Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.20309 del 15/07/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9553/2020 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanbattista Scordamaglia;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1526/2019 della Corte d’appello di Catanzaro, depositata il 17/7/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 20/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 1526/2019, depositata in data 17/7/2019, ha respinto il gravame di M.R., cittadino del Bangladesh, avverso la decisione di primo grado, che aveva, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, respinto la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria od umanitaria.

In particolare, i giudici d’appello, ritenuta non necessaria una nuova audizione del richiedente, già sentito nel corso del giudizio di primo grado, hanno sostenuto che: il racconto del richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per minacce di morte ricevute da sostenitori del partito Awame League, dopo che egli li aveva denunciati in quanto essi avevano tentato di rapire sua cugina, durante la cerimonia del matrimonio) non era credibile, per diverse contraddizioni e lacune, e non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. a) e b); quanto alla protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Bangladesh non era interessato (secondo le fonti consultate, Actionaid, Ecoi.net, Viaggiare sicuri) da violenza generalizzata, risultando gli attentati terroristici fenomeni isolati; in difetto di situazioni di personale vulnerabilità e di integrazione in Italia, non ricorrevano i presupposti neppure per la concessione della protezione umanitaria.

Avverso la suddetta pronuncia, M.R. propone ricorso per cassazione, notificato il 17/2/2020, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n.. 251 del 2007, art. 3 e art. 8, comma 1, lett. b), con riferimento ai profili di credibilità, nonché errata ed illogica valutazione in merito alle dichiarazioni dei richiedente, non avendo la Corte d’appello compiuto adeguata attività istruttoria officiosa; b) con il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, con riferimento al diniego di riconoscimento dello status di rifugiato, non avendo la Corte di merito compiuto la dovuta attività istruttoria officiosa, nonostante il richiedente avesse allegato il clima di scontri e conflitti di matrice religiosa nel paese d’origine e di essersi inutilmente rivolto alle Autorità del suo Paese, denunciando i fatti, senza ricevere risposta; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2-5-14, con riferimento al diniego della protezione sussidiaria; d) con il quarto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, e l’omessa valutazione sia delle violazioni dei diritti umani nel Paese d’origine sia della condizione di vita del richiedente (che non potrebbe più riprendere nel suo Paese il lavoro di contadino in precedenza svolto), in relazione al diniego della protezione umanitaria.

2. Le prime due censure sono inammissibili.

Deve osservarsi, quanto alla credibilità, come, anche di recente (Cass. 11925/2020), si sia ribadito che “la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Nella specie, tutti gli aspetti significativi della vicenda narrata dal richiedente sono stati esaminati e si è proceduto quindi ad un approfondimento istruttorio, affermandosi, con ampia motivazione, il giudizio di inattendibilità, con conferma di quanto già statuito dal Tribunale.

La ritenuta non credibilità delle dichiarazioni del richiedente, ha comportato il diniego del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. a e b).

3. Il terzo motivo è inammissibile.

Quanto alla verifica officiosa sulla situazione del Bangladesh in punto di sicurezza, se è vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534), deve tuttavia rilevarsi che la Corte di merito ha attivato il potere di indagine nel senso indicato, consultando fonti internazionali.

Inoltre, come già rilevato da questa Corte (Cass.19197/2015; conf. Cass. 7385/2017; Cass. 30679/2017), “il ricorso al tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore”, cosicché “i fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale” (in termini anche Cass. 27503/2018 e Cass.29358/2018).

Ora, la doglianza è inammissibile perché mira a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

Inoltre, con riguardo al giudizio di appello, questa Corte ha affermato che “in tema di protezione internazionale sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ove il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine tale da attingerlo qualora debba farvi rientro, e quindi senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione; ne consegue che il ricorso per cassazione deve allegare il motivo che, coltivato in appello secondo il canone della specificità della critica difensiva ex art. 342 c.p.c., sia stato in tesi erroneamente disatteso, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato alla S.C. anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi” (Cass. 13403/2019; nella specie, il ricorrente si era limitato, per sostenere l’esistenza nell’intera Nigeria di una situazione di violenza generalizzata, a richiamare le norme nazionali e convenzionali, i principi affermati nella materia dalla S.C. ed una pluralità di fonti informative, sito Amnesty International, report EASO, note del Ministero degli Affari Esteri, senza specificare la zona di provenienza né segnalare i contenuti delle allegazioni svolte in primo grado).

Il ricorrente si è limitato a dedurre di avere allegato in appello “report EASO ed Amnesty International”, che descriverebbero una situazione pericolosa per la popolazione, ma la Corte risulta averne dato conto, avendo ritenuto che essi non descrivessero una situazione di violenza generalizzata.

4. Il quarto motivo è inammissibile.

E’ stato chiarito che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Nella specie, la Corte di merito ha compiuto una esaustiva valutazione della situazione del richiedente, rilevando la mancanza di situazioni di vulnerabilità, sia oggettiva sia soggettiva, del richiedente, né vengono dedotte situazioni di vulnerabilità, già allegate, e non prese in esame dal giudice di merito.

La documentazione sanitaria prodotta con la memoria ex art. 380 bis c.p.c. è inammissibile, stante il divieto di cui all’art. 372 c.p.c.. Invero, come già affermato da questa Corte (Cass.2431/1995; Cass.6656/2004; Cass.7515/2011), “nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c. non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero nullità inficianti direttamente la sentenza impugnata, nel quale caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., con la conseguenza che ne è inammissibile la produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378 c.p.c”.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472