Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.20841 del 21/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1524/2019 proposto da:

R.S., P.P., rappresentati e difesi dall’avvocato ERNESTO CARPIO, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del medesimo in ROMA, VIA G. FERRARI 2, pec:

ernestocarpio.ordineavvocatiroma.org;

– ricorrenti –

contro

M.E. SRL, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO LIBERATI, ed elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato SONIA PERRETTA in V.LE POLA 29, pec: alessamndro.liberati.ordineavvocatiterni.it;

soniaperretta.ordineavvocatiroma.org;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6801/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/02/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

RITENUTO

che:

1. La Termoidraulica 2000 di R.S. propose dinanzi al Tribunale di Terni opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo per il pagamento della somma di Euro 71.523,29, richiesto e ottenuto nei suoi confronti dalla società M.E. srl quale corrispettivo per la fornitura di merce. Il Tribunale di Terni, respinta l’opposizione, dichiarò il decreto esecutivo. L’opponente soccombente propose appello, in pendenza del quale la società Termoidraulica 2000 si cancellò dal Registro delle Imprese per cessazione dell’attività e R.S., insieme alla moglie P.P., costituirono un fondo patrimoniale su beni immobili di loro proprietà.

2.Successivamente, la società M.E. srl, con atto di citazione del 31/1/2016, convenne davanti al Tribunale di Rieti i signori R.S. e P.P. per sentir pronunciare l’inefficacia, nei propri confronti, dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale.

3. I coniugi convenuti rimasero contumaci ed il Tribunale adito, con sentenza n. 29 del 12/1/2017, accolse la domanda di revocatoria dichiarando inefficace, nei confronti della società M. srl, l’atto di costituzione del fondo patrimoniale. I coniugi soccombenti proposero appello assumendo di non aver potuto esercitare il proprio diritto di difesa per aver accertato, a seguito di controllo svolto presso il Tribunale, certificato da una attestazione scritta di un funzionario della concelleria, che non risultava alcuna causa iscritta a ruolo con il nominativo delle parti, sicché la sentenza doveva essere dichiarata nulla, sia per violazione del principio del contraddittorio, sia per erronea indicazione della denominazione sociale della società, sia per l’afferenza dei beni alle esigenze della famiglia.

4. Costituitasi la M.E. srl deducendo di aver provveduto regolarmente alla iscrizione a ruolo della causa di primo grado, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 6801 del 26/10/2018, rigettò l’appello, ritenendo, per quanto ancora qui di interesse: che, a seguito dell’iscrizione a ruolo della causa, il giudice designato aveva differito la prima udienza con decreto firmato digitalmente e depositato in data 16/2/2016, di guisa che i convenuti avrebbero potuto accedere al fascicolo informatico; il documento cartaceo prodotto dai coniugi e contenente la contraria attestazione della cancelleria non era sufficiente a dimostrare la tesi difensiva degli appellanti perché carente dei necessari requisiti formali e di data certa; l’erronea indicazione del soggetto attore, indicato quale M.E. s.r.l. anziché in quello corretto di M.E. srl, doveva essere considerata irrilevante e infondate le censure relative ai presupposti dell’azione revocatoria.

5. Avverso la sentenza di appello, i coniugi soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi. La M.E. srl ha resistito con controricorso.

6.La causa è stata fissata per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, in vista della quale il P.G. non ha depositato conclusioni.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo – violazione ed errata applicazione della normativa sul processo telematico e degli artt. 1176 e 1227 c.c., sulla errata presunzione di conoscenza della pendenza del giudizio di primo grado, e degli artt. 101 e 156 c.p.c. – i ricorrenti insistono sulla pretesa mancata integrazione del contraddittorio nel primo grado del giudizio e sulla omessa rimessione della causa davanti al giudice di prime cure per effetto dell’asserito errore commesso dal cancelliere del Tribunale di Rieti. Lamentano che l’impugnata sentenza abbia erroneamente applicato le norme sul processo telematico per desumerne la conclusione della possibilità per le parti – accedendo al fascicolo telematico – di prendere conoscenza della pendenza della causa.

2. Con il secondo motivo di ricorso – violazione ed errata applicazione dell’art. 2700 c.c., sulla qualificazione ed efficacia dell’atto emesso dal cancelliere del Tribunale di Rieti in data 8/4/2016 ed errata applicazione dell’art. 57 c.p.c. e del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 53 ed L. n. 241 del 1990, art. 21, sui requisiti dell’atto – censurano la sentenza per avere la Corte omesso di riconoscere i presunti effetti connessi alla supposta natura di atto pubblico fidefaciente della erronea certificazione di cancelleria.

