Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20637 del 19/07/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 615/2015 R.G. proposto da:

F.M., rappresentato e difeso, con ogni potere e facoltà

disgiunte, dall’Avvocato Gianni Marongiu, dall’Avv. Andrea Bodrito e dall’Avv. Francesco D’Ayala Valva, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Parioli, n. 43, come da procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, n. 637/1/2014, depositata il 12 maggio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 luglio 2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

RILEVATO

CHE:

1.La Commissione tributaria regionale della Liguria rigettava l’appello proposto da F.M. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di La Spezia (n. 14/3/12), che aveva respinto il ricorso presentato dal contribuente avverso l’avviso di accertamento ***** emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 2, comma 4, lett. a) per l’anno 2005, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, rispetto all’accertamento con adesione relativo alla medesima annualità. In particolare, con accertamento integrativo del precedente avviso di accertamento n. *****, si era accertato un reddito complessivo imponibile di Euro 2.370.340,00, con maggiori imposte ai fini Irpef per Euro 430.000,00, e maggiori imposte ai fini dell’addizionale regionale per Euro 9000,00, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria per Euro 430.000,00. Il precedente reddito dichiarato pari ad Euro 70.340,00 era stato oggetto di concordato, in data 29 settembre 2008, con il versamento in un’unica soluzione delle somme dovute. Il giudice d’appello evidenziava che l’Ufficio aveva accertato nuovi elementi, riportati nell’avviso di accertamento integrativo, che avevano comportato l’accertamento di un maggiore reddito per un importo “superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore ad Euro 77.468,56”. La Commissione regionale chiariva che l’accertamento integrativo, anche in presenza di un precedente accertamento oggetto di concordato, era consentito dal D.Lgs. n. 212 del 1997, art. 2, comma 4, “se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore a Euro 77.468,53”. Dagli atti emergeva che tali sopravvenuti nuovi elementi risultavano venuti a conoscenza dell’Ufficio in data 11 ottobre 2010 (P.V. P.) e quindi successivamente all’adesione al precedente accertamento da parte del contribuente.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Per il ricorrente nella motivazione dell’avviso di accertamento era indicata, quale norma-fonte del potere accertativo, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4, che reca le norme generali in materia di accertamento integrativo. In realtà, costituisce fatto pacifico che l’accertamento integrativo impugnato, notificato il 15 gennaio 2011, è posteriore alla definizione mediante accertamento con adesione, dell’accertamento base “integrato”, definito in data 29 settembre 2009. Pertanto, il contenzioso ha ad oggetto un atto che la stessa Amministrazione ha riconosciuto essere “integrativo di uno precedente definito con adesione”. Ne deriva che il potere di accertamento integrativo è attribuito, non dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4, indicato erroneamente nella motivazione, ma dalla norma speciale di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, come riconosciuto in motivazione dalla stessa sentenza d’appello. La sentenza di appello avrebbe, dunque, omesso di considerare il fatto che nella motivazione dell’avviso di accertamento mancava il riferimento alla specifica norma, ossia al D.Lgs. n. 212 del 1997, art. 2. Il riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4, era erroneo, stante la diversità delle discipline stabilite nel 1973 e nel 1997.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Invero, è pacifico che nei confronti del contribuente sia stato emesso l’avviso di accertamento n. *****, definito, con il procedimento per adesione, in data 29 settembre 2008. Il contribuente ha anche provveduto al pagamento, in un’unica soluzione, dell’imposta dovuta e delle sanzioni ridotte nella misura di un quarto come da atto di adesione n. *****. Successivamente è stato notificato al contribuente altro avviso di accertamento n. *****, notificato il 15 gennaio 2011, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4, ad integrazione del precedente avviso. L’integrazione aveva tratto origine da indagini finanziarie esperite nei confronti di P.R., con emersione di numerose operazioni extra-conto, per complessivi Euro 1.000.000,00, effettuate nel corso 2005, con incasso a mezzo assegni circolari e versamento dell’intero importo sul conto fiduciario del contribuente SIREFID n. *****. La P. aveva riferito di aver percepito il milione di Euro nell’interesse di F.M. e di averlo interamente trasferito con bonifico a quest’ultimo in data 29 ottobre 2007. Il F. aveva confermato le dichiarazioni rese dalla P. e si era dichiarato proprietario della somma restituitagli, come da verbale del 21 dicembre 2010. Tale importo era stato così considerato aggiuntivo rispetto a quelli definiti con l’atto di adesione n. *****, in quanto riferito ad introiti differenti, “seppur relativi al medesimo disegno eversivo” (cfr. pagina 2 del controricorso dell’Agenzia delle entrate).

