Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20652 del 20/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17714/2018 R.G. proposto da:

CITTA’ METROPOLITANA DI TORINO, rappresentata e difesa dall’Avv. Enrico Marello, con domicilio eletto in Roma, via Germanico, n. 172, presso lo studio dell’Avv. Nicola Bultrini;

– ricorrente –

contro

FCA ITALY spa, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Lorenzo Magnani e Maria Antonelli, con domicilio eletto in Roma, Piazza Gondar, n. 22, presso lo studio dell’Avv. Maria Antonelli;

– controricorrente –

e contro

AUTOMOBILE CLUB D’ITALIA, unità territoriale di *****;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 202/2018, depositata il 26 gennaio 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 febbraio 2021 dal Consigliere Maria Elena Mele;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale De Augustinis Umberto, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO

Che:

In data 27 novembre 2012 la società FCY Italy spa avanzava istanza di rimborso alla Provincia di ***** chiedendo la restituzione della somma di Euro 172.602 versata a titolo di imposta provinciale di trascrizione in relazione alla iscrizione al PRA, nei mesi di novembre e dicembre 2007, di 978 autoveicoli acquistati da altre società del medesimo gruppo aventi sede in Paesi comunitari. Trattandosi di acquisti soggetti ad IVA, la società riteneva che, ai sensi del D.M. n. 435 dei 1998, l’imposta provinciale avrebbe dovuto applicarsi in misura fissa e non proporzionale.

Avverso il silenzio-rifiuto formatosi su tale istanza la società proponeva ricorso avanti alla Commissione tributaria provinciale di Torino che lo accoglieva parzialmente, nei limiti degli importi documentati dalle fatture tempestivamente depositate dalla contribuente.

La Città metropolitana di Torino (nelle more del giudizio subentrata alla Provincia) impugnava tale decisione avanti alla Commissione tributaria regionale del Piemonte sostenendo che i beni acquistati dalla contribuente non potevano qualificarsi come veicoli, non essendo stati ancora immatricolati, che non era stata fornita la prova del concreto assoggettamento ad IVA dei beni acquistati. Anche la società proponeva appello avverso la sentenza di primo grado sostenendo che, ai fini dell’applicazione dell’imposta provinciale in misura fissa, non era necessaria la dimostrazione del concreto assoggettamento dell’operazione ad IVA.

La CTR accoglieva l’appello proposto dalla contribuente ritenendo dovuti tutti i rimborsi da essa richiesti.

La Città metropolitana ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza affidato a tre motivi e assistito da memoria.

Ha resistito con controricorso la FCY Italy spa.

L’A.C.I. – *****, è rimasta intimata.

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 46 e 47, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La CTR avrebbe errato nel ritenere che la cessione di veicoli non ancora immatricolati potesse qualificarsi come cessione di veicoli e pertanto potesse applicarsi l’agevolazione prevista dalla Tabella allegata al D.M. n. 435 del 1998, per le cessioni soggette ad IVA. Ad avviso della ricorrente, affinché un veicolo a motore essere considerato tale in senso giuridico, esso deve essere dotato di carta di circolazione e immatricolato. Poiché i beni acquistati dalla contribuente non erano ancora immatricolati, essi non potevano essere considerati veicoli in base alle disposizioni del Codice della strada e dunque non era configurabile alcuna “cessione di veicoli” assoggettata ad IVA, con conseguente insussistenza dell’agevolazione.

Con il secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La sentenza impugnata, affermando che non spettava alla contribuente fornire la prova circa la soggezione ad IVA degli atti di trasferimento dei veicoli, essendo sufficiente la astratta assoggettabilità all’imposta di tali atti, avrebbe violato la disciplina in tema di onere della prova, dal momento che spetta alla contribuente che invocava l’agevolazione, l’onere di dimostrarne il fatto costitutivo della stessa, e cioè l’essere l’atto trascritto soggetto ad IVA, producendo il relativo contratto o la fattura.

Con il terzo motivo, si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Il giudice d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda con cui la Città metropolitana aveva contestato la sussistenza dei presupposti dell’agevolazione in relazione alcuni veicoli la cui iscrizione al PRA era avvenuta prima della cessione rilevante ai fini IVA. In tal caso sarebbe mancato in radice il presupposto di applicazione dell’imposta in misura fissa.

I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono infondati.

L’imposta provinciale di trascrizione è stata istituita dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 56, il quale al comma 1, stabilisce che “Le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, istituire l’imposta provinciale sulle formalità di trascrizione, iscrizione ed annotazione dei veicoli richieste al pubblico registro automobilistico, avente competenza nel proprio territorio”.

Il comma 2, dispone che “l’imposta è applicata sulla base di apposita tariffa determinata secondo le modalità di cui al comma 11, le cui misure potranno essere aumentate, anche con successiva deliberazione approvata nel termine di cui all’art. 54, fino ad un massimo del trenta per cento, ed è dovuta per ciascun veicolo al momento della richiesta di formalità”.

Il D.M. 27 novembre 1998, n. 435, ha successivamente determinato la misura dell’imposta correlandola al tipo e alla potenza dei veicoli e stabilendo che per gli atti soggetti ad IVA essa è determinata in misura fissa. Tale previsione è stata successivamente abrogata dal D.L. n. 138 del 2011, art. 1, comma 12, conv. in L. n. 148 del 2011, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.

Il presupposto dell’imposta in parola è costituito dall’iscrizione del veicolo nel pubblico registro automobilistico (PRA). Tale registro è stato istituito dal R.D.L. 15 marzo 1927, n. 436, recante la disciplina dei contratti di compravendita degli autoveicoli ed istituzione del Pubblico Registro Automobilistico presso le sedi dell’Automobile club d’Italia. Esso costituisce uno strumento per dare pubblicità legale ai trasferimenti di proprietà ed agli altri diritti sugli autoveicoli, svolgendo una funzione analoga a quella che la trascrizione assolve per i beni immobili (v. art. 2683 c.c. ss.), anche se nel corso del tempo ha poi assunto anche altri compiti di rilevante carattere pubblicistico (Corte Cost., sentenza n. 42 del 1997).

Il cit. decreto, art. 11, stabilisce che nel registro automobilistico deve essere iscritto ogni veicolo che abbia ottenuto nella provincia la licenza di circolazione.

Inoltre, la L. n. 187 del 1990, art. 7, comma 2, dispone che gli uffici del pubblico registro automobilistico rilasciano, al momento della prima iscrizione del veicolo e di ogni altra successiva formalità, il certificato di proprietà attestante lo stato giuridico del medesimo.

La definizione di cosa debba intendersi per veicolo ai fini della disciplina in parola è contenuta nello stesso R.D.L. n. 436 del 1927, il quale all’art. 1, stabilisce che “Agli effetti del presente decreto, nella denominazione di autoveicoli si intendono compresi le autovetture, gli autocarri, le trattrici coi relativi veicoli rimorchiati e ogni altro veicolo assimilabile ai predetti, nonché i motocicli, con esclusione nei riguardi di quest’ultimo termine, dei velocipedi muniti di piccoli motori ausiliari, ordinariamente chiamati biciclette a motore o motoleggere”.

E’ dunque a tale disposizione, in quanto specificamente riferita alla disciplina dell’iscrizione al PRA, che occorre fare riferimento per individuare l’oggetto dell’imposta provinciale di trascrizione. Da essa risulta chiaramente l’irrilevanza, ai fini della qualificazione di un autoveicolo in relazione alla sua iscrizione al pubblico registro, della avvenuta immatricolazione.

Questa, infatti, è un’operazione distinta, avente caratteristiche e finalità differenti rispetto all’iscrizione al Pubblico registro. L’art. 93 C.d.S., prevede infatti che gli autoveicoli, i motoveicoli e i rimorchi per circolare devono essere muniti di una carta di circolazione e immatricolati presso il Dipartimento per i trasporti terrestri il quale provvede all’immatricolazione e rilascia la carta di circolazione intestandola a chi si dichiara proprietario del veicolo. Dà, inoltre, immediata comunicazione delle nuove immatricolazioni al Pubblico registro automobilistico. L’art. 93, comma 7, dispone, inoltre, che chiunque circola con un veicolo per il quale non sia stata rilasciata la carta di circolazione è soggetto alla sanzione amministrativa dallo stesso prevista.

In sostanza, dal dettato normativo emerge che l’immatricolazione è necessaria affinché i veicoli possano circolare su strada. In ogni caso, come risulta dal tenore letterale dell’art. 93 cit., essa ha ad oggetto gli “autoveicoli, i motoveicoli e i rimorchi”, destinatari dell’obbligo di immatricolazione sono gli autoveicoli, i quali dunque devono qualificarsi come tali anche anteriormente alla immatricolazione e a prescindere da essa.

Ciò che rileva ai fini della applicabilità dell’agevolazione prevista dal D.M. n. 435 del 1998, è che l’iscrizione al PRA si riferisca ad atti soggetti ad IVA.

Ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1, si considerano operazioni imponibili ai fini IV4 le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di qualunque soggetto, nell’esercizio di arti e professioni.

Inoltre, ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 38, comma 3, lett. e), conv. in L. n. 427 del 1993, “L’imposta sul valore aggiunto si applica sugli acquisti intracomunitari di beni effettuati nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese, arti e professioni o comunque da enti, associazioni o altre organizzazioni di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4, comma 4, soggetti passivi d’imposta nel territorio dello Stato” e costituiscono acquisti intracomunitari “gli acquisti a titolo oneroso di mezzi di trasporto nuovi trasportati o spediti da altro Stato membro, anche se il cedente non è soggetto d’imposta ed anche se non effettuati nell’esercizio di imprese, arti e professioni”.

Nella specie risulta incontestato che i veicoli iscritti al PRA dalla contribuente erano stati dalla medesima acquistati da altre società del gruppo aventi sede in Paesi comunitari e dotate di distinta personalità giuridica e che tali acquisti rientravano nel campo di applicazione dell’IVA.

Nel D.M. 435 del 1998, la Tabella allegata, la quale determina la misura dell’imposta provinciale di trascrizione in relazione al tipo e alla potenza dei veicoli, dispone che gli “atti soggetti a IVA” scontano l’imposta di trascrizione in misura fissa. L’applicazione di tale previsione non è condizionata, né subordinata all’effettiva applicazione dell’imposta sul valore aggiunto sull’operazione considerata, essendo sufficiente che essa rientri tra le operazioni rilevanti ai fini IVA. In sostanza, tale previsione configura un’ipotesi di alternatività tra imposta provinciale di trascrizione ed IVA prevedendo che, nel caso in cui il veicolo da iscrivere a PRA sia stato acquistato in base ad operazione soggetta ad IVA, esso sconta l’imposta provinciale in misura fissa. Affinché tale alternatività operi, e dunque si applichi l’agevolazione, non è necessario l’effettivo pagamento dell’IVA, essendo sufficiente la mera assoggettabilità dell’acquisto a tale imposta.

Nella specie non essendo in discussione la circostanza che l’acquisto delle vetture effettuato dalla società contribuente rientrasse nel campo di applicazione dell’IVA, correttamente la CTR ha ritenuto che l’imposta dovesse essere applicata in misura fissa a prescindere dalla prova che l’IVA fosse stata in concreto versata.

Le considerazioni che precedono determinano l’infondatezza anche del terzo motivo.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cuì sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (ex plurimis Cass., Sez. 6-1, n. 15255 del 04/06/2019). Si è altresì affermato che “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la motivazione accolga una tesi incompatibile con quella prospettata, implicandone il rigetto, dovendosi considerare adeguata la motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la particolare disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi” (Cass., Sez. 5, n. 2153 del 30/01/2020).

Nella specie, avendo il giudice d’appello correttamente affermato che requisito per l’applicazione dell’imposta in misura fissa era l’assoggettabilità ad IVA dell’operazione e non l’avvenuta effettiva sottoposizione alla medesima, ha implicitamente ma inequivocabilmente rigettato la censura formulata dalla ricorrente considerando irrilevante la circostanza che la fattura relativa all’acquisto dei veicoli fosse successiva alla loro iscrizione al PRA.

In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 6.000, per compensi, oltre spese forfetarie, accessori di legge e oltre Euro 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

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