Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.20304 del 15/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28678-2020 proposto da:

O.A.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FELICE PATRUNO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, PREFETTO DI BRESCIA, PROCURATORE GENERALE presso la CORTE di CASSAZIONE;

– intimati –

avverso l’ordinanza 1042/2019 del GIUDICE DI PACE di BERGAMO, depositata il 30/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con ordinanza del 30/4/2020 il Giudice di pace di Bergamo ha respinto il ricorso proposto da O.A.O., cittadino nigeriano, avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Bergamo il *****, a spese compensate;

secondo il Giudice di pace il provvedimento era stato debitamente tradotto in lingua inglese, lingua ufficiale della Nigeria, e correttamente motivato perché lo straniero era entrato irregolarmente in Italia ed era sprovvisto di valido titolo, dopo il rigetto, senza provvedimento di sospensione, della sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale disposto dal Tribunale di Brescia con decreto notificato il 1/3/2018, mentre non vi era ragione di ritenere che in caso di rimpatrio avrebbe corso il rischio di incorrere in trattamenti inumani o degradanti;

avverso il predetto decreto del 30/4/2020, con atto notificato il 27/10/2020 al Ministero dell’Interno e al Prefetto di Brescia, ha proposto ricorso per cassazione O.A.O., svolgendo tre motivi;

con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, perché non era stato rilevato che il decreto del ***** era stato emesso nella pendenza del termine per proporre ricorso in Cassazione avverso il decreto di rigetto della domanda di protezione internazionale;

con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis, comma 6, poiché il ricorrente era un soggetto inespellibile in pendenza del termine per il ricorso per cassazione avverso il decreto di rigetto della domanda di protezione internazionale del *****;

con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, nonché omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti con riferimento al dedotto rischio di essere sottoposto a persecuzione o trattamenti inumani o degradanti;

le parti intimate non si sono costituite;

e’ stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la trattazione in Camera di consiglio non partecipata.

RITENUTO

che:

il ricorso è stato diretto sia nei confronti del Ministero dell’Interno, sia nei confronti del Prefetto di Brescia, e ad entrambi notificato presso l’Avvocatura generale dello Stato in Roma, benché l’Avvocatura dello Stato non si fosse costituita per l’Amministrazione nel giudizio di merito;

secondo la giurisprudenza, del tutto prevalente, di questa Corte, nei giudizi di opposizione al provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero, la legittimazione passiva appartiene in via esclusiva, personale e permanente al Prefetto, quale autorità che ha emesso il provvedimento, ed è inammissibile il ricorso per cassazione notificato al Ministero dell’Interno presso l’Avvocatura generale dello Stato invece che al Prefetto in proprio (Sez. 1, n. 9078 del 07/07/2000, Rv.53895501; Sez. 1, n. 5537 del 13/04/2001, Rv. 545917 – 01; Sez. U, n. 15141 del 28/11/2001, Rv. 550716 – 01; Sez. 1, n. 10991 del 10/06/2004, Rv. 573508 – 01; Sez. 1, n. 1395 del 27/01/2004, Rv. 569699 – 01; Sez. 1, n. 28869 del 29/12/2005, Rv. 585689 – 01; Sez. 1, n. 14293 del 21/06/2006, Rv. 592741-01; Sez. 1, n. 825 de119/01/2010, Rv. 611929-01; Sez. 6 – 1, n. 16178 del 30/07/2015, Rv. 636358 – 01);

non diverge da questo orientamento la decisione di rinotificazione sanante ex art. 291 c.p.c., disposta dalla Sez. 1 con ordinanza interlocutoria n. 12665 del 13/05/2019 (Rv. 653771 – 01), in quanto emessa in un caso in cui il ricorso era stato rivolto contro il Prefetto ma notificato a costui presso l’Avvocatura generale dello Stato e pertanto in una ipotesi nella quale non si erano registrati vizi intrinseci del ricorso quanto alla editio actionis e vocatio in ius, ma solo della sua notificazione;