2.1. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione e sono privi di rilevanza. L’irrilevanza deriva da una quaestio iuris che emerge dallo stesso ricorso e che il giudice di merito avrebbe dovuto considerare come dirimente ai fine di escludere la congruenza della prospettazione dei ricorrenti di non avere potuto esercitare il diritto di difesa in primo grado confidando nella forza probatoria della (pretesa) certificazione di cancelleria attestante la mancanza di iscrizione a ruolo della causa. La questione consiste nel fatto che la pretesa certificazione attestava la mancanza di iscrizione a ruolo di una causa fra la “s.r.l. e i ricorrenti” e non anche fra “la srl e i ricorrenti”, come, del resto, non manca di notare la resistente (Per effetto del D.Lgs. n. 193 del 2009, convertito nella L. n. 24 del 2010, la citazione deve indicare il nome o la denominazione della parte con il codice fiscale). I ricorrenti, avendo ricevuto la notificazione di una citazione dalla srl e non dalla s.r.l., se anche si reputasse la certificazione effettivamente rilasciata dalla cancelleria e fidefaciente, non potevano farvi affidamento in quanto concerneva una causa introdotta da un soggetto non coincidente con la denominazione presente nella citazione. Poiché il documento non era riferibile con certezza alla causa introdotta si sarebbe dovuto dare rilievo a tale ragione per escludere che il comportamento dei ricorrenti fosse giustificato. L’esame delle questioni poste siccome decise dalla corte territoriale fornisce soltanto l’occasione a questa Corte di procedere ad una correzione della motivazione della sentenza impugnata, con la conseguente irrilevanza della questione ivi dedotta e la conseguenza che detti motivi non possono giustificare la cassazione della sentenza.

3. Con il terzo motivo di ricorso – violazione ed errata applicazione degli artt. 75,77 e 83 c.p.c. e conseguente nullità del procedimento incardinato dalla società M.E. snc – i ricorrenti assumono che la sentenza sarebbe nulla perché la domanda era stata azionata da soggetto inesistente. Censurano la sentenza là dove ha ritenuto irrilevante l’indicazione del soggetto attore quale s.r.l. anziché srl in quanto non comportante alcuna incertezza riguardo l’individuazione del soggetto.

3.1. Il motivo pone una questione riguardo all’indicazione della denominazione della società che è diversa da quella esaminata dalla sentenza: questa ha esaminato una censura che riferisce articolata nel senso che la sentenza di primo grado sarebbe stata nulla per avere indicato la società come ” M.E. s.r.l., anziché come ” M.E. srl” e aggiunge un’ulteriore questione concernente la nullità del procedimento “per essere stato incardinato da soggetto giuridico inesistente”, che non è in alcun modo considerata dalla sentenza e si deve, dunque, considerare nuova e inammissibile. Peraltro, nell’esposizione del fatto si indica come secondo motivo di appello che “l’attore che agiva in revocatoria M.E. Srl nonché con l’ingiunzione portante il presunto credito, non corrisponde alla denominazione sociale della società di alcun soggetto giuridico regolarmente iscritto presso la camera di commercio e, pertanto, la sentenza di prime cure è inutiliter data”,. ma si omette di trascrivere l’esatto tenore del motivo di appello e comunque non ci si avvede e, dunque, non si discute il tenore della motivazione sopra indicata della pronuncia impugnata.

Il motivo è pertanto inammissibile, fermo restando che l’indicazione erronea non era certo idonea a determinare incertezza sulla società attrice, anche considerando che nella citazione doveva esservi il codice fiscale, di guisa da sgomberare il campo da ogni incertezza.

4. Con il quarto motivo di ricorso – violazione ed errata applicazione dell’art. 27 Cost. e degli artt. 101 e 291 c.p.c. – i ricorrenti censurano la sentenza per violazione del diritto di difesa e di pienezza del contraddittorio in ordine alla pretesa inutilizzabilità di documenti.

4.1. Il quarto motivo, stante la sorte dei primi due e considerato che la prospettazione circa l’ingiustizia della contumacia che essi sostenevano è disattesa, resta assorbito.

5. Con il quinto motivo di ricorso si dolgono della violazione ed errata applicazione della normativa comunitaria e nazionale per la tutela della disabilità e violazione del diritto del disabile.

5.1. Anche il quinto, essendo basato – come conferma l’esordio della illustrazione – sui documenti che non si potevano produrre dai ricorrenti, in quanto da considerarsi contumaci volontari in primo grado, resta anch’esso assorbito. Peraltro, la Corte ha motivato in proposito che la situazione allegata era rimasta sfornita di prova per la tardività della produzione documentale.

6. Con il sesto motivo di ricorso – violazione della L. n. 3 del 2012, art. 14 ter, ed errata applicazione della legge in materia di esecuzione di beni abusivi – i ricorrenti censurano il capo di sentenza che ha ritenuto irrilevante il fatto che l’immobile fosse abusivo e poi sanato.

6.1 Il motivo è inammissibile in quanto pone una questione nuova quanto all’evocazione della legge del 2012, di cui nemmeno spiega la pertinenza.

Prospetta, poi, in modo del tutto generico, la rilevanza dell’abusività al momento della costituzione del fondo patrimoniale per giustificare la funzionalizzazione del medesimo alle esigenze del figlio disabile rimaste non provate. Prospetta, poi, il problema della necessità che, per la vendita forzata, il bene venga sanato, quando tale circostanza nella sentenza risulta essere stata oggetto di sanatoria già nel 2011.

7. Con il settimo motivo – violazione ed errata applicazione degli artt. 88 e 92 c.p.c., in punto di condanna alle spese dei coniugi in solido- i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale non abbia rilevato che la posizione processuale della moglie – che non aveva provocato il processo – dovesse essere distinta da quella del marito soccombente.

7.1 Il motivo è infondato in quanto la signora P. aveva promosso insieme al marito il giudizio di appello che si era concluso con una sentenza di rigetto. Ne discende che le statuizioni sulle spese sono state del tutto consequenziali.

8. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed i ricorrenti condannati a pagare le spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo. Si dà altresì atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 8.000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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