Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.20366 del 16/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28297-2019 proposto da:

V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI CONCIATORI 3, presso lo studio dell’avvocato LORETA UTTARO, rappresentato e difeso dall’avvocato UBALDO PERFETTI;

– ricorrente –

contro

BANCA D’ITALIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZIONALE, 91, presso lo studio dell’avvocato RUGGERO IPPOLITO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE GIOVANNI NAPOLETANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10348/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 12/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

V.S. ha proposto ricorso notificato il 20 settembre 2019 ed articolato in unico motivo per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione n. 10348/2019, depositata il 12 aprile 2019.

Banca d’Italia ha resistito con controricorso.

Su proposta del relatore, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4, e dell’art. 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ravvisava l’inammissibilità del ricorso, il presidente fissava con decreto l’adunanza della Corte perché la controversia venisse trattata in consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni.

Il ricorrente ha presentato memoria.

La sentenza della Corte di cassazione depositata il 12 aprile 2019, che rigettò il ricorso di V.S., strutturato in diciannove motivi, avverso il decreto n. 5509/2016 della Corte d’appello di Roma, affermò, per quanto qui rileva: “Preliminarmente deve darsi atto che non può essere presa in considerazione la memoria difensiva del ricorrente, risultando la stessa depositata tardivamente rispetto termine di 5 giorni prima dell’udienza stabilito dall’art. 378 c.p.c.. Tale termine infatti, che non è termine libero, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. n. 18346 del 2015), scadeva il 6.12.2018, essendo stata l’udienza fissata il giorno 12 successivo, mentre la memoria è stata depositata il 7 dicembre”.

L’unico motivo del ricorso per revocazione deduce che, proprio per il ragionamento in diritto seguito nella sentenza revocanda, la memoria depositata il 7 dicembre 2018 doveva intendersi tempestiva rispetto all’udienza pubblica fissata per il giorno 12 dicembre 2018. Il mancato esame di tale memoria, secondo il ricorrente, avrebbe impedito alla Corte di cassazione di accorgersi della natura sostanzialmente penale delle sanzioni di Banca d’Italia ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 144 e ss., nella formulazione successiva alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 72 del 2015. Parimenti, l’errore sulla tempestività della memoria avrebbe impedito l’esame dell’eccezione di incostituzionalità ivi formulata.

Nella memoria presentata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, il ricorrente ribadisce, appunto, che l’errore revocatorio denunciato consiste nel mancato esame della memoria, avente contenuto decisivo quanto alla omessa considerazione della natura sostanzialmente penale delle sanzioni, alla ritenuta vigenza della vecchia disciplina, alla ignoranza dei mutamenti normativi.

La censura è inammissibile.

Nella specie, l’errore di fatto denunciato attiene al calcolo del termine di cinque giorni prima dell’udienza, previsto dall’art. 378 c.p.c., per la presentazione delle memorie di parte, termine che effettivamente deve intendersi non “libero”, operando il criterio generale di cui all’art. 155 c.p.c., comma 1, secondo il quale non va conteggiato iniziale, computandosi, viceversa, quello finale.

Peraltro, per consolidata interpretazione, in materia di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, deve consistere in una disamina superficiale di dati di fatto che abbia quale conseguenza l’affermazione o la negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, ovvero in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale. E’ invece inammissibile il ricorso ex art. 395 c.p.c., n. 4, ove vengano dedotti errori di giudizio concernenti i motivi di ricorso esaminati dalla sentenza della quale è chiesta la revocazione, ovvero l’errata valutazione di fatti esattamente rappresentati o, ancora, l’omesso esame di atti difensivi, asseritamente contenenti argomentazioni giuridiche non valutate (Cass. 22/09/2014, n. 19926; Cass. 09/12/2013, n. 27451; Cass. Sez. Un. 28/05/2013, n. 13181; Cass. 12/12/2012, n. 22868; Cass. 18/01/2012, n. 714; Cass. Sez. Un. 30/10/2008, n. 26022).

E’ parimenti consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui una sentenza della Corte di cassazione non possa essere impugnata per revocazione in base all’assunto che essa abbia male valutato i motivi di ricorso, perché un vizio di questo tipo costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. Sez. 6 – L, 03/04/2017, n. 8615; Cass. Sez. 6 – 3, 15/06/2012, n. 9835).

In particolare, come questa Corte ha altresì chiarito, l’omesso esame di una memoria depositata ex artt. 378, 380-bis o 380-bis.1. c.p.c., può costituire errore di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., soltanto quando la parte ricorrente dimostri, oltre alla mancata considerazione dello scritto difensivo, anche la decisività di quest’ultimo ai fini dell’adozione di una statuizione diversa, nel senso che occorre che nella decisione impugnata emerga un’insanabile illogicità o incongruenza con un elemento di fatto evidenziato nella memoria (Cass. Sez. 6 – 2, 07/11/2016, n. 22561). Le memorie di cui all’art. 378 c.p.c., sono comunque destinate esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi del ricorso per cassazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, non potendosi in esse dedurre nuove censure né sollevarsi questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso (ex multis, Cass. Sez. 2, 12/10/2017, n. 24007). Tale essendo la limitata funzione delle memorie ex art. 378 c.p.c., l’omesso esame di esse può costituire errore di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., solo se abbia comportato una svista percettiva del giudice, evitabile mediante la lettura di quegli scritti, in ordine all’esistenza od inesistenza di una circostanza fattuale di natura decisiva. Nella specie, il ricorrente, invece, denuncia che il mancato esame della memoria presentata il 7 dicembre 2018 abbia comportato non una svista su una circostanza fattuale ivi addotta, ma un errore di giudizio della sentenza revocanda circa la natura sostanzialmente penale delle sanzioni irrogate. Su tale punto, del resto, la sentenza n. 10348 del 2019 aveva pronunciato a proposito del primo motivo di ricorso, affermando che: “in materia di sanzioni amministrative, la cui disciplina è retta dai principi generali di legalità ed irretroattività, trova applicazione la legge in vigore al momento della accertata violazione, mentre rimangono ininfluenti le modifiche apportate da leggi successive, anche nel caso abbiano contenuto abrogativo (…). Il ricorso non contesta tale principio, ma sostiene che nella specie esso non andrebbe applicato per avere la sanzione irrogata, in ragione del suo carattere afflittivo, natura sostanzialmente penale (…). L’argomento non è condivisibile ed al riguardo è sufficiente osservare che questa Corte, affrontando la relativa questione, ha affermato che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 144 TUB, per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale a quelle irrogate dalla CONSOB ai sensi dell’art. 187-ter TUF, per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU (…)”. D’altro canto, l’applicabilità dello ius superveniens nel giudizio di legittimità o il rilievo della illegittimità costituzionale di una norma devono essere adempiuti dalla Corte di cassazione anche d’ufficio, sicché l’omesso esame della memoria di parte che contenga tali deduzioni non può mai comportare un errore di fatto del giudice, rilevante ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c..

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e, in ragione della soccombenza, il ricorrente va condannato a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di revocazione, liquidate in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di revocazione dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

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