1.3. Il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, (accertamento con adesione) prevede, nella versione all’epoca vigente, che “la definizione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice entro i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 relativo all’accertamento delle imposte sui redditi, e dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 riguardante l’imposta sul valore aggiunto: a) se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore a 150.000.000 di lire; b) se la definizione riguarda accertamenti parziali; c) se la definizione riguarda i redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni indicate nell’art. 5 del Tuir, ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria”.

Il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 3, prevede anche che “l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio”. Tale norma, che modifica la disciplina precedente, tende ad incentivare le ragioni soggettive dei contribuenti ad utilizzare l’accordo tributario in luogo del processo tributario. In dottrina, si è evidenziato che la causa transigendi dell’accordo tributario abbia giustificato il generalizzato prevalere del principio pacta sunt servanda rispetto al principio rebus sic stantibus (per Cass., sez. 5, 11 maggio 2021, n. 12372 l’accertamento con adesione non integra un atto negoziale, ma è un atto unilaterale dell’Ufficio, oggetto di mera adesione da parte del contribuente).

Gli accertamenti ulteriori di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a) sono giustificati dall’inesistenza di “intersezioni logiche” tra questioni “trattate” in adesione e questioni diverse “accertate” ulteriormente, e ciò accade se l’adesione ha avuto ad oggetto accertamenti parziali o comunque accertamenti derivati dal principio di trasparenza. Inoltre, ulteriori accertamenti possono essere effettuati se ricorrono ragioni di giustizia fiscale di dimensioni eccedenti la “zona di intangibilità limitata”, e ciò accade se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito superiore al 50% del reddito definito e non inferiore a lire 150.000.000 (Cass., sez. 5, 11 maggio 2021, n. 12372, paragrafo 5; per l’intangibilità della pretesa erariale oggetto di concordato tra le parti; Cass., sez. 5, 17 novembre 2020, n. 26019, in un caso in cui l’accertamento con adesione era stato concluso dall’ex socio e liquidatore di società cancellata). Se invece la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi di evasione, pure “non incontrovertibile”, ma è di importo inferiore a lire 150.000.000 o comunque non superiore al 50% del reddito definito, non si può far luogo ad un accertamento ulteriore.

In dottrina si è osservato che la ratio della disposizione si fonda sulla circostanza che l’accertamento è stato determinato da incolpevole ignoranza della realtà dei fatti, sicché risulta viziato e suscettibile di integrazione, proprio come accade anche per l’accertamento integrativo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, ove però non è prevista alcuna “soglia”. Il meccanismo e’, quindi, simile alla previsione di annullabilità del contratto per errore essenziale di cui agli artt. 1428 e 1429 c.c..

Nella specie, come detto, e come risulta dalla sentenza d’appello, l’atto integrativo è stato emesso dall’Agenzia delle entrate a seguito dell’accertamento, per l’anno 2005, di un reddito imponibile di Euro 1.370.340,00, a fronte di quello dichiarato di Euro 70.340,00, e ciò a seguito di nuovi elementi risultanti dal P.V. P., sussistendo dunque entrambi i presupposti richiesti dalla norma, ossia dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a). Ne’ sul punto v’e’ stata alcuna contestazione del contribuente.

Nell’avviso di accertamento, come affermato dal ricorrente, si è fatto riferimento ad un “atto integrativo di quello notificato e definito in data 29 settembre 2008, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4”.

