Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20316 del 15/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25375/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

B.M.I., con gli avvocati prof. Victor Uckmar, Giuseppe Corasaniti e prof. Guglielmo Fransoni, nel domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, alla via Crescenzio, n. 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per le Marche, n. 215/03/16, pronunciata il 8 marzo 2016 e depositata il 6 aprile 2016, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 09 marzo 2021 dal Cons Fracanzani Marcello M..

RILEVATO

La contribuente è stata azionista della Banca Popolare di Ancona, opponendosi – assieme ad altri piccoli azionisti – all’emissione di prestito obbligazionario con conversione in azioni riservato a Banche Popolari Unite, motivando sulla violazione del diritto di opzione riservato ai soci e denunciando la surrettizia operazione tesa a far passare Banca Popolare di Ancona sotto il controllo di Banche Popolari Unite, in ragione dell’enorme quantità di azioni che sarebbe arrivata a detenere. Nel corso del giudizio teso a far dichiarare la nullità delle deliberazioni societarie assunte, dopo una vittoria in primo grado dei piccoli azionisti, si giungeva ad una transazione, prevedendo l’abbandono di ogni lite a fronte della corresponsione di una somma, proporzionale alla partecipazione societaria di ciascuno degli attori – appellati.

In vista delle somme da ricevere, la contribuente avanzava interpello circa il loro regime fiscale, ritenendole in prima battuta totalmente esenti, in quanto sostanziale restituzione di capitale societario e, in subordine, soggette a tassazione separata al 12,5%, quali rinuncia al diritto di opzione (cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate). Per contro, l’Ufficio, affermava trattarsi di somme ricevute quale corrispettivo per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o tollerare, attraendoli al regime del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. l). Donde la contribuente richiedeva la differenza dell’eccedenza sulla tassazione separata all’aliquota del 12,5% ed impugnava il silenzio rifiuto, con esito negativo in primo grado, riformato in appello, ove la CTR apprezzava le sue ragioni.

Ricorre dunque l’Avvocatura generale dello Stato, affidandosi ad unico motivo, cui replica la contribuente con tempestivo controricorso.

CONSIDERATO

Viene proposto un unico motivo di ricorso.

1. Con l’unico motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. l) e c-bis), nella sostanza contestandosi trattarsi di somme ricevute per cessione di diritto di partecipazione, all’opposto doversi individuare la causa negoziale nella transazione, come assunzione di obblighi di fare, non fare, tollerare.

1.1 In via pregiudiziale, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità opposta dalla difesa privata al motivo di ricorso, in quanto teso a richiedere una rivalutazione complessiva nel merito dell’accordo transattivo. Al contrario, viene qui chiesto di verificare la corretta applicazione della norma da parte del giudice di secondo grado. Il motivo è quindi ammissibile e può essere scrutinato.

1.2 Il motivo è comunque infondato. Occorre indagare cosa sia stato “remunerato” con l’atto transattivo sottoscritto fra la contribuente e l’Istituto di credito. Ponendo fine alla lite insorta, la contribuente ha rinunciato a far valere il suo diritto di opzione, cioè una parte significativa dei diritti connessi al suo status di socia della Banca Popolare di Ancona. Un tanto è avvalorato da tre elementi: a) dalla circostanza che proprio la lesione di quel diritto aveva indotto la contribuente a muover lite alla Banca; b) dalla circostanza che con l’abbandono della lite in appello (vittoriosa avendola vista il primo grado) la contribuente rinunciava a far valere il suo diritto di opzione, lasciando libera Banche Popolari Unite di sottoscrivere per l’intero il prestito obbligazionario convertito forzatamente in azioni; c) dalla circostanza che il risarcimento accordato fosse commisurato per ciascun socio alla sua partecipazione societaria, quindi proporzionato al diritto di opzione rinunciato, non ad un obbligo capitarlo di fare, non fare (o permettere, secondo la dicitura del D.P.R. n. 917 del 1986, che si distingue dagli art. 1965 c.c. e ss.).

Altresì, significativa è la circolare dell’Amministrazione finanziaria 10 dicembre 2004, n. 52/E, al punto 2.2.5., ove attrae ai redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. c) bis, “la cessione di partecipazione, titolo o diritti che rappresentano una percentuale complessiva di diritti di voto ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio” e tale deve considerarsi anche (la rinuncia al) il diritto di opzione che è alla base della transazione stipulata con la Banca Popolare di Ancona e occasione delle somme percepite.

2. Sotto altro profilo, la tesi erariale prova troppo. Ed infatti, guardare agli obblighi di fare, non fare o tollerare come categoria autonoma e generale della transazione, significa accordare a quell’istituto una funzione novativa anche sotto il profilo fiscale, con la conseguenza che ogni operazione – più o meno fiscalmente onerosa ovvero di tassazione incerta – può essere oggetto di transazione su di una lite minacciata, al solo fine di far ricadere quanto corrisposto nella categoria generale e sussidiaria degli obblighi di fare, non fare o tollerare. In tal modo, sarebbe rimesso alla disponibilità delle parti uno strumento consensuale per il mutamento surrettizio del regime fiscale imposto dal legislatore nell’esercizio della sua riserva e in contrasto con il principio di capacità contributiva. Occorre, pertanto, guardare alla ragion d’essere ed alla natura dei diritti dedotti in transazione per fondare su quelli (e non su questa) il regime fiscale appropriato.

A quest’impostazione applicativa si è correttamente attenuta la commissione d’appello, la cui sentenza qui impugnata è esente da censure.

Il ricorso è quindi infondato e dev’essere rigettato; le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio di legittimità in favore delle contribuente, che liquida in Euro duemilatrecento/00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15%, Iva e cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2021

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