LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –
Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25672/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
la sig.a P.L.L., con l’avv. Antonio Pace, nel domicilio eletto presso il di lui studio in Roma, alla via Caccini n. 1;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la Puglia – sez. staccata di Lecce, n. 1616/24/15, pronunciata il 23 giugno 2015 e depositata il 07 luglio 2015, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2021 dal Cons. Marcello M. Fracanzani;
lette le conclusioni scritte del sost. Procuratore Generale, Alberto Cardino, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RILEVATO
La contribuente era attinta da accertamento sintetico per l’anno di imposta 2008, con rideterminazione del reddito elevato dagli Euro 11.737,00 dichiarati a Euro 123.713,00 ricavati in base alla disponibilità di beni indici di capacità contributiva, secondo il sistema del c.d. “redditometro”.
Più in particolare, alla contribuente veniva inviato il questionario per dar conto delle proprie disponibilità e, ritenendo non esaustive le giustificazioni addotte per le spese sostenute nel periodo, giungeva l’avviso di accertamento.
Insorgeva la contribuente eccependo il difetto dello scostamento per due anni; anzi, contestando che vi fosse stata verifica puntuale per l’anno 2007. Le sue ragioni, respinte in primo grado, trovavano integrale apprezzamento in appello, dove la commissione di secondo grado rilevava non essersi verificato il secondo presupposto richiesto dalla norma, ovvero che lo scostamento fra dichiarato e sinteticamente accertato (ridotto di un quarto) si sia verificato per due anni. Affermava poi non potersi considerare ai fini del “redditometro” i beni strumentali per l’esercizio della professione (nella specie, quella forense).
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione l’Amministrazione finanziaria, affidandosi a dieci motivi, cui controdeduce la parte contribuente che, in prossimità dell’udienza ha depositato memorie.
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti dieci motivi di ricorso.
1. Con il primo motivo si solleva censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 115 c.p.c., comma 1, nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4. Nella sostanza si critica la sentenza impugnata per aver richiesto nell’atto impositivo la dimostrazione dello scostamento per oltre un quarto per due annualità, mentre nella ripresa a tassazione per l’anno 2008 si dichiara, senza argomentarlo, lo scostamento anche per il 2007. Dall’esame di pag. 4 dell’avviso di accertamento -riprodotto nel corpo dell’atto ai fini dell’assolvimento dell’onere della completezza del motivo – emerge una mera dichiarazione di verificato scostamento anche per l’anno 2007, senza potersene ricavare un conteggio che, infatti, l’Ufficio produce con atto separato nel corso del giudizio di primo grado.
Sul punto è intervenuta questa Corte affermando che ai fini dell’accertamento sintetico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, l’Ufficio non è tenuto a procedere all’accertamento contestualmente per due o più periodi d’imposta per i quali ritenga che la dichiarazione non sia congrua; tuttavia il relativo atto deve contenere, per un determinato anno d’imposta, la pur sommaria indicazione delle ragioni in base alle quali la dichiarazione si ritiene incongrua anche per altri periodi d’imposta, così da legittimare l’accertamento sintetico, con la conseguenza che il giudice tributario, a fronte della specifica eccezione del contribuente, non deve limitarsi ad accertare se l’Ufficio abbia preso in considerazione due o più anni consecutivi, ma deve verificare se dall’atto di accertamento possano desumersi le ragioni per le quali l’Ufficio stesso abbia ritenuto non congrua la dichiarazioni per tali annualità (cfr. Cass. VI-5, n. 10972 del 2017). Tale principio ha ben governato la gravata sentenza, per cui il motivo è infondato e dev’essere rigettato.
2. Con il secondo motivo si prospetta violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. Nel concreto, si lamenta non sia stato considerato il conteggio dell’Ufficio a dimostrazione dello scostamento per l’anno 2007, non presente nell’atto impositivo, ma contenuto in separato documento prodotto nel corso del giudizio. Il motivo può essere trattato congiuntamente con il seguente.
3. Con il terzo motivo, infatti, si prospetta doglianza ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, lamentando che nel calcolo dello scostamento per l’anno 2007 sia stato tenuto conto del reddito complessivo lordo e non del reddito imponibile dichiarato dalla contribuente.