Tuttavia, l’erronea indicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 in luogo della norma speciale di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, non costituisce in alcun modo l’omesso esame di un fatto decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Invero, il “fatto” di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e’: un vero e proprio fatto, in senso storico e normativo, ossia un “fatto principale”, ex art. 2697 c.c., cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo (Cass., 20 febbraio 2020, n. 4343) o un “fatto secondario”, ossia un fatto dedotto dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (Cass., 13 dicembre 2017, n. 29883). Deve trattarsi, allora, di un “preciso accadimento” ovvero di una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152;), di un dato materiale, un “episodio fenomenico” rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (Cass., 5 marzo 2014, n. 5133), o di una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (Cass., sez. un. 8053/2014).

E’ evidente che l’erronea indicazione della norma, pur essendo stati correttamente contestati i fatti con l’avviso di accertamento, non costituisce l’omesso esame di un fatto decisivo.

Ciò che rileva è che nell’avviso di accertamento, così come riportato nel suo stralcio dal ricorrente, si fa riferimento ad un atto “integrativo” di quello notificato e definito in data 29 settembre 2008.

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, sulla motivazione dell’accertamento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Il contribuente ha contestato l’avviso di accertamento per vizio di motivazione. Infatti, nella motivazione dell’avviso si legge che l’accertamento “costituisce atto integrativo di quello notificato e definito in data 29 settembre 2008, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4”, laddove detta norma non legittima l’accertamento integrativo di un accertamento definito per adesione ex D.Lgs. n. 212 del 1997. Pertanto, la sentenza d’appello avrebbe errato a ritenere corretta la motivazione dell’avviso di accertamento, in relazione al parametro normativo di riferimento del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, il quale prescrive che l’avviso di accertamento “deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato”. 2.1. Il motivo è infondato.

2.2.Invero, è evidente che l’avviso di accertamento, pur riportando erroneamente il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4, ha chiarito in modo lampante che, in realtà, tale avviso “costituisce atto integrativo di quello notificato e definito in data 29 settembre 2008”, consentendo al contribuente di avere piena contezza del contenuto dell’avviso stesso. Tra l’altro, nell’avviso di accertamento era indicato, come risulta dalla sentenza d’appello, che i nuovi sopravvenuti elementi erano venuti a conoscenza dell’ufficio in data 11 ottobre 2010, sulla base del P.V. P..

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 per inesistenza della motivazione in punto di erronea indicazione, nella motivazione dell’accertamento, della norma”. La motivazione della sentenza sarebbe, quindi, meramente apparente ed inesistente, non avendo in alcun modo spiegato per quale ragione l’indicazione di una norma diversa da quella pertinente non determinasse il vizio di motivazione invalidante l’atto impugnato.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Invero, la motivazione della sentenza del giudice d’appello, non solo è presente graficamente, ma ha fornito in modo chiaro al contribuente l’iter argomentativo logico-giuridico, che l’ha indotto ad assumere la decisione impugnata in cassazione.

In particolare, la Commissione regionale ha chiarito che l’Ufficio, dopo la conclusione del procedimento di accertamento con adesione nel 2009, con il pagamento da parte del contribuente delle somme previste dal “concordato”, è venuto a conoscenza di nuovi elementi “riportati nell’avviso di accertamento integrativo” che hanno comportato l’accertamento di un maggior reddito per un importo superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore ad Euro 77.468,53. Si è anche chiarito che i nuovi elementi sopravvenuti erano costituiti dal P.V. P.. Ovviamente il contribuente era perfettamente a conoscenza delle dichiarazioni di P.R. che aveva dichiarato di avere percepito 1.000.000 di Euro nell’interesse di F.M. e di aver provveduto al versamento con bonifico in favore dello stesso in data 29 ottobre 2007. Lo stesso contribuente ha confermato le dichiarazioni rese dalla P., dichiarandosi proprietario della somma restituitagli, come da verbale del 21 dicembre 2010. Tali documenti erano, dunque, perfettamente a conoscenza del contribuente, che aveva tutti gli elementi per comprendere appieno il contenuto dell’avviso di accertamento integrativo, di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4.

4. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza a carico del ricorrente, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472