricorrente, siccome fondata sui medesimi presupposti di fatto indicati a sostegno della precedente domanda di asilo, non occorreva disporre la rinnovazione dell’audizione (Cass. 22875/2020).

2. Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3 e 14, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la pronuncia ritenuto che non fossero stati allegati fatti nuovi rispetto a quelli già dedotti nel primo giudizio, sebbene nelle due audizioni svoltesi in sede amministrativa fosse stato evidenziato il timore di ripercussioni per l’incolumità fisica del ricorrente in caso rimpatrio nel paese di origine ove “la violazione dei diritti umani è un fatto generalizzato e notorio”. Era altresì necessario valutare la stessa credibilità del ricorrente alla stregua dei criteri legali di cui all’art. 5, comma 3, decreto qualifiche, attivando i poteri istruttori di indagine.

La censura è inammissibile, limitandosi ad un mero richiamo ai colloqui svolti in sede audizione nel corso del primo procedimento senza specificare le circostanze di fatto allegate, che invece il tribunale ha motivatamente ritenuto inidonee ad integrare gli elementi nuovi richiesti dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 29, lett. b), per la riproposizione della richiesta di protezione.

L’assoluta genericità della censura non consente – in definitiva – di scrutinarne la fondatezza, posto che anche l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di indicare i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, specificazione che deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione (Cass. 29495/2020; Cass. 22880/2017) 3. Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che il tribunale non abbia proceduto ad un’effettiva verifica del pericolo, basato su situazioni oggettive, cui sarebbe esposto il ricorrente in caso di rimpatrio, tanto più che, a differenza di quanto richiesto per la concessione dello status di rifugiato, la domanda di protezione sussidiaria non deve essere fondata su motivi predeterminati.

Il quarto motivo denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione riguardo all’esame della situazione del ***** e la violazione dell’art. 3 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, asserendo che, nel respingere la domanda, il tribunale abbia riservato al ricorrente un trattamento deteriore rispetto agli altri cittadini *****, cui sarebbe stata accordata la protezione internazionale in base alla situazione politica del paese, e per aver respinto la domanda benché la situazione di pericolo denunciata nella prima richiesta fosse tuttora sussistente. Data l’attendibilità della vicenda personale dell’interessato, occorreva procedere ai dovuti approfondimenti istruttori sulla situazione del paese di provenienza.

Il quinto motivo denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver il tribunale respinto la domanda di protezione umanitaria senza svolgere alcun approfondimento sulle gravi violazioni dei diritti umani consumate in ***** e senza comparare tale situazione con l’integrazione conseguita in Italia.

1. I tre motivi sono preclusi dalla declaratoria di inammissibilità della domanda assunta dal tribunale sul presupposto che la reiterazione della richiesta di protezione esigeva l’allegazione di fatti nuovi, non valutati nel primo giudizio conclusosi con la pronuncia di rigetto in data 10.11.2017, tanto più che la domanda era stata riproposta a distanza di appena tre mesi dal primo provvedimento negativo.

Ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 29, lett. b), è sempre onere del ricorrente fondare la richiesta su elementi non dedotti nel primo giudizio, per tali intendendosi sia nuovi fatti di persecuzione o comunque costitutivi del diritto alla protezione, successivi al rigetto della prima domanda da parte della competente commissione, o nuove prove dei fatti costitutivi del diritto, purché il richiedente non abbia potuto, senza sua colpa, produrle in precedenza innanzi alla commissione in sede amministrativa o al giudice, introducendo il procedimento giurisdizionale di cui all’art. 35 D.Lgs. n. citato (Cass. 5089/2013; Cass. 18440/2019; Cass. 4522/2015).

In mancanza di dette nuove deduzioni difensive, il tribunale ha correttamente dichiarato inammissibile l’istanza.

Il ricorso è quindi respinto.

Nulla sulle spese, non avendo il Ministero svolto difese.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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