I due motivi possono essere trattati insieme, ponendosi in subordinazione l’un l’altro. Del conteggio separato per il 2007 la gravata sentenza fa cenno (fine pag. 2, inizio di pag.3), ma non lo tiene in considerazione, trattandosi di ricostruzione staccata e successiva al provvedimento impositivo che ne risulta -una volta di più- originariamente sfornito, integrando così il vizio assorbente, secondo quanto detto trattando del primo motivo. Ne’ può essere rilevante un errato calcolo nella ricostruzione del reddito del 2007, quando la ragione dell’annullamento dell’atto impositivo è data dalla mancata esplicazione delle ragioni dello scostamento per l’altro anno di imposta, oltre quello ripreso a tassazione con l’atto impositivo de quo, ragioni che debbono essere esplicitate nell’atto impositivo stesso e non in altra successiva o distaccata sede. I due motivi sono quindi infondati.
4. Con il quarto motivo si prospetta violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. Nel concreto, si lamenta non sia stato considerato quanto documentatamente allegato dall’Ufficio circa l’uso promiscuo o meno dell’immobile in ***** a *****, adibito (anche) a studio professionale.
5. Con il quinto motivo si prospetta ancora violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. Nel concreto, si lamenta non sia stato considerato quanto allegato circa l’utilizzo dell’automobile Mercedes.
6. Con il sesto motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, per non aver tenuto conto che l’utilizzo dell’autovettura Mercedes classe E aziendale promiscuo 50% avrebbe dovuto riconoscere un’incidenza del 60% delle spese di esercizio.
7 Con il settimo motivo si prospetta ancora censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, dell’art. 115 c.p.c., comma 1, dell’art. 2697 c.c., per aver ritenuti giustificati gli incrementi patrimoniali di cui all’acquisto della predetta Mercedes e di una Toyota, quest’ultima acquistata mediante il risarcimento ottenuto da polizza assicurativa in seguito a furto di Smart.
I quattro motivi, così come posti, sono inammissibili riducendosi ad una richiesta di revisione del merito del giudizio, sostituendo all’apprezzamento del compendio probatorio bilanciato dalla sentenza d’appello una diversa rappresentazione assunta dalla parte pubblica. Al giudice di merito in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718 del 2005, Cass. n. 4842 del 2006, Cass. V, n. 5583 del 2011).
8. Con l’ottavo motivo si prospetta ancora censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, per aver la CTR posto a fondamento del proprio convincimento un contratto di mutuo acceso dalla contribuente presso la BCC Terra d’Otranto e prodotto nel corso del giudizio, in spregio alla norma che vuole inutilizzabili i documenti non palesati in sede di contraddittorio endoprocedimentale, cioè rammostrati all’Ufficio prima dell’adozione del provvedimento impositivo, salvo trattarsi di documenti non prodotti per fatto non imputabile al contribuente. La censura non indica i passaggi del proprio atto d’appello dove questo motivo sia stato posto, in modo da consentire a questa Corte di accertare non trattarsi di argomento nuovo, quindi il motivo è inammissibile.
9. Con il nono motivo si prospetta violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. Nel concreto, si lamenta non sia stato considerato quanto argomentato dall’Ufficio in ordine all’acquisto dell’immobile in *****, *****.
10. Con il decimo motivo si avanza censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, nonché dell’art. 2697 c.c., per aver i giudici d’appello basato il proprio convincimento sulla disponibilità finanziaria della contribuente nel quadriennio (2004-2007) precedente al periodo d’imposta accertato (2008), mentre la norma richiede che la presunzione redditometrica possa essere superata solo dimostrando che le maggiori somme impiegate hanno già assolto il loro onere fiscale, cioè redditi esenti o con ritenuta alla fonte.
La censura appare eccentrica alla ratio decidendi della gravata sentenza. Ed infatti la commissione d’appello prima analizza le distinte voci di spesa (automobili, polizze, mutuo, acquisto immobiliare), riconoscendone la giustificata riferibilità a cespiti di legittima e trasparente provenienza quindi, a chiusura del proprio argomentare, rileva che la ricchezza esposta dalla contribuente nel quadriennio precedente è comunque coerente con la capacità di spesa assunta nell’atto di accertamento.
Il motivo è quindi infondato.
In definitiva il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.
Non sussistono i presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c., richiesta dalla parte privata, in ragione del momento del formarsi dell’orientamento giurisprudenziale di riferimento, qui indicato trattando del primo motivo di ricorso, circostanza che giustifica altresì la parziale compensazione delle spese di lite.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna l’Agenzia delle entrate a rifondere le spese del giudizio di legittimità alla parte contribuente che liquida in Euro quattromilacinquecento/00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, ristoro spese nella misura forfettaria del 15%, Iva e cpa come per legge.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021