LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta Maria Consolata – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10657-2014 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 1, presso lo studio dell’avvocato STEFANO FEDELE, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 164/2013 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, depositata il 17/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/04/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.
RILEVATO
che:
L’Agenzia delle entrate ha chiesto la cassazione della sentenza n. 164/07/2013, depositata il 17.10.2013 dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia che, a conferma della decisione di primo grado, aveva accolto il ricorso introduttivo di C.E. avverso la cartella di pagamento per Irpef e addizionali regionali e comunali, relativa all’anno 2007, emessa ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-ter.
Il contenzioso aveva tratto origine dalla cartella emessa per mancato riconoscimento delle detrazioni d’imposta richieste dal contribuente per tributi pagati all’estero. In particolare la detrazione, operata dal C. nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2007, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 165, per aver già corrisposto in Polonia imposte per reddito da lavoro dipendente, ivi prestato nel 2004, non era stata riconosciuta dall’Amministrazione finanziaria per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia nel 2005, condizione prescritta dall’art. 165 TUIR, comma 8.
Il contribuente aveva adito la Commissione tributaria provinciale di Varese, che con sentenza n. 97/05/2012 aveva accolto le sue ragioni. L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia era stato rigettato con la pronuncia ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale ha ritenuto che la condotta omissiva del C. non rientrasse nella fattispecie regolata dal citato art. 165, comma 8, e che comunque il contribuente aveva rispettato le prescrizioni della disciplina regolatrice dei crediti d’imposta per redditi prodotti all’estero, per aver dichiarato le imposte già versate al momento in cui il pagamento era risultato definitivo.
L’Ufficio ha censurato la sentenza affidandosi a due motivi, chiedendone la cassazione, cui si è opposto con controricorso il C., a sua volta spiegando ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo.
Nell’adunanza camerale del 14 aprile 2021 la causa è stata trattata e decisa sulla base degli atti difensivi depositati dalle parti.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 1, comma 4, lett. c), e art. 23, del D.P.R. 29 settembre 1997, n. 602, art. 38, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 165, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché il giudice regionale avrebbe errato nel ritenere che l’art. 165, comma 8, operi solo nelle ipotesi in cui sia stato violato l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi e non in tutte le ipotesi in cui ne sia stata omessa la presentazione; inoltre per aver violato le regole di distribuzione dell’onere probatorio in merito alla prova, dovuta dal contribuente, che il pagamento delle imposte fosse divenuto definitivo nell’annualità in cui era stata richiesta la detrazione;
con il secondo si è doluta della violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 36 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 61, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per l’apparenza della motivazione.
Esaminando il primo dei motivi, esso non trova fondamento nei termini e per le ragioni appresso chiariti.
Va intanto evidenziato che la decisione con la quale il giudice d’appello ha confermato le statuizioni della sentenza di primo grado, favorevoli al contribuente, si fonda su due argomenti. Con il primo la Commissione tributaria ha rivolto l’attenzione sul contenuto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 165, comma 8, affermando di non condividere l’interpretazione sostenuta dall’Ufficio, secondo cui la detraibilità dei redditi prodotti all’estero è condizionata dalla presentazione della dichiarazione annuale delle imposte, nella quale va inserita la voce relativa alle detrazioni. Ha ritenuto, di contro, che la previsione deve intendersi applicabile alle sole ipotesi in cui vi sia un obbligo di dichiarazione dei redditi, mentre essa non trova applicazione nelle ipotesi in cui dalla dichiarazione dei redditi il contribuente sia esonerato. Ha sul punto concluso che il C., avendo percepito nell’anno 2004 solo redditi da lavoro dipendente, non era tenuto alla presentazione della dichiarazione annuale. D’altronde i redditi del 2004 risultavano dichiarati nel CUD 2005 rilasciato dal datore di lavoro del contribuente (Whirlpool Europe s.r.l., che lo aveva distaccato dal novembre 2004 presso altra società del gruppo, con sede in Polonia), che quale sostituto d’imposta aveva anche provveduto alle ritenute alla fonte a titolo d’acconto sulle retribuzioni mensili del dirigente, così che di essi l’Amministrazione finanziaria ne era a conoscenza. Con il secondo argomento la Commissione, interpretando il tenore del D.P.R. n. 917 del 1986, medesimo art. 165, commi 4 e 7, ha rilevato che il collegamento con la dichiarazione annuale non doveva riguardare il medesimo anno della produzione del reddito (2004), come preteso dall’Ufficio, ma il momento in cui il pagamento delle imposte all’estero fosse avvenuto a titolo definitivo. Ha quindi ritenuto provata dalla documentazione allegata dal C. che tale definitività si era prodotta con riferimento all’anno d’imposta 2007, risultando pertanto regolare l’operata detrazione in occasione dell’Unico 2008 per i redditi 2007.
A fronte di tali argomenti l’Agenzia delle entrate ha denunciato l’erronea interpretazione delle norme invocate con il primo motivo.
Perimetrato l’alveo della controversia, in riferimento all’interpretazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 165, comma 8, dalla norma si evince che “la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata”. Il dato letterale non depone in modo netto nel senso preteso dalla decisione impugnata, che sul punto può pertanto apparire equivoca. Dal tenore della seconda ipotesi contenuta nel comma – l’omessa indicazione di quel reddito nella dichiarazione presentata – ciò che viene valorizzato è che quella ricchezza, tassata all’estero, non sia stata dichiarata, ancorché il contribuente abbia provveduto alla presentazione della dichiarazione. Dal che deve evincersi che l’intento del Legislatore, ai fini della detraibilità delle imposte versate all’estero, è proprio che a quel reddito debba risalirsi dalla dichiarazione, sebbene, come meglio si chiarirà appresso, occorre distinguere l’ipotesi in cui sia possibile richiedere la detrazione nello stesso anno in cui le imposte estere siano state pagate, da quello in cui ciò non si renda possibile perché il pagamento dell’imposta all’estero sia divenuta definitiva in un periodo successivo. Non rileva dunque se il contribuente sia o meno obbligato alla presentazione della dichiarazione, perché tale presentazione è condizione per la fruizione della detrazione. Egli “deve” dichiarare il reddito percepito all’estero e se pur non fosse obbligato alla dichiarazione (come nel caso del contribuente percettore di soli redditi da lavoro dipendente), nel momento in cui l’imposta versata è definitiva, è comunque tenuto alla sua presentazione quale condizione per la fruizione della detrazione. Il citato comma 8, dunque non crea un obbligo, in contrasto con la diversa previsione contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 1, comma 4, lett. c), in merito alle ipotesi di esonero dalla dichiarazione, ma impone una condizione.
D’altronde questa Corte aveva già affermato, sia pur con riguardo alla disciplina previgente la novella del 2004, che in tema di imposte sui redditi e nella ipotesi prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 15, comma 3, riguardante la detrazione delle imposte pagate su redditi prodotti all’estero, la decadenza ivi prevista era espressamente collegata al fatto formale della omessa richiesta della detrazione nella dichiarazione dei redditi, restando con ciò escluso ogni rilievo di eventuali rettifiche, da parte del contribuente, dei contenuti della dichiarazione, intervenute successivamente alla sua presentazione mediante istanza di rimborso D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38 (Cass., 16/09/2005, n. 18371).
Se tuttavia il percorso argomentativo della decisione impugnata, sotto l’aspetto sinora trattato, si rivela inadeguato, la motivazione del giudice regionale valorizza tuttavia nel prosieguo l’ulteriore tassello interpretativo della disciplina, che è certamente più pertinente ed assorbente, e cioè che comunque il contribuente non era tenuto a richiedere la detrazione nell’anno in cui il reddito prodotto all’estero era stato percepito, e dunque nel 2004, poiché dall’interpretazione del citato art. 165, commi 4 e 7, si evince che l’obbligo riguarda l’anno d’imposta in cui il pagamento delle imposte all’estero su tali redditi sia divenuto definitivo. Ha dunque sostenuto che, avendo il C. dimostrato che tale evento si è verificato nell’anno d’imposta 2007, insorgeva e spettava il diritto alla detrazione medesima.
Sul punto la critica mossa dall’Ufficio, sotto l’aspetto dell’errore di interpretazione delle norme invocate, è che nella pronuncia la Commissione regionale non avrebbe tenuto conto delle regole di riparto dell’onere probatorio, e che in particolare gravava sul contribuente dimostrare che i redditi relativi alle imposte versate all’estero afferivano alla base imponibile dell’anno 2004, e che le imposte versate in Polonia erano invece divenute definitive nel 2007, fatti entrambi rimasti indimostrati. In merito a questa critica la difesa del contribuente ha ritenuto che la ricorrente abbia surrettiziamente sollecitato un controllo su elementi di fatto della motivazione, inammissibile perché riconducibile nell’alveo del vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Prima ancora, ha sostenuto che, fondandosi le decisioni nei gradi di merito entrambe sulle stesse ragioni inerenti le questioni di fatto, la censura era inammissibile ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., commi 4 e 5.
Deve innanzitutto premettersi che correttamente il giudice d’appello ha affermato che l’obbligo di dichiarazione per la detrazione delle imposte versate all’estero va ricondotto al momento in cui il pagamento di tali imposte sia divenuto definitivo. Inequivoco è al tal fine il dettato dell’art. 165, comma 4, nel quale si prescrive che “la detrazione di cui al comma 1, deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta cui appartiene il reddito prodotto all’estero al quale si riferisce l’imposta di cui allo stesso comma 1, a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga prima della sua presentazione. Nel caso in cui il pagamento a titolo definitivo avvenga successivamente si applica quanto previsto dal comma 7”. D’altronde già nel D.P.R. n. 917 del 1986, vecchio art. 15, sostituito poi dall’art. 165, ai fini della disciplina dei redditi prodotti all’estero, si faceva riferimento alla dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere erano state pagate definitivamente. E la giurisprudenza aveva riguardo a quella annualità, a pena di decadenza, per la presentazione della dichiarazione in cui richiedere la detrazione (cfr. Cass., 6/11/2019, n. 28572).
Ciò chiarito, nella sentenza si afferma che “nel caso di specie il contribuente ha dedotto (e documentato) che la definitività del versamento delle imposte estere è avvenuta successivamente alla scadenza del termine per il loro inserimento nella dichiarazione relativa all’anno di maturazione del reddito: viene quindi meno la rilevanza degli stessi motivi di appello che si fondano essenzialmente, come si è visto, sulla “omessa” presentazione della dichiarazione dei redditi nell’anno 2004. L’ufficio assume che la parte avrebbe ammesso la definitività del pagamento dell’imposta nel 2004 e richiama espressione usata a pag. 3 del ricorso introduttivo ignorando come tutto il contesto dell’atto (conformemente alla documentazione prodotta) sia nel senso che le imposte “pagate” nel 2004 abbiano assunto il carattere della definitività successivamente”. L’argomentazione con la quale il giudice regionale ha motivato la decisione dunque è imperniata sulla circostanza, documentata, che la definitività delle imposte sia maturata successivamente alla scadenza dei termini per la dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2004. A tal fine ha ribadito che l’insistenza dell’Ufficio sulla definitività dell’imposta sin dal 2004 è contraddetta dalla documentazione prodotta. Di qui la conclusione che la decadenza dal diritto alle detrazioni, preteso dall’Amministrazione finanziaria, fosse infondato. Ebbene, sul piano strettamente logico, l’error iuris in iudicando, denunciato dalla ricorrente in ordine al rispetto delle regole di riparto dell’onere probatorio, non coglie nel segno, perché il giudice regionale con chiarezza ha riconosciuto che il contribuente aveva dimostrato (con documentazione) come e quando il pagamento delle imposte fosse divenuto definitivo, adempiendo dunque al proprio onere probatorio.
Se poi con il motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria abbia voluto criticare il contenuto della motivazione in riferimento alle modalità di valutazione delle prove, mettendo in discussione l’esistenza stessa delle prove, questa critica, afferendo a vizi relativi non più all’errore giuridico ma ad un deficit motivazionale, sarebbe inammissibile in sede di legittimità, violando i limiti stessi di quanto consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Esaminando ora il secondo motivo, con esso l’Agenzia delle entrate ha denunciato l’apparenza della motivazione dalla quale non sarebbero identificabili gli elementi fattuali valorizzati dal giudice regionale, né comprensibile l’iter logico-giuridico seguito per pervenire alla decisione.
Sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento. Ed in sede di gravame la decisione può essere legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19/07/2016, n. 14786; 7/04/2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve infatti ritenersi apparente quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (Cass., 30/06/2020, n. 13248; cfr. anche 5/08/2019, n. 20921). L’apparenza peraltro si rivela ogni qual volta la pronuncia evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14/02/2020, n. 3819).
Ebbene, dalla lettura della motivazione, già in parte riprodotta in occasione dell’esame del primo motivo di ricorso, deve escludersi che essa possa ritenersi apparente. Nella pronuncia al contrario è riportato in modo chiaro il percorso logico-giuridico seguito dal giudice regionale; sono indicati i riferimenti normativi e la loro corretta- interpretazione; sono illustrate le ragioni per le quali le contestazioni elevate dall’Amministrazione finanziaria sono del tutto prive di fondamento; in modo sommario vi è un esplicito riferimento all’allegazione documentale a supporto delle ragioni del contribuente. Se poi, anche con questo motivo, la ricorrente ha inteso sollecitare una rivalutazione del quadro probatorio, cioè un accertamento in fatto della vicenda, il motivo sarebbe inammissibile per quanto già esplicitato a conclusione delle considerazioni fatte in occasione della valutazione del primo motivo.
Anche il secondo motivo è dunque infondato e il ricorso della Agenzia va in conclusione rigettato.
Il C. ha proposto ricorso incidentale condizionato, dolendosi della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 56, nonché dell’art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per non aver riconosciuto l’inammissibilità dell’appello proposto dalla Agenzia delle entrate per carenza di specificità dei motivi di impugnazione.
Trattandosi di ricorso incidentale condizionato all’accoglimento di una delle censure proposte dall’Ufficio con il ricorso principale, l’integrale rigetto di quest’ultimo rende quello incidentale inammissibile per sopraggiunta carenza di interesse.
All’esito del processo segue la soccombenza dell’Agenzia delle entrate nelle spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo in favore del controricorrente. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale condizionato. Condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione in favore del controricorrente delle spese sostenute nel giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per competenze, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15% delle competenze, nonché accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021