due pronunce di segno diverso (Sez. 2, n. 24582 del 04/11/2020, Rv. 659666 – 01; Sez. 1, n. 27692 del 30/10/2018 -Rv. 651449 – 01) non paiono in grado di infrangere l’orientamento più antico, non solo molto più numeroso ma anche avallato da una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 15141 del 28/11/2001), resa con riferimento alla pressoché identica precedente formulazione normativa in tema di giudizio di opposizione all’espulsione prefettizia, il che corrobora il predetto indirizzo con la particolare efficacia di cui all’art. 374 c.p.c., comma 3;

infatti la formulazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13 bis, comma 2, primo periodo, (abrogato dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 19, lett. c), secondo il quale “L’autorità che ha emesso il decreto di espulsione può stare in giudizio personalmente o avvalersi di funzionari appositamente delegati”, è stato riprodotto, pressoché pedissequamente, nel c.d. “decreto riti” (D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150), art. 18, comma 6, secondo il quale “L’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato può costituirsi fino alla prima udienza e può stare in giudizio personalmente o avvalersi di funzionari appositamente delegati”;

il predetto orientamento è stato inoltre riaffermato, anche dopo le due ricordate pronunce divergenti da varie pronunce, come l’ordinanza della Sez. Lav. n. 29968 del 31/12/2020 e le ordinanze della Sez. 1 n. 9810, n. 9814 e n. 9815 del 14/4/2021, che hanno ribadito l’esclusiva legittimazione prefettizia, salvo porsi il diverso problema della corretta notificazione dell’impugnazione a tale organo periferico dell’Amministrazione statale, nella stessa logica della citata ordinanza n. 12665 del 13/05/2019;

nel presente caso non è peraltro necessario disporre la rinnovazione della notifica al Prefetto di Brescia, correttamente individuato come legittimato, oltre al Ministero dell’Interno, ma non attinto da valida notificazione, alla stregua dei principi della ragion più liquida e di economia processuale;

infatti il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.), di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti;

pertanto, in caso di ricorso per cassazione prima Aie infondato, appare superfluo disporre la rinnovazione di una notifica nulla, che si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. explurimis, Sez. 3, n. 15106 del 17/06/2013, Rv. 626969 – 01; Sez. 2, n. 12515 del 21/05/2018, Rv. 648755 -01; Sez. 2 -, n. 11287 del 10/05/2018, Rv. 648501 – 01; Sez. 6 – 3, n. 8980 del 15/05/2020, Rv. 657883 – 01; Sez.Lav. n. 29968 del 31/12/2020; cfr anche Sez. U, n. 6826 del 22/03/2010, Rv. 612077 -01);

il primo motivo con cui il ricorrente lamenta l’emissione del decreto di espulsione il ***** in pendenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la decisione negativa della sezione specializzata D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, del ***** appare manifestamente infondato alla luce del tenore letterale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, terzo periodo;

né il diritto di permanere sul territorio dello Stato può essere desunto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7, o dalla Dir. n. 2013/32/CE, art. 9, che si riferiscono solo al provvedimento amministrativo di primo grado;

il secondo motivo con il quale il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis, comma 6, appare manifestamente infondato per le stesse ragioni;

per di più la norma si riferisce al diverso caso della presentazione di domanda di protezione successivamente all’espulsione;

il terzo motivo, relativo al rischio di persecuzione o di trattamenti inumani o degradanti in caso di rimpatrio – appare manifestamente infondato in entrambi i profili con cui è stato promiscuamente dedotto, di violazione legge e di omesso esame di fatto decisivo, perché tale rischio è stato valutato dal Giudice di pace, che l’ha ritenuto prospettato solo genericamente e comunque insussistente in concreto con riferimento alla persona del sig. O.;

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere rigettato, senza provvedimenti sulle spese in difetto di costituzione delle parti intimate;

quanto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, perché il presente procedimento è esente da ogni tassa e imposta ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 18, comma 8.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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