Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20792 del 21/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23689-2012 proposto da:

GIARDINO DEGLI ULIVI SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA, V.E.Q. VISCONTI 2, presso lo studio dell’avvocato ANGELO PETRONE, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCIO MODESTO MARIA ROSSI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 414/2011 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA, depositata il 18 luglio 2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/04/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

RILEVATO

che:

la “Giardino degli Ulivi” s.r.l. ha chiesto la cassazione della sentenza n. 414/07/2011, depositata il 18.07.2011 dalla Commissione tributaria regionale della Campania, che, confermando la pronuncia di primo grado, aveva accolto solo in parte il ricorso della contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, contestando maggiori ricavi e minori costi relativamente all’anno d’imposta 2005, aveva rideterminato l’imponibile ai fini Irpeg, Iva e Irap.

Con il contenzioso instaurato avverso l’atto impositivo la ricorrente aveva contestato le risultanze dell’accertamento analitico-induttivo, con cui era stato rideterminato l’imponibile dell’attività commerciale (pizzeria, bar e tavola calda) sui ricavi desumibili dal consumo di materie prime (farina, carne, pesce bevande e altro). Tale tipologia di accertamento, aveva sostenuto la contribuente, era illegittima per l’erroneità dei ricarichi ed il metodo di determinazione del numero di pasti serviti.

La Commissione tributaria provinciale di Caserta aveva ridotto in parte il maggior reddito con sentenza n. 609/08/2009. La sentenza, appellata da entrambe le parti, ciascuna per quanto soccombente, era stata confermata in sede d’appello con la pronuncia ora al vaglio della Corte. Per quanto qui ancora di interesse, la Commissione regionale ha dichiarato che la ricostruzione operata dal giudice provinciale è priva di vizi e le censure ad essa rivolte sono generiche.

La ricorrente ha censurato la sentenza con otto motivi, cui ha risposto l’Agenzia delle entrate con controricorso, con cui ha chiesto il rigetto delle ragioni avverse.

Nell’adunanza camerale del 13 aprile 2021 la causa è stata trattata e decisa sulla base degli atti difensivi prodotti dalle parti.

CONSIDERATO

Che:

La società ricorrente ha criticato la decisione denunciando:

con il primo motivo l’illegittimità della sentenza per insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “per aver respinto l’appello della contribuente senza aver motivato la propria decisione, essendosi limitata a richiamare per relationem la pronuncia di primo grado”;

con il secondo la nullità della decisione, viziata da motivazione solo apparente, in violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

con il terzo l’insufficienza della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine alla questione, sollevata dalla contribuente, della nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione;

con il quarto l’insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine alla questione del difetto di prova dell’atto impositivo;

con il quinto la violazione degli artt. 2697,2727,2729 c.c., nonché del D.P.R. 29 settembre 1973, art. 39, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per malgoverno dei principi di riparto dell’onere probatorio tra fisco e contribuente;

con il sesto la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1986, art. 109, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché nella pronuncia erroneamente era stato negato il diritto alla detrazione dei costi da locazione;

con il settimo la violazione dell’art. 112 c.p.c. e nullità della sentenza per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine all’entità dello sfrido delle materie prime;

con l’ottavo la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della sentenza per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine alla doppia presunzione utilizzata dall’Amministrazione finanziaria ai fini dell’accertamento.

Per il principio della ragione più liquida deve esaminarsi il secondo motivo, con il quale la contribuente ha lamentato la nullità della decisione perché affetta da motivazione apparente.

Sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento. Ed in sede di gravame la decisione può essere legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., sent. 14786/2016; 7/04/2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve infatti ritenersi apparente quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass., 30/06/2020, n. 13248; cfr. anche 5/08/2019, n. 20921). L’apparenza peraltro si rivela ogni qual volta la pronuncia evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14/02/2020, n. 3819).

Ebbene, nel caso di specie la commissione regionale, affrontando l’impugnazione della contribuente avverso la decisione di primo grado, ha motivato il rigetto osservando che l’appello “risulta infondato in quanto la ricostruzione operata dalla C.T. di I grado dei ricavi appare priva di vizi. Pertanto l’eccezione di nullità della sentenza impugnata non può essere accolta essendo detta sentenza correttamente motivata e priva di errori giuridici. E sotto tale profilo va osservato che nell’atto di appello le censure mosse alla ricostruzione operata dai I giudici risultano assolutamente generiche e, come tale, non scalfiscono nella maniera più assoluta il contenuto della sentenza di I grado”.

La motivazione è manifestamente apparente. Essa è costituita da due periodi che ripetono il medesimo concetto, l’essere cioè la sentenza impugnata priva di vizi, senza tuttavia minimamente accennare alle specifiche critiche sollevate dall’appellante nei confronti di quella decisione, né al percorso logico-argomentativo seguito per spiegare la correttezza del pronunciamento del giudice di prime cure. Anche il terzo periodo evidenzia una motivazione solo apparente, limitandosi ad affermare con altrettanta vaghezza che le censure mosse dall’appellante erano del tutto generiche, senza tuttavia chiarire il fondamento di questa valutazione. Tanto più che dall’esame dell’atto d’appello, prodotto dalla ricorrente e che questo collegio – in presenza della denuncia di un error in procedendo in cui sia incorso il giudice di merito – ha il potere di esaminare direttamente quale giudice del fatto (Cass., 25/07/2019, n. 20181), si evince che l’appellante in ben otto pagine aveva articolato specifiche critiche alla decisione di primo grado relativamente ad una pluralità di questioni inerenti l’atto impositivo ed il suo contenuto.

Il motivo va dunque accolto e la pronuncia va dichiarata nulla nei limiti di quanto impugnato dalla ricorrente. L’accoglimento del secondo motivo assorbe gli altri. La sentenza va cassata nei predetti limiti e il processo rinviato alla Commissione tributaria regionale della Campania, che in diversa composizione provvederà al riesame dell’appello della società contribuente, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la decisione nei limiti di quanto impugnato e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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