Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.20335 del 16/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – rel. Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16072/2016 proposto da:

C. APPALTI SAS, IN PERSONA DEL SOCIO ACCOMANDATARIO E LEGALE RAPP.TE PRO TEMPORE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIVORNO 15 INT. 20, presso lo studio dell’avvocato FABIO SPREGA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Nonché da:

N.A., IN PROPRIO E NELLA SUA QUALITA’ DI EREDE DELLA SIG.RA N.M., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA ANCO MARZIO 13, presso lo studio dell’avvocato FABIO CASINOVI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2053/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere e Presidente Dott. SERGIO GORJAN.

FATTI DI CAUSA

La sas C. Appalti ebbe ad evocare in causa, avanti il Tribunale di Roma, N.M. ed N.A. deducendo d’aver acquistato mediante usucapione il diritto di proprietà del terreno – formalmente in proprietà dei convenuti – sito in comune censuario ed amministrativo di Roma, allibrato in catasto al foglio ***** particelle *****.

Nella contumacia dei convenuti, il Tribunale capitolino ebbe ad accertare l’acquisto del diritto di proprietà da parte della sas C. Appalti mediante usucapione.

Avverso detta decisione i consorti N. proposero gravame avanti la Corte d’Appello di Roma, che, resistendo la società appellata e preso atto che, alla defunta N.M., era subentrato l’erede N.A., accolse l’impugnazione.

Osservava la Corte capitolina come, se effettivamente la citazione originaria era stata correttamente notificata ex art. 140 c.p.c., tuttavia la società attrice non aveva assolto al proprio onere probatorio di dimostrare il possesso ultraventennale ad usucapionem, in quanto non affidabili le dichiarazioni rese dai testi dalla stessa introdotti in causa.

Avverso detta sentenza la sas C. Appalti ha interposto ricorso per cassazione articolando tre motivi, illustrato con nota difensiva.

N.A., anche nella qualità d’erede di N.M., resiste con controricorso, portante impugnazione incidentale condizionata, illustrato con memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dalla sas C. Appalti s’appalesa privo di fondamento e va rigettato.

Con la prima ragione di impugnazione la società ricorrente denunzia violazione delle regole di diritto portate negli artt. 1142 e 1158 c.c., poiché il Collegio romano non aveva osservato la presunzione di possesso intermedio, una volta provato il momento d’avvio della relazione con la cosa ed il suo attuale possesso mediante i testi escussi in causa, pur in difetto della prova, incombente sui titolari del diritto, d’aver interrotto il suo possesso ad usucapionem.

La critica svolta appare priva di fondamento, posto che il Collegio romano ebbe a ritenere non provato il possesso continuo ultraventennale in ragione della scarsa concludenza ad attestare il fatto da provare delle dichiarazioni sul punto rese dai testi escussi.

Quindi la Corte capitolina ha ritenuto non provato il possesso nel suo momento iniziale, sicché alcuna rilevanza assume, in relazione all’effettiva motivazione di sentenza, la critica veicolata dalla società ricorrente.

Con il secondo mezzo d’impugnazione la sas C. Appalti deduce omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, fatto identificato nell’inadeguata valutazione delle dichiarazioni rese dai testi circa le condotte di possesso descritte.

All’evidenza la censura appare inammissibile posto che veicola sub specie omesso esame di un fatto storico critica circa la valutazione dei mezzi probatori, assunti in causa, da parte del Giudice d’appello.

Dunque non solo l’omissione denunziata non ricade sull’esame di un fatto storico, siccome previsto dalla norma invocata a supporto del vizio di legittimità denunziato, ma pure l’argomento critico si sostanzia nella mera prospettazione di un apprezzamento alternativo delle dichiarazioni rese dai testi e ritenute dal Collegio romano non atte a dimostrare il possesso ad usucapionem.

Con la terza ragione di doglianza la società ricorrente lamenta violazione del disposto ex art. 1158 c.c., posto che la Corte capitolina ha ritenuto, valido atto d’impedimento al chiesto acquisto mediante usucapione, la circostanza che i titolari formali del bene immobile ebbero a denunziarlo nella dichiarazione di successione, poiché in effetti questo comportamento non avente valenza di atto interruttivo del possesso, siccome insegna costantemente questa Suprema Corte.

Anche detta censura si palesa priva di fondamento, posto che la Corte capitolina non già ebbe ad individuare l’inserimento del bene oggetto di causa nella denunzia di successione, presentata dai N. in relazione all’asse relitto morendo dai genitori, quale atto interruttivo del possesso, bensì solo quale condotta contraria al dedotto – da parte della società attrice – animus derelinquendi ossia alla condotta di disinteresse, rispetto al bene immobile oggetto di causa da parte dei suoi titolari formali.

Dunque mera argomentazione, in risposta ad osservazione della società ricorrente, tesa ad evidenziare, con apprezzamento di dato fattuale probatorio, che i N. in effetti non avevano dimostrato disinteresse per il loro bene.

Il rigetto dell’impugnazione principale comporta l’assorbimento dell’impugnazione incidentale in quanto espressamente condizionata all’accoglimento – eventuale – del ricorso avversario.

Al rigetto del ricorso segue la condanna della sas C. Appalti alla rifusione verso il N. delle spese di lite per questo giudizio di legittimità, tassate in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo tariffa forense come indicato in dispositivo.

Parte ricorrente è tenuta a versare nuovamente il contributo unificato, ove dovuto, pari a quello versato per l’iscrizione del ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a rifondere al N. le spese di lite di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 3.200,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di Camera di consiglio, